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La palla del futuro non è tonda: è circolare

Le palline da tennis vanno sostitute spesso e ogni volta che si colpisce - più o meno forte - delle particelle di plastica vengono disperse nell’aria. Da qui l’esigenza di riciclare il più possibile e di diventare sostenibili. Ecco due processi già in essere, uno negli USA e uno in Europa

03 maggio 2021

Daniil Medvedev

Dopo ogni colpo la palla da tennis rilascia nell'aria delle micro-particelle di plastica

I numeri non sono certo quelli di un volo transoceanico ma di certo rappresentano un’ennesima goccia (di plastica) nel mare (inquinato). Ebbene, piccolo quiz: giocando a tennis qual è l’oggetto che più si deteriora, si consuma in fretta, o che va perso, cambiato, sostituito con maggior frequenza? Scarpa, racchetta o pallina? Risposta esatta: la pallina.

I pro ne cambiano un paio di tubi ogni 7 game (ATP e WTA), oppure ogni 9 (circuito ITF). Ma anche a ogni nuovo allenamento ad alta intensità. Gli agonisti e gli altri praticanti tendono a farle "durare" un po’ di più, anche per contenere i costi, ma certamente non è possibile giocare bene - e divertirsi a pieno - con palle vecchie di un mese, grigie, spelacchiate e magari sgonfie. Quindi, vanno cambiate. E così nel migliore dei casi quelle vecchie finiscono, pensionate, nei cesti delle scuole tennis. Altrimenti direttamente nell’immondizia.

Ogni anno vengono prodotte circa 300 milioni di palle nuove nel mondo. Che fine fanno quando smettono di essere giallo vivo e di rimbalzare a dovere? Qualcuna nel giardinetto di casa inseguita da un cagnolino domestico, ma certamente troppo poche. Le altre diventano spazzatura e con loro i 18 milioni di chilogrammi utilizzati nel processo di produzione.

Senza contare che le palle da tennis inquinano loro malgrado anche quando sono nuove e perfettamente in gioco. Avete mai fatto caso sui vostri televisori HD a quelle particelle gialline che si vedono volar via all’impatto di un drittone di Nadal o di una bomba di Rublev? Tutta plastica. Che si disperde nell’ambiente e da qualche parte, chissà dove, ricade e si deposita.

Ricade sì ma non scompare, perché le palline da tennis sono gialle ma non sono banane. Non si decompongono tanto facilmente (neanche le buccia di banana ci mettono poco, a dire la verità). Il problema è noto e non di poco conto, ormai è chiaro. Però è altrettanto vero che si stanno studiando delle soluzioni. Anzi, si stanno già mettendo in pratica.

Lo sforzo c’è e si vede. Wilson, ormai da qualche anno, è uscita sul mercato con le sue Triniti, palline senza pressurizzazione che dovrebbero durare di più e inquinare di meno, grazie anche al cartone che sostituisce il tubo (altra caratteristica resa possibile dalla mancata pressurizzazione). E proprio gli americani di Chicago sono dietro al progetto Recycle Balls.

Recycle Balls si occupa di dare una seconda vita ai milioni di palle finite in disuso o nel cestino dell’immondizia. Non necessariamente però la seconda vita passa da un nuovo tubo. Anzi. Si tratta di un processo in 5 passi che porta la pallina usata a trasformarsi in… oro verde. Almeno questa è la denominazione individuata.

All’inizio della catena c’è un network di partner - per ora diffusi negli Stati Uniti - che si impegna a raccogliere le palline usate senza disfarsene anzitempo. Le strutture appartenenti al network, accademie, college, club, ricevono degli appositi contenitori verdi che fungono da “raccoglitori”. Una volta pieni di palle usate vengono spediti - senza costi aggiuntivi per i membri del network - in uno stabilimento del Vermont.

Qui le palline vengono separate: alcune finiscono sul mercato dei giochi per animali domestici, le altre - la maggior parte - vengono letteralmente tritate, separando il feltro dalla gomma. Quest’ultima viene sminuzzata e diventa, appunto, “green gold”, oro verde. Il quale viene utilizzato per la realizzazione di nuovi campi da tennis in superficie sintetica ma anche, per esempio, nell’industria dell’equitazione.

Un network di strutture diffuse negli USA raccoglie le palle usate in appositi scatoloni verdi per favore il processo di riciclo dei materiali

Una nuova vita insomma per le palle quasi morte. Non solo negli Stati Uniti c’è chi ha pensato al globo tennistico per fare del bene al globo terrestre. Anche in Europa, in Olanda per la precisione, c'è chi agisce. Lo sviluppo e il risultato differiscono, ma il concetto e il principio alla base è il medesimo. Nel 2020 Renewball ha prodotto il primo tubo di palle da tennis tramite il riciclo di altre palline ormai da buttare.

Balza subito all’occhio la differenza. Le palline riciclate, in questo caso, servono a fare altre palle da tennis. Il processo, a differenza del (ri)utilizzo finale, non è molto diverso rispetto a quello di Recycle Balls. Le palline usate vengono raccolte, separate e sminuzzate.

La gomma e il feltro vengono processate una seconda volta per poter rientrare nella filiera e tornare a essere gomma ‘buona’ per nuove palline, ricoperte poi da un feltro tutto bio. Così nasce una palla classificata Type 2 per gli standard internazionali, prodotta seguendo le linee guida dell’ITF, che però non le ha ancora ufficialmente approvate.

Tre di queste palline, pressurizzate, costano 11,25€, inclusa IVA ma non le spese di spedizione dall’Olanda. Dove Renewball ha già una partnership consolidata con il torneo di Rotterdam. Dopo la scorsa edizione, nei capannoni sono arrivati scatoloni per 5.000 palle da riutilizzare. Per fare nuove palle da tennis ma, anche in questo caso, pure per altre filiere produttive (superfici sintetiche di campi sportivi comprese).

Gli standard utilizzati da Renewball, secondo mission aziendale, puntano a conformarsi con il conseguimento di tre degli obiettivi principali contenuti nella lista degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite (U.N. SDG). Per la precisione rispondono ai numeri 12, 13 e 14 di detta lista: consumo e produzione responsabile, azione climatica, prevenzione della vita acquatica.

Un altro colpo vincente contro l’inquinamento - e in favore della conservazione del Pianeta - da parte del tennis. La pallina circolare deve essere il futuro. Dalla produzione al campo e di nuovo alla produzione. Senza passare dal via, anzi, dalla discarica.

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