

Una data simbolo, nel rallentamento dei campi di Wimbledon, è la finale del 2008, quando Rafael Nadal superò Roger Federer vincendo per la prima volta sull'erba londinese. Lì, più ancora che in occasione del trionfo di Andre Agassi (1992), fu chiara la sensazione di assistere a un cambio di passo: l'erba non era più solo per gli attaccanti...
15 giugno 2025
C'è la terra, ci sono le superfici dure, c'è l'erba. Ma poi, all'interno di ogni superficie, ci sono differenze – da torneo a torneo e persino da campo a campo – che possono pure essere talmente grandi da stravolgere il gioco e dunque i risultati. In questo senso, nemmeno i prati sono stati esenti da una loro evoluzione. Sapevamo già che ogni torneo sul verde ha caratteristiche ben precise a seconda della tradizione e dell'ambiente.
Ma anche prendendo solamente il più grande evento su erba, Wimbledon, il processo di rallentamento è stato costante e visibile. I prati di oggi, a Church Road, non sono più quelli degli anni 80 del secolo scorso, ma nemmeno quelli di 10 o 15 anni fa. Perché nel frattempo si è cercato di diminuire il peso del servizio, aumentando la possibilità di scambiare da fondo. Come? Attraverso un lavoro costante e certosino che dura sostanzialmente un anno intero: da quando termina il torneo, per i 'giardinieri' del Tempio comincia un percorso che termina poi solamente a giugno dell'anno dopo.
Fino al 2001, l'erba dei campi dei Championships era un misto che garantiva un manto soffice e decisamente imprevedibile nel momento del rimbalzo. Con ovvie conseguenze sul modo di giocare: si cercava maggiormente la rete perché i rimbalzi erano bassi e pure – spesso e volentieri – irregolari. Giocare al volo non era solamente un'attitudine ma una necessità. Dal 2001, invece, i campi sono realizzati al cento per cento con 'perennial ryegrass', in italiano il 'loietto perenne'. Una scelta divenuta nel tempo particolarmente popolare per prati, campi sportivi in generale e campi da golf, grazie alla sua capacità di resistere al calpestio intenso, alla sua rapida radicazione e alla consistenza relativamente fine delle sue foglie, che creano una superficie densa e rigogliosa. Viene anche comunemente utilizzato per riseminare le erbe calde durante i mesi più freddi, per mantenere il colore verde durante tutto l'anno.
Tutto bene dunque, con questa scelta? In parte. Intanto, mantenere un campo da tennis del livello adeguato al prestigio di Wimbledon è un processo complesso che dura un anno. A ogni stagione, nove tonnellate di semi vengono seminate sui campi, formando la base verde che vediamo presentarsi al primo giorno. Durante il torneo, viene prestata una meticolosa cura quotidiana per garantire condizioni di gioco ottimali, con ogni campo rifoderato, rullato e tagliato ogni singolo giorno. I giardinieri mettono in atto un sistema di ispezione giornaliero per monitorare l'usura del campo, la durezza della superficie e il rimbalzo della palla, ma c'è il clima – che cambia ogni volta – come componente chiave per variazioni anche sensibili. I rimbalzo, in tutto questo, è il punto chiave della vicenda. Negli anni, complici anche le palline adeguate alle nuove necessità, i colpi rimbalzano più alti e sull'erba ci possono giocare pure quelli che un tempo l'avrebbero serenamente saltata in favore di un po' di riposo estivo.
Ma il processo di lavorazione, come avviene? Non appena l'erba fresca raggiunge un'altezza di 15 millimetri, viene effettuato il primo taglio, che viene ripetuto tre volte a settimana per tutto maggio per mantenere questa altezza. Poi, durante lo Slam, l'erba viene mantenuta a un'altezza leggermente inferiore, di 8 millimetri, e viene tagliata ogni giorno per mantenere gli standard del torneo. Per il resto dell'estate, i campi vengono tagliati tre volte a settimana e irrigati per consentire loro di maturare e stabilizzarsi naturalmente.
Alla fine dell'estate, ogni campo viene ricoperto con sei tonnellate di terra per garantire una superficie di gioco livellata. L'altezza dell'erba viene gradualmente ridotta dai 13-15 millimetri invernali agli 8 di gioco a partire da marzo, un processo che continua fino a maggio. A giugno, la quantità d'acqua somministrata ai campi viene gradualmente ridotta, contribuendo a consolidare ulteriormente la superficie. Durante i Championships, i campi vengono tagliati, le linee vengono tracciate e una piccola quantità d'acqua viene distribuita ogni notte, per aiutare l'erba a resistere al gioco intenso e a mantenere il suo aspetto il più a lungo possibile.
Erba a parte, l'altro grande cambiamento ha coinciso con l'evoluzione delle palline (più di 55 mila ogni anno quelle utilizzate nel torneo). Wimbledon utilizza palle Slazenger dal 1902, senza soluzione di continuità. E se il processo di rallentamento era cominciato in modo evidente nel 2002 (dopo che l'Itf aveva definito le tre tipologie di palline da utilizzare a seconda della rapidità delle superfici), già qualche anno prima i seguaci di Tim Henman – che i Championships provò a lungo a vincerli, senza successo – non fecero mancare le polemiche, poiché si diceva che i tubi venissero aperti in anticipo per permettere alle palline di sgonfiarsi quel tanto che bastava a rendere gli scambi più lunghi, aumentando lo spettacolo (ma abbassando le chance di successo del britannico, fra i seguaci incalliti del serve&volley).
Col tempo – ammesso che quello stratagemma sia stato davvero messo in pratica con regolarità – il problema fu superato da un rallentamento effettivo e dimostrabile, che andava incontro alla nuova generazione di giocatori in arrivo. Per questo, di stagione in stagione, i passi indietro rispetto alla rete si sono fatti sempre più evidenti. E oggi la parte più consumata dei campi di Church Road è sempre quella dietro alla riga di fondocampo. Un processo che è difficile da invertire.
Tornare a spingere il tennis dei pro attuali verso la rete significherebbe ripensare l'erba, ripensare le palline ma soprattutto ripensare il concetto di spettacolo. Il serve and volley che un tempo era la massima espressione dei gesti bianchi, oggi sarebbe probabilmente considerato una noia dai nuovi appassionati. E, in questo senso, non siamo nemmeno di fronte a un fenomeno nuovo. Una data simbolo, in questa direzione, è la finale di Wimbledon 2008, quando Rafael Nadal superò Roger Federer vincendo per la prima volta sull'erba londinese. Lì, più ancora che in occasione del trionfo di Andre Agassi (1992), fu chiara la sensazione di assistere a un cambio di passo: l'erba non era più per gli attaccanti. Oggi è una superficie 'democratica', che limita i grandi battitori e concede una chance anche a chi vuole costruire il punto. Che sia un bene o un male, resta una considerazione soggettiva.
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