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Nel match di esordio agli Us Open, perso contro l’austriaco Thiem, il russo naturalizzato kazako ha imprecato contro l’avversario: “Sono stufo di regalare partite ai disabili”
di Claudia Fusani | 30 agosto 2023
Dannazione Aleksandr: ti amiamo, ci fai sognare, sopportiamo, affascinati, i tuoi fuor d’opera in campo e anche fuori, quando servi da sotto e uccidi la palla con smorzate imprevedibili, quando batti la seconda neppure fosse la prima e trovi traiettorie e velocità che sfidano la fisica. Quando sceneggi in campo la tua uscita e invece stai preparando la tua riscossa. Insopportabile ma va bene così, te lo puoi permettere, sei un talento. Ma il gratuito che hai tirato l’altro giorno al primo turno degli Us Open contro l’autriaco Dominc Thiem, quello non lo dovevi fare.
Eri sotto di un set, 5-1 e 30 a zero, hai sbagliato l’ennesimo quindici esagerando e hai borbottato: “Basta, sono stufo di regalare partite ai disabili”. Convinto di non essere sentito, dimentico che i campi degli Slam sono zeppi di microfoni multidirezionali, Bublik, giocatore russo, naturalizzato kazako, stabilmente nei top trenta, ha cancellato in dieci secondi e neppure dieci parole la sua simpatia di agonistica e atleta. Certo, giocherà, vedremo cosa decidono gli arbitri e l’Atp, il giorno dopo c’è la corsa a scusarsi e minimizzare (“era stanco e non voleva perdere”) ma per molti nulla sarà più come prima.
Non è questione di essere politically correct. Il punto è che vanno conosciute le storie dei disabili che fanno sport, sapere cosa c’è dietro il sudore di quelle persone che dalla nascita o all’improvviso perdono l’uso di uno o più parti del proprio corpo e nonostante la disperazione e lo smarrimento trovano il modo ogni mattina di riconominciare, allenarsi, fare fatica, sfidare se stessi e poi gli altri. Sono storie straordinarie. Eroiche. Bebe Vio è solo una di loro, la più vincente forse. Che dire del trio delle centometriste Sabatini-Caironi-Contraffatto, le bond girl dell’atletica.
Di una leggenda come Alex Zanardi o di Vittorio Podestà, campione di handbike. Andrebbero lette a scuola le loro storie. Alle Olimpiadi di Rio (2016) le ultime celebrate a pieno regime, erano più di quattromila gli atleti paraolimpici in arrivo da 179 paesi. In Italia sono 13 mila gli atleti tesserati e circa 1800 le società sportive. Il bacino di potenziali atleti sfiora però il milione. C’ è ancora molto da fare per ridare una vita a queste persone. Ma la strada c’è e funziona.
Il tennis è un’isola felice di un movimento in crescita. Il wheelchair tennis nesce nella seconda metà degli anni Settanta. Era il 1976 quando il diciottenne Brad Parks durante una gara di sci acrobatico cade e resta paraplegico.. Durante la riabilitazione conosce Jeff Minnebraker, atleta disabile, che si era costruito una carrozzina speciale per poter giocare a tennis. I due provano ad adattare le carrozzine, capiscono che è possibile e lanciano il progetto. Prima nella costa occidentale americana, Los Angeles è la sede del primo torneo di tennis in sedia a rotelle.
Da allora è stata una corsa. Nel 1980 nasce la NFWT (National Foundation Wheelchair Tennis). Nel 1981la WTPA (Wheelchair Tennis Players Associations) con l’obiettivo di creare un circuito di tornei e di promuovere la disciplina in tutto il mondo. Nello stesso anno Jean-Pierre Limborg è il primo atleta europeo a partecipare ad un torneo di tennis in carrozzina negli Stati Uniti. Al ritorno sarà lui a promuoverlo in tutta Europa insieme al suo ex insegnante di tennis Pierre Fusade. La Francia diventa galeotta e nel 1983 organizza il primo torneo internazionale di tennis in carrozzina a Parigi (Open d’Antony). Nel 1988 il tennis in carrozzina, ormai diffuso in tutto il mondo, entra a far parte della International tennis Federation con una sezione specifica “Wheelchair” (IWTF). Dal 1992 la disciplina è inserita nei Giochi Paralimpici a Barcellona e dal 2007 in tutti i tornei del Grande Slam. Al maschile, l'icona è il giapponese Shingo Kunieda, nel femminile primeggia l’olandese Diede De Groot.
I 10 che hanno scritto la storia: le leggende del wheelchair tennis
Il tennis in carrozzina in Italia arriva “solo” nel 1987 quando un gruppo di ragazzi paraplegici che praticavano tennis tavolo entrarono in contatto con un italiano emigrato in Svizzera che gli parla di questa nuova chance, di vita e di sport. Da allora è uno degli sport in maggiore evoluzione.
L’Italia organizza una dozzina di tornei internazionali di tennis in carrozzina. Tanto il Cip (Comitato paraolimpico) che la Fitp investono moltissimo (esiste un corso di formazione specifico presso l’Istituto Superiore di Formazione Roberto Lombardi) per allargare la pratica di questo sport. Per l’aspetto agonistico e perchè socialmente inclusivo di persone cui la vita ha già tolto molto.
Giulia Capocci ha oggi 31 anni, è stata numero 4 del mondo e finalista di doppio a Wimbledon, ed è consulente per un’azienda che produce carrozzine per ogni tipo di sport. Un paio d’anni fa ha fatto da trainer a Myriam Leone che doveva interpretare Chiara nel film “Corro da te”.
Chiara era una violinista, appassionata di tennis, in carrozzina che finisce per innamorarsi dell’impostore Favino. Storia a lieto fine. Emozionante in tutti i sensi. “Scegliere di vivere è la cosa più difficile e coraggiosa da fare” disse Leone ringraziando Capocci per le lezioni che le aveva saputo dare.
Ecco caro Aleksander, oltre a non aver capito nulla, hai sbagliato tutto. Qualora fosse, non sarai certamente tu a regalare qualcosa a loro. Ma esattamente il contrario.
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