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Eventi internazionali

Povera Ajla quanto sei stata forte: sola, contro Serena, tutto e tutti!

L’ultima partita della mitica regina di 23 Slam è stata anche particolarmente difficile ed importante per l’australiana, da sempre una promessa che non reggeva di nervi. Ma stavolta…

di | 03 settembre 2022

Novak Djokovic aveva risolto il problema della solitudine contro l’universo nemico, addirittura il Tempio, nella finale di Wimbledon di tre anni fa, traducendo istantaneamente - lui che parla tante lingue - tutti quegli appassionati e totali “Rogér Rogér” della folla in affettuosi e partecipati “Nòle Nòle” che gli accarezzassero il cuore, anziché striarglielo di graffi fino a farlo sanguinare.

In una serata che non dimenticherà più, sotto le mille luci di New York, sul centrale più capiente del suo sport, nell’ultimo Slam della stagione, contro la mitica Serena Williams al torneo d’addio, più in trasferta di come potrà mai essere nella sua esistenza, Ajla Tomljanovic ha provato ad imitare il Joker del tennis.

Prima e durante la partita nella partita più dura della sua vita. Ha provato, intanto ad estraniarsi da quell’enorme tensione dell’attesa, della vigilia, dei mille sguardi e pareri che assalgono prima di un big-match, ancor di più il match più atteso di tutti. “Entrando in campo ero estremamente nervosa perché non avevo mai giocato sull’Ashe e non avevo mai affrontato Serena. E sapevo che il pubblico sarebbe stato duro”.

ESPERIENZA UNICA

Duro? Durissimo, smodato, intransigente, ingestibile, scorretto, crudele, feroce come solo i 30mila di Flushing Meadows sanno essere quando abbassano il pollice come nel Colosseo nell’antica Roma. E l'australiana di ceppo croato, la bella mora che ha superato le love story con il “bad boy” Nick Kyrgios e con Matteo Berrettini il bello, era la vittima designata da immolare alla dea Serena sulla strada dell’ultimo, impossibile, sogno della povera afroamericana cresciuta sui campi pubblici del ghetto nero di Compton ed assurta fino all’Olimpo dello sport.

La gente voleva solo e soltanto che Serena, tutta sospiri e gemiti, strappasse il 24° Slam ed agganciasse proprio sul filo del traguardo, a quasi 41 anni, il record di Margaret Smith Court, dopo un anno di vita privata da moglie e madre, senza allenamenti e palline.

Povera, dolce, Ajla, come sostenere tutto ciò? “Ho cercato di bloccare il più possibile tutto quello che mi veniva dall’esterno. Mi è filtrato all’interno solo qualche volta. Non è stato davvero facile, ma non c’era altra maniera. Non l’ho presa come una cosa personale: anch’io, se non ci avessi giocato contro, avrei tifato per Serena”.

Che non è stato il suo idolo, ma un po’ uno specchio di vita: “Crescendo non ho avuto idoli, ma Serena e Venus erano talmente brave che le ho seguite molto, quello che mi ha sempre attratto da loro è stato il legame con la famiglia, l’unione fra loro, qualcosa che ho anch’io, coì come anch’io penso che come loro senza i miei familiari non sarei dove sono. Le loro storie da bambine col padre mi ricordavano la mia, così come la passione e il sogno in comune per il tennis. Non solo quello che ha fatto ma quello che ha raggiunto Serena è incredibile. E io voglio sognare più in grande di quanto o fatto finora proprio grazie al suo esempio”.

US OPEN, LA SOLITUDINE DI TOMLJANOVIC

Il tennista parte avvantaggiato nel gestire la solitudine da guerriero di uno sport individuale, ma quanto si è moltiplicata a dismisura, insieme al chiasso, alla minaccia quasi fisica che hanno esercitato venerdì notte su di lei gli spettatori dell’Arthur Ashe Stadium? Quante volte le sensazioni di Ajla sono scivolate nella rabbia, nello sconforto e nell’isteria davanti a quell’euforia a qualsiasi punto di Serena e al silenzio davanti ai suoi, per non parlare degli applausi agli errori?

“Dal momento che ho messo piede in campo non mi sono più guardata tanto attorno e mi sono immersa nella mia piccola bolla, accompagnandomi a pochi pensieri: “Vai sul semplice, per te è solo un’altra partita di tennis'. Devo essere felice di essere al terzo turno e di giocare sull’Ashe, è quel che sogni da quando sei bambina, non farla più grane di quanto sia perché già lo fanno tutti gli altri”.

PERSONALITA’

Davanti ad una ingiustizia così palese e cattiva, nella semifinale del 2015 su questo stesso campo immenso e totalmente nemico, la piccola-grande Roberta Vinci dal braccio d’oro passò alla storia chiedendo eloquentemente al pubblico di dispensare anche a lei qualche applauso, qualche incitamento, ricordando la prima regola cavalleresca dello sport. Fu talmente chiara e diretta che strappò sorrisi e spostò un po’ di tifo anche dalla sua parte, finendo poi per battere anche lei la grandissima Serena Williams davanti al suo pubblico, sul suo campo, nel suo torneo preferito, infliggendole una ferita indicibile al morale.

Ajla è diversa, ha sempre avuto grandi possibilità tecniche e fisiche, ma si è spesso arenata sui nervi e la fiducia in se stessa: questa contro Serena, nella tana di Serena, poteva essere la voragine peggiore nella quale sprofondare. “Sì, nella mia carriera m’è successo di avvertire la pressione, ma adesso sento che appartengo a questo livello, perciò mi aspetto di rendere al meglio in circostanze così”.

Ha trovato conforto dalle parole del papà-guida che le riscaldavano il cuore: “Non era solo il momento di Serena ma anche il mio e dovevo concentrami su quello che significava questa partita per me, godendomi la situazione perché era un’opportunità che capita una volta nella vita”.

Che ne sa la gente accecata dal tifo per la sua eroina cosa passa per la mente della povera australiana, che per la prima volta si sente piccola, col suo metro 80 e la sua potenza, davanti a quella moltitudine umana vociante e nemica? Alla cieca folla neanche interessa, presa com’è dalla passione che sfocia nella violenza, almeno verbale e gestuale.

“Sinceramente, al di là della fiducia che ho in me stessa, avevo paura che le cose andassero davvero male là fuori, qualche dubbio m’è venuto dalla parte cattiva di me, quella che ha sempre dei dubbi, come ogni persona normale. Dovevo assolutamente mettere in pratica il lavoro degli ultimi mesi, eseguire, meritarmi quello che poi ho fatto incanalando le emozioni positive invece di quelle negative. Ce l’ho fatta”.

MATCH POINT

Ajla contro Ajla, Ajla contro Serena, Ajla contro tutto e tutti. Che lotta è stata per la Tomljanovic che su e giù di adrenalina con la colonna sonora degli urlati di Serena? Nel secondo set era sotto 5-2, l’ha perso ma è risalita 5-5. “So bene quanto odio giocare contro le avversarie che non rinunciano a un punto e ti fanno lavorare su ogni colpo, e da un po’ provo ad essere quelle che mi hanno battuto, perché è questa attitudine che fa la differenza fra le giocatrici al top e le altre”.

Ha chiuso al sesto match point: Dopo il secondo ho smesso di contarli, non ero io che me la facevo sotto, era tutto merito suo, mi è montata una strana calma, pensavo a battermi, mi sono sentita una pagina del suo libro quando dice che lei pensa solo al prossimo punto, ho cercato di usare la sua tattica”.

 

THE END

Poi, dopo il fuoco e le fiamme, le grida e il rumore, dopo il 7-5 6-7 6-1 è calato il silenzio, uno stranissimo silenzio: “ Probabilmente la sensazione più conflittuale che abbia mai avuto dopo una vittoria. Durante la partita ero così impaziente di vincere. Ma quando è finita, quasi non mi sembrava giusto. Quando ha iniziato a parlare della sua famiglia e di tutto mi sono emozionata anch’io. E quel momento è stato difficile da gestire”. Dopo questa partita Alla non sarà più la stessa.


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