

L'ultima parte della nostra storia dello US Open, che riguarda gli anni dal 2010 ad oggi. Anni in cui italiani e italiane hanno fatto sognare a Flushing Meadows. Storica la finale del 2015 tra Pennetta e Vinci
di Alessandro Mastroluca | 27 agosto 2024
A New York, negli ultimi quindici anni, la Little Italy è diventata grande a Flushing Meadows. Nell'impianto a pochi chilometri dall'aeroporto La Guardia, sono decollate le nostre ambizioni. Sono le donne ad avviare la rivoluzione. Un dato basta per tutti: dal 2008 al 2016, c'è almeno un'azzurra ogni anno almeno nei quarti in singolare femminile.
Francesca Schiavone ottiene il suo miglior risultato nel torneo nel 2010 (i quarti), due anni dopop Sara Errani fa ancora meglio. Diventa la prima italiana dal 1930 in semifinale in singolare: perde contro Serena Williams ma si rifa in doppio con Roberta Vinci. Già campionesse al Roland Garros, le "Cichis" replicano a New York. Mai nessuna coppia italiana aveva vinto due Slam in doppio nello stesso anno.
Per l'Italia il 2015 è un punto di nuovo inizio. E' il culmine del decennio del quartetto d'archi che hanno fatto grande la nazionale dell'allora Fed Cup, oggi Billie Jean King Cup. Flavia Pennetta, prima italiana in Top 10 da quando esiste il ranking computerizzato che la WTA ha introdotto nel 1975 e unica azzurra con quattro quarti di finale raggiunti in carriera agli Us Open in singolare femminile, tocca il culmine della nostra storia tennistica. Sull'Arthur Ashe Stadium vince la prima finale tutta italiana nella storia degli Slam. Dall'altra parte della rete c'è l'amica Roberta Vinci, vestita di rosso come nella semifinale contro Serena Williams in cui aveva firmato la più grande sorpresa del tennis femminile negli anni Duemila.
Il finale è indimenticabile. Le due azzurre si stringono in un abbraccio epocale mentre intorno i tifosi sull'Arthur Ashe Stadium si alzano in una meritata standing ovation. Sorride Roberta, Flavia le incastra il volto nelle spalle, le sussurra qualcosa all'orecchio, sovrastata dalle emozioni come solo chi ha provato una gioia totalizzante, una felicità accecante, può essere.
"Amo New York per i suoi mille colori, per la sua vitalità. Appena arrivo mi sento sempre a mio agio - diceva nel 2015 al New York Times -. Per due settimane è perfetta: oltre, c'è troppo caos, troppo traffico, e torno a preferire le città più piccole".
Il 2015 trascina con sé anche il ricordo di un Fognini scintillante, con la maglietta rossa e i due indici sulle tempie a festeggiare un'impresa storica. In un'infuocata sessione serale sull'Arthur Ashe è riuscito, come mai nessuno aveva fatto prima, a rimontare due set di svantaggio in uno Slam a Rafa Nadal. A quel Nadal che aveva vinto 22 delle ultime 23 partite giocate allo US Open e tutte le 151 fino a quel momento nei major in cui aveva vinto i primi due set.
Il successo di Flavia Pennetta agli Us Open 2015
Il 2015 trascina con sé anche il ricordo di un Fognini scintillante, con la maglietta rossa e i due indici sulle tempie a festeggiare un'impresa storica. In un'infuocata sessione serale sull'Arthur Ashe è riuscito, come mai nessuno aveva fatto prima, a rimontare due set di svantaggio in uno Slam a Rafa Nadal. A quel Nadal che aveva vinto 22 delle ultime 23 partite giocate allo US Open e tutte le 151 fino a quel momento nei major in cui aveva vinto i primi due set.
A lanciare la remuntada, che gli vale il primo ottavo di finale in carriera allo US Open, ben 70 vincenti. Un repertorio completo di colpi da applausi, di complessi numeri d'autore, di trionfi di esplosività e tocco a geometria variabile. Tutto il repertorio del miglior Fognini.
Affrontare Nadal sull'Arthur Ashe Stadium ha lanciato anche la scalata di Matteo Berrettini, inserito nel 2019 dal sito ufficiale del torneo fra i nomi nuovi che in quell'edizione hanno avuto più impatto sul pubblico newyorkese. Matteo colpisce per lo spettacolo offerto nei quarti di finale contro Gael Monfils, la partita più bella del torneo dopo l'epica finale Nadal-Medvedev. Cinque set, quasi quattro ore di emozioni e colpi di scena che l'hanno fatto entrare nei cuori dei tifosi e delle tifose. Berrettini diventa il nono italiano di sempre almeno in semifinale in uno Slam: perderà senza sfigurare contro Nadal.
E' arrivato poi altre due volte ai quarti di finale, nel 2021 e 2022, e in quest'occasione non era l'unico azzurro tra i migliori otto. C'era anche Jannik Sinner, per la prima volta così avanti nel blu dipinto di blu.
Two sets down to Rafa Nadal in 2015 and Fabio Fognini didn't blink.
— US Open Tennis (@usopen) May 24, 2020
Happy birthday, @fabiofogna! ??????pic.twitter.com/H4zL3cgqET
"La maratona di 5 ore e 20 minuti, persa per 6-3 6-7 6-7 7-5 6-3 da Sinner nei quarti degli US Open di settembre 2022 col match point non sfruttato e il record di partita finita più tardi nella storia del torneo" come ha scritto Vincenzo Martucci, fotografa il momento di una rivalità ancora giovane ma già speciale. "Sinner è stato avanti 2 set a 1, si è aggiudicato due tie-break combattutissimi, è emerso dai continui su e giù di punteggio e rendimento e momenti psicologici e sul 5-4 ha anche servito per il match", ma non è bastato per vincere.
Nelle oltre 5 ore di partita Sinner, più giovane a raggiungere i quarti in tutti gli Slam dal 2008, ha alzato ancora il suo livello di gioco e mostrato miglioramenti importanti in tutte le zone del campo, in ogni fase del gioco. La qualità del match attira giocatori come Cori Gauff e Wawrinka, e grandi tecnici (Mouratoglou e Brad Gilbert su tutti). Gli apprezzamenti sui social degli addetti ai lavori misurano la qualità dello spettacolo. Dopo la partita, sui social, il messaggio di Alcaraz è chiaro. "Che posso dire, è stata una battaglia incredibile. Jannik, mi hai spinto a migliorare, sono sicuro che giocheremo tante partite ancora in futuro" ha scritto. Facile profezia, pienamente avverata.
Tutti in piedi per Jannik
Il secondo decennio degli anni Duemila a New York inizia con Novak Djokovic che cancella due match point in risposta nella semifinale del 2010 contro Roger Federer. E si ripete nel 2011, la sua stagione migliore in cui ha vinto le prime 41 partite dell'anno: nessuno aveva firmato una striscia simile nei primi mesi di una stagione dal 1984, quando McEnroe vinse le prime 42. La prima l'ha persa proprio contro Federer in una semifinale al Roland Garros 2011 nella ristretta lista delle partite migliori degli anni Duemila, e non solo.
"Era la stessa situazione dell'anno prima. Dovevo prendermi le mie occasioni. Ero vicinissimo alla sconfitta, serviva avanti 5-3 40-15 nel quinto set" ha detto Djokovic dopo la partita. Federer serve da destra, a 173 km/h, esterno ma non troppo. Quando Djokovic impatta la palla in risposta ha il busto proteso in avanti, è in controllo: non gioca in allungo, ha avuto tutto il tempo per portare il peso del corpo sulla palla e per incrociare. Sarà una risposta vincente, incrociata e sulla riga. Un colpo simbolo, enfatico nella forma, devastante nella sostanza. "Quella risposta mi ha rimesso in partita. Il pubblico mi ha dato energia, ho continuato a lottare. Non volevo che finisse di nuovo come al Roland Garros" ha spiegato Djokovic. Il serbo Ivince 67(7) 46 63 62 75. In finale, firma su Rafa Nadal il 64mo successo della stagione. Chiude 62 64 67(3) 61 e festeggia il suo primo US Open, il quarto Slam della carriera.
Il 2012 vede la prima vittoria in un torneo del Grand Slam da parte dello scozzese Andy Murray, che batte in finale al quinto set proprio Djokovic. Nell'albo d'oro gli succede Nadal, prima di un'edizione irripetibile per sorprese. La vince Marin Cilic, che ha eliminato Federer in semifinale, su Kei Nishikori. Djokovic torna a vincere nel 2015, cede in finale nel 2016 a un Wawrinka deluxe che festeggia il terzo e ultimo titolo Slam, sempre in finale contro il numero 1 del momento. Il serbo trionfa nel 2018, Nadal nel 2017 e nel 2019, in una finale multiforme contro Daniil Medvedev. L'anno del COVID, del torneo a porte chiuse, si ricorda per la squalifica di Djokovic agli ottavi contro Pablo Carreno Busta per aver colpito con una pallata involontaria, e a gioco fermo, una giudice di linea. E per l'unico successo Slam di Dominic Thiem che rimonta due set di svantaggio a Alexander Zverev: in una finale a New York non era più successo dal 1949. Il resto è storia recente, storia di record che sfumano per i due campioni che hanno spinto la caccia alla leggenda verso vette inesplorate prima.
Partiamo da Serena Williams. Finalista nel 2011, campionessa nel 2012, 2013 e 2014, ha visto sfumare come detto il sogno del Grande Slam nel 2015 contro Roberta Vinci. Nel 2018 si ripresenta in finale con l'obiettivo di eguagliare i 24 major in singolare di Margaret Court. Nel cinquantesimo anniversario del trionfo di Arthur Ashe, il primo campione nero nella storia dello US Open, campione peraltro nella prima edizione Open, la sfida per il titolo non potrebbe essere più significativa.
Serena sfida Naomi Osaka, prima giapponese in una finale Slam, che con il razzismo convive da sempre perché figlia di un matrimonio misto tra una donna giapponese e un uomo haitiano. Naomi e Serena hanno 16 anni e 20 giorni di differenza. Allo US Open non si vedeva una finale fra due giocatrici con età così distanti dal 1991, quando Monica seles superò Martina Navratilova, più grande di 17 anni e 45 giorni. Serena si prende il centro della scena, per i motivi sbagliati, nel secondo game del secondo set. L'arbitro Carlos Ramos la ammonisce perché ha ricevuto consigli dal coach Patrick Mouratoglou, che poi ammetterà il coaching. “Non ho mai imbrogliato, piuttosto preferisco perdere”, grida Serena che recupera il break nel quarto game, lo perde di nuovo nel quinto e spacca la racchetta. E' la seconda violazione, Ramos la punisce con un punto di penalità. Serena subisce un nuovo break nel settimo game ed esplode verso il giudice di sedia. "Ha messo in dubbio la mia lealtà, ora mi deve delle scuse. Lei non arbitrerà mai più una mia partita per tutto il resto della sua vita". Serena chiama Ramos bugiardo e ladro, l'arbitro allora la punisce ancora, stavolta togliendole un game. La sua rabbia non fa che aumentare. "Ma lo sa quanti uomini dicono nefandezze peggiori e la fanno franca? Ma sono uomini e non gli accade niente. E siccome io sono una donna mi toglie un game?" dice al referee del torneo. La finale si chiude con il successo di Osaka, che il pubblico bersaglia di fischi durante la cerimonia di premiazione.
Ci riprova, Serena, nel 2019, ma ancora una volta il record di Court le sfugge: stavolta vince la canadese Bianca Andreescu.
Margaret Court smith, la più vincente di sempre
Nel 2021 Djokovic si presenta in finale con il chiaro intento di completare il Grande Slam. Deve solo battere Daniil Medvedev, che però gli rovina la festa. Il doppio fallo commesso sul match-point è l’istantanea di un sogno che sfuma. E Nole non può fare altro che sciogliersi in lacrime. Finisce 64 64 64, a dimostrazione di una supremazia netta contro il serbo che forse per la prima volta in carriera ha tutto il pubblico schierato dalla sua parte" ha ricordato Tiziana Tricarico. "Una parte di me è molto triste per questa sconfitta, che è davvero difficile da accettare per tutto quello che c'era in palio - ha raccontato Djokovic in conferenza stampa dopo la finale -. Ma dall'altra ho sentito qualcosa che non avevo mai sperimentato in tutta la mia vita qui a New York. Il pubblico mi ha fatto sentire speciale, mi ha piacevolmente sorpreso. Non mi aspettavo nulla, ma il livello di sostegno, di energia, di affetto che ho ricevuto da parte dei tifosi me lo ricorderò per sempre. Per questo mi sono scese le lacrime al cambio campo. L'emozione era fortissima, come se avessi vinto il ventunesimo Slam. Mi sono davvero sentito molto speciale. E' stato meraviglioso".
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