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Il serbo è uno degli ultimi reduci della sua generazione e dice che "chiudere il cerchio a New York sarebbe stupendo". Fritz, ultimo americano in tabellone, dopo la finale dell'anno scorso deve batterlo per la prima volta per alimentare il sogno di riprovarci
di Ronald Giammò | 02 settembre 2025
La sfida si annuncia come un classico. La trama è nota, e vede i due protagonisti con già molta strada alle spalle e in vista del traguardo. Il bivio dove le loro strade si incrociano è quasi sempre quello di un quarto di finale. Da un lato opportunità e speranze, e un bel pieno di ottimismo per provare a realizzarle; dall'altro, la vaga sensazione di aver fatto tanta fatica per nulla, salutare una festa quando il bello stava per cominciare. Per dieci volte Novak Djokovic e Taylor Fritz si sono contesi il passaggio, e per altrettante volte a imboccare la strada giusta è stato il serbo. Di queste, tre quando la posta in palio coincideva con uno Slam. Stavolta però l'attesa è diversa. Nole ha il vantaggio degli scontri diretti, Fritz un orizzonte più lungo davanti a sé. Eppure identico è però lo status con cui i due si presentano alla vigilia, quello di sopravvissuti sulle cui spalle incombe ora una pressione nuova.


Djokovic sembra sapere come si fa. Arrivato a trentotto anni, "negli ultimi due - ha dichiarato lui stesso dopo la vittoria in tre set contro Struff - ho imparato una cosa: che in questo momento devo pensare a una partita alla volta". Più dell'americano, il suo avversario ora è il tempo. Vittorie, titoli e Slam sono sogni e come tali "non posso permettermi di pensarci". Però ama i simboli, Nole, le ricorrenze, e "qui due anni fa ho vinto il mio ultimo Slam e chiudere il cerchio sarebbe stupendo".
Quel sogno Fritz l'ha invece accarezzato l'anno scorso. Quando da americano ha avuto la possibilità di metter fine a un digiuno ventennale (Roddick 2003) di trionfi stranieri a Flushing Meadows. A romperne un altro fu invece Jannik Sinner, primo italiano ad imporsi a New York. Fritz è ora a due partite dal poterci riprovare, ultimo reduce di una spedizione americana presentatasi al via dello Slam casalingo come la nazione con più top100 al mondo. Fuori Shelton, arresisi Tiafoe e Paul è rimasto solo lui. "Una settimana complicata - l'ha definita il n.4 del ranking - tra infortuni e match contro avversari che hanno giocato benissimo, può capitare. Sono l'ultimo rimasto e può essere un bene per me perché spero così di avere tutto il pubblico dalla mia".


Sprovvisto di precedenti, è al pubblico quindi che si aggrappa. La cronologia non pare però preoccuparlo. Delle dieci sfide giocate ad essergli rimaste stampate nella memoria sono solo le ultime due: "Prima non ero ancora un giocatore in grado di avere alcuna chance a meno di non vivere la mia giornata migliore mentre lui è alle prese con la sue peggiore di sempre". E più della sconfitta in quattro set dell'anno scorso in Australia - sempre ai quarti - a infondergli fiducia è "l'ultima giocata a Shanghai, quando ho avuto un set point nel secondo set per portarla al terzo, lì ho sentito di poter avere chance per competere". Progressi notati dallo stesso Djokovic, in particolare negli spostamenti "cosa che probabilmente prima mancava al suo gioco". Dettagli, che non influiranno sulla sua preparazione. L'esperienza gli ha insegnato che sfidare un avversario contro cui non ha mai perso dà "un po' più di fiducia ma aggiunge anche pressione quando in campo sai che devi vincere e che non vuoi lasciargliene nemmeno una". Neanche se fosse la prima. Specialmente quando sai che per te potrebbe essere l'ultima.