

L’australiano, detto “Demon” non ha ricalcato le orme dell’idolo Hewitt, ma è entrato nei top 10, sa imporre ritmi frutici al palleggio, difende benissimo e sa anche attaccare, ma contro Sinner è 0/7 nei testa a testa e nei Majors è arrivato ai quarti, ma non va più in là…
10 novembre 2024
Lo chiamano “Demon”, Demonio, Diavolo, e questo dà da pensare, al di là delle 7 sconfitte su 7 che ha rimediato contro Jannik Sinner e dell’etichetta di vittima predestinata che sembra portarsi addosso dal momento del sorteggio delle ATP Finals, da avversario numero 1 del favorito numero 1 del numero 1 italiano della classifica mondiale. Lo chiamano Demon e certamente, nel contrasto con il gioco simile ma con la palla molto più leggera rispetto al Profeta dai capelli rossi, è sembrato più un agnello sacrificale: da subito, dal primo sconvolgente confronto delle NextGen Finals 2019 a Milano, quando l’australiano era il favorito al titolo e fu spazzato via di velocità e potenza dall’astro nascente del tennis, aggregato da wild card, come più giovane e inesperto, alla finale di coppa Davis di 11 mesi fa a Malaga, con l’annichilente 6-3 6-0, frutto di un micidiale tira e molla fendenti-smorzate-discese a rete, alla finale di Rotterdam di quest’anno, col più combattuto 7-5 6-4.
DUBBI
Demon, in realtà, cresciuto e forgiato per diventare il clone di Lleyton Hewitt, che l’ha anche allenato, è un po’ in crisi di fiducia perché non è riuscito a ricalcare le gesta del suo idolo, rimanendo ben lontano dal trionfo di Wimbledon 2002 del “selvaggio”, e soffre davvero tanto nel ruolo di comprimario del tennis moderno, lui che s’è tatuato il numero 109 sul petto, orgoglioso rappresentante della nazional di Davis, cui non basta essere il numero 1 del suo paese e anche l’esempio migliore. La verità è che Demon non incute timore, né per il suo vorticar di piedi e per il ritmo anche sostenutissimo di scambi che impone, né per la rapida transizione difesa-attacco, perché ormai il fattore fisico è il fulcro del gioco di tutti e il peso specifico degli avversari è quasi sempre superiore al suo. E’ frustrante, perché il 25enne australiano di Sydney, che parla fluentemente inglese, spagnolo e francese, grazie a papà Anibal, uruguaiano e mamma di Alex, spagnola, ha iniziato a giocare a tennis a 4 anni, cresciuto ad Alicante, s’è poi diviso tra la Spagna e l’Australia. Ultimamente, Demon è sembrato piuttosto un angelo innamorato.
Il 4 marzo, subito dopo aver bissato il titolo ad Acapulco, è volato a San Diego e, dopo 11 ore di viaggio, ha assistito alla vittoriosa finale della fidanzata, la collega inglese Kate Boulter. A giugno, al Roland Garros ha premiato un giovanissimo e sfegatato fan che l’ha spinto tutto il match nella battaglia vinta contro Medvedev al Roland Garros, e poi è tornato in campo per festeggiare ancora con lui.
E quando parla degli avversari, soprattutto quelli del Super8 di Torino: sempre tutti bravi, tutti fortissimi, tutti degni del loro ruolo, tutti meritevoli di rispetto.
DIAVOLERIE
Umile, molto umile. Ci sta da chi per la prima volta si qualifica alle Finals, dopo una lunga scalata, dai top 50 del 2018, ai top 30 del 2019, al numero 12 che ha conquistato alla fine della stagione scorsa, per poi fare il salto di qualità a gennaio, in Australia alla United Cup, battendo tre top ten, Fritz, Djokovic e Zverev, ed entrando anche lui fra i magnifici 10: “Ho sentito la differenza passando dall’11 al 10 della classifica. Un punto, sembra insignificante, ma ho sicuramente sentito un grande cambiamento. Penso che molti giocatori del Tour sappiano quanto sia difficile arrivare a quel livello, quindi alla fine ti danno molto del loro rispetto, che hai guadagnato con il duro lavoro, la dedizione e vincendo molte partite. Porta sicuramente un aspetto diverso al mio gioco e ora che scendo in campo mi sento come se ci fosse un piccolo bersaglio sulla mia schiena, ma allo stesso tempo ho un po’ di quella sicurezza che mi sono guadagnato con quella posizione”.
L’obiettivo di Alex era crescere ad alto livello ed è cresciuto, soprattutto negli Slam, raggiungendo i quarti in tutte le prove: “Sono molto contento di aver migliorato sotto questo aspetto, era uno degli obiettivi della stagione, sono stati ottimi trampolini di lancio nella giusta direzione. Sono molto orgoglioso degli US Open (battuto da Draper in tre set ), ho fatto un grande sforzo per mettermi in quelle conizioni”. Anche se in realtà, a guardare il suo percorso, ha superato Giron, Virtanen, Evans e Thompson. E da persona intelligente sa benissimo che ha mancato l’esame più significativo e gratificante.
TATTICA
Demon ha gli occhi furbi e la parlantina fluente, ma se lo chiamano così, dobbiamo pensare che abbia sempre qualche pensiero furbetto e mefistofelico che gli guizza alla testa. Perché è vero: ha una cilindrata decisamente inferiore a Sinner, la spinta che produce da fondo non scalfisce il fondamentali d’acciaio dell’altoatesino, la capacità di agganciarsi al ritmo all’avversario, addormentandolo e poi sconvolgendolo con improvvise accelerazioni non trova spiragli nella concentrazione del tennista che l’Italia ha sperato da sempre, ma Demon ha anche dimostrato - ed ha già tentato contro lo stesso Sinner - la tattica dell’aggressione, delle fiondate più rischiose per buttarsi attacco all’arma bianca, a rischio di clamorosi e ripetuti errori, di passanti fra le stringhe.
E un mix di atteggiamenti tattici diversi potrebbe essere la chiave tattica cui l’australiana potrebbe fare uso nella disperata ricerca di quello che sarebbe il risultato più clamoroso dell’intera stagione. Visti i precedenti, l’annata e le caratteristiche dei due. Se infatti leggiamo i numeri di ATP Data Innovations, vediamo che in questa stagione ha giocato solo il 20,3% dei colpi in attacco, di gran lunga la percentuale più bassa tra tutte le contendenti del Torino, ma è protagonista nel conquistare punti in difesa, secondo in questa speciale graduatoria col 38,5% dei punti in cui il suo avversario ottiene un vantaggio offensivo, è sesto nella risposta col 7,15% di riuscita. Ma chissà cosa darebbe per un pizzico di potenza in più da aggiungere ai suoi 69 chili. Anche se dentro ha una vocina che gli sussurra: “Hai battuto i primi del mondo, sei un passo avanti nella fiducia in te stesso, la strada è giusta”.
Il diavolo è sempre il diavolo.
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