Lo spagnolo ottiene la sua rivincita dopo la sconfitta nei quarti a Melbourne e approda per la seconda volta in finale a New York
di Ronald Giammò | 05 settembre 2025
Dopo aver sfidato per due ore la biologia (ipse dixit) e la fatica, aver stretto denti e giunture e scavato al fondo di un serbatoio per sua stessa ammissione non più colmo d'energie, ci si è messa anche la statistica a giocar contro Novak Djokovic. Per 52 volte in carriera infatti, quando avanti di due set in uno Slam, mai nessuno era riuscito a rimontare un simile svantaggio a Carlos Alcaraz. E così è stato anche questa volta, con il murciano laureatosi primo finalista degli US Open grazie alla vittoria ottenuta in tre set contro il serbo. Battuto, ma non sconfitto, e tributato da tutti gli onori dal pubblico dell'Arthur Ashe al momento della sua uscita dal campo. 64 76(4) 62 il punteggio finale in favore dello spagnolo che attende ora di conoscere il nome del suo avversario che uscirà dal match tra Jannik Sinner e Felix Auger-Aliassime.
Ce l'ha messa tutta, Nole. E ha impiegato un po', Alcaraz, prima di ritrovare le sensazioni così brillantemente cavalcate durante le ultime due settimane. Il break colto nel primo game lo ha aiutato a mettere in discesa la contesa, ma non a risolvere l'enigma - strategico e mentale - che ancora una volta Djokovic andava presentandogli. Ovvero: toglierli il tempo e ridurgli lo spazio. Con la sua prima - e con una seconda spesso affilata - Nole è infatti riuscito a spingerlo lontano dal campo per poi insistere sulla profondità dei suoi colpi nel tentativo di allontanarlo sempre di più costringendolo così a sparare spesso a salve, disinnescando quelle accelerazioni brucianti che sempre lo spagnolo è riuscito a mettere a segno ogni qual volta premiato dalla diversa gittata dei colpi del suo rivale. Il parziale si chiude con quel solo break messo a segno e un bilancio tra vincenti e gratuiti molto simile tra i due (6-11 per il serbo, 8-13 per il n.2 del mondo) ad indicare un equilibrio ancora privo della scossa necessaria da poter indirizzare il match.


Djokovic ha così continuato a tessere la sua tela, a insistere con la sua strategia: ora frequentando la rete con successo, ora pungendo con la seconda e - soprattutto - intestandosi alcuni degli scambi più duri del parziale. Piccoli tasselli che hanno finito col procurar lui il break, poi consolidato, che lo ha issato sul 3-0 instillando ai presenti sugli spalti la sensazione che il match fosse ancora lontano dalla sua conclusione. Ed è qui che Alcaraz ha dato invece prova di maturità, riuscendo a ribaltare un copione che in passato lo aveva invece visto finir preda di dubbi e nervosismo. A scuoterlo è stato un passante incrociato scagliato con il solo polso dalla metà campo, un colpo da ping-pong con cui si è procurato la palla break poi concessagli da un gratuito del serbo. Una scossa, e con lei la certezza di poter infine mollare il freno e riconsegnarsi al tennis a lui più congeniale. La resa dei conti è andata in scena nel tie-break risolutore, con Djokovic ad inseguire e a mettere pressione, e Alcaraz saldo nel momento decisivo a ribadire il suo avvenuto salto di qualità e la sua candidatura per il titolo finale.
Scoraggiato, e manipolato rapidamente prima del via del terzo set, Djokovic si è ripresentato in campo ritrovandosi abbandonato dal servizio nel quarto game, quando due doppi falli hanno consentito ad Alcaraz di portarsi sul 4-1 e da lì gestire senza problemi gli ultimi scambi del match. Non era un test facile, ha richiesto attenzione mettendo Alcaraz di fronte a un rivale che per qualità e inarrendevolezza, non aveva sin qui mai affrontato. Quello che ci voleva prima dell'ultimo atto di un torneo su cui da tempo ha puntato gli occhi, per salutare New York con il suo sesto Slam in carriera e lo status di numero uno del mondo.