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Modesto, calmo, equilibrato. Che impara dalle sconfitte senza farsi abbattere, e che vive le vittorie senza farsene travolgere
di Ronald Giammò | 13 luglio 2025
Quasi centocinquanta anni di tradizione. Un tempio inaccessibile. Una superficie scomoda. Poco frequentata e mai capita fino in fondo. Decenni di spedizioni in cui alla fine, sempre più del risultato, prevaleva lo stupore per esserci stati, avervi giocato, respirato l'aria. E con loro, sempre, l'intima convinzione che tutto ciò non facesse per noi. Questo fino a pochi anni fa era stato Wimbledon per il tennis azzurro.
Accade invece che tempi e tradizioni non sempre procedano di pari passo. E se tutto all'AELTC è rimasto (più o meno) sempre identico a sé stesso, a cambiare è stato il tennis, il gioco. Là dove un tempo regnavano il serve and volley adesso imperano scambi e suole "barbariche" a consumare prati e sdrucire linee di gesso. Giocatori che anziché sposare la filosofia di quei manti decidono di piegarli al loro gioco ipertrofico e muscolare. Se non posso scalfire una tradizione, tanto vale allora provare a contestarla in altra maniera.
Le foto che fanno la storia
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Conservare il "serve", in primis. Per dotarsi del "volley" ci sarà tempo. E così, quattro anni fa, era il 2021, il primo a sovvertire pronostici e geometrie fu Matteo Berrettini. Consolidato top10, Berrettini fu il primo italiano ad esser riuscito a giocare una finale sul sacro prato del Centre Court. L'incantesimo durò un set, quello che riuscì a strappare a Novak Djokovic, infine confermatosi vincitore per la sesta volta in carriera. Ne trascorsero altri tre prima di riprovare un brivido che gli somigliasse: merito di Lorenzo Musetti e della sua semifinale, raggiunta con un tennis elegante ed efficace, meno contundente - forse - ma recante in sé echi di quel cui a Wimbledon si era soliti assistere. Levità, rovesci a una mano, variazioni inattese: le mode passano, ma sono gli stili a restare impressi negli occhi.
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Ultimo è arrivato Jannik Sinner. Il primo ad alzare al cielo il trofeo che sembrava più irraggiungibile. E per questo più bello, più sognato. Riuscirci battendo Carlos Alcaraz, che qui a Church Road ne aveva già assommati due, e che poche settimane prima a Parigi aveva inflitto lui una sconfitta in cinque set destinata ad esser ricordata a lungo, rende tutto ancora più speciale. L'anello di congiunzione, Sinner. In grado di ricongiungere il passato al futuro.
Di dare un senso a quegli anni di digiuni e incolmabili distanze. E di ispirarne di nuovi. Vedete? Si può fare. Lavorando seriamente senza perdere il sorriso. Senza avere paura di cambiare. Anzi. E' solo cambiando che si impara a conoscersi meglio. A sfidarsi. Sé stessi e i tabù. E trattando vittoria e sconfitta, quei due impostori, alla stessa maniera. Come Wimbledon ricorda ai suoi finalisti sul punto di metter piede in campo. Non ci siamo mai sentiti così inglesi come oggi.
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