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Eventi internazionali

Shapovalov sbatte su Djokovic: il muro del pianto

Il n.1 del mondo supera l’emergente canadese in tre set, soffrendo ma alzando il livello nei punti decisivi. Domenica, contro Matteo Berrettini, andrà a caccia del 20 major, che gli permetterebbe di raggiungere Federer e Nadal

di | 09 luglio 2021

Novak Djokovic si è qualficato per la sua settima finale a Wimbledon (Foto Getty Images)

Novak Djokovic si è qualficato per la sua settima finale a Wimbledon (Foto Getty Images)

E’ finita con l’ennesimo urlo rabbioso del Djokovic vincente e le lacrime di Denis Shapovalov, mai così vicino al n.1 del mondo e al tempo stesso battuto un’altra volta senza speranza.

La sfida che consegna al campione serbo il lasciapassare per la sua 30esima finale Slam, la settima a Wimbledon, ha tutti gli elementi classici delle grandi prestazioni di Nole: quando l’importanza del match sale lui alza progressivamente l’asticella del suo gioco, fino a quando l’avversario vede un muro altissimo e invalicabile.

E’ finita 7-6(3) 7-5 7-5 in due ore e 44 minuti di tennis equilibratissimo (e a tratti spettacolare) con la netta sensazione però che Djokovic abbia schiacciato tre volte l’acceleratore fino in fondo per chiudere i set (e il match) e il bravissimo, biondissimo Denis non abbia potuto che accettare la stretta di mano finale. Con il pianto dentro.

In avvio si è subito capito che lo Shapovalov di questo Wimbledon era la versione 2.0 del puledro di purosangue, scalpitante ma disordinato, delle passate stagioni. Tanto talento ma più ordine, più continuità portano a prestazioni finalmente da top 10 come è successo agli Internazionali BNL d’Italia contro Rafael Nadal o a percorsi di qualità come questo ai Championships che gli ha visto battere, oltre a Andy Murray, due tennisti molto solidi come Roberto Bautista Agut e Karen Khachanov.

Servizio a mille, attitudine vincente e Denis era il primo a strappare il servizio all’avversario, già sull’1-1, tenendo poi i propri turni con una disarmante facilità che lo portava prima 3-1, poi a un 4-2 che pareva preludio a un match da svolta epocale.

A quel punto Nole faceva il primo “upgrade” di cattiveria e concentrazione e proprio lì Shapovalov si tradiva. Lasciava uscire la parte ancora acerba del suo “tennis in progress”.

Djokovic cambiava marcia e lui no. Non tanto in termini di giocate, sempre incisive e spettacolari, quanto in termini di determinazione, attaccamento al singolo “quindici”, tignosità. Che cosa si aspettava, che visti due o tre splendidi rovesci vincenti dei suoi Djokovic dicesse, prego, si accomodi, vada avanti lei?

Chi vuole provare a battere il serbo, di questi tempi, deve essere pronto a una battaglia durissima in cui la giocata eccezionale non basta. Ne servono tante, ripetute ma soprattutto l’umiltà di non tentare sempre il gesto da applausi, ricorrendo quando è necessario anche scelte meno brillanti sul piano scenico ma efficaci per conquistare quel “quindici” lì. Il quindici importante, nel momento delicato.

Questo è quello che fa Djokovic, anche se ha già vinto 19 Slam e domenica giocherà, come dicevamo, la sua trentesima finale. Si sporca la maglia, si sdraia a rincorrere la palla impossibile, la mette là dove l’avversario dovrà colpire male, non dove l’aspetta il pubblico per applaudire la meraviglia.

E così arriva il contro break: 4-4. Poi si va al tie-break. E anche lì i punti che contano li fa Nole, che ha alzato il suo muro.

Shapovalov che, si è visto sfuggire la prima partita come sabbia tra le dita, non si arrende. Ricomincia con le sue meraviglie balistiche e impegna il favorito in una sfida alla pari. Fino al 5 pari. Lì Nole ha il solito sguardo impallato dei momenti decisivi, non arretra di un millimetro, non regala niente, piazza la palla dove fa più male: fa il break e chiude 7-5.

Un classico. Come classico è il sostegno del pubblico al suo avversario anche perché, come praticamente tutti i suoi avversari, è percepito come “il più debole”, dalla parte del quale è sempre bello stare. Altrettanto di repertorio l’incazzatura del n.1 quando qualcuno applaude un punto conquistato da Shapovalov con l’aiuto del nastro, il classico colpo di… fortuna.

Fatto sta che il terzo set segue il medesimo copione del secondo: altalena di servizi fino al 5-5. Poi il break di Djokovic, che tiene il servizio a zero e chiude con un ace. A Denis vengono i lucciconi, mentre Nole argomenta al microfono dei titoli che ha conquistato e del Grand Slam che potrebbe realizzare.

Dire che in finale partirà favorito è un’ovvietà. Altrettanto ovvio è però che il Matteo Berrettini visto in queste settimane sull’erba non assomiglia neanche un po’ al tenero Denis. Sorride anziché piangere e martella con la stessa concretezza di Djokovic, però un po’ più forte.

Chissà che qualche fantasma del Roland Garros non si presenti al n.1 nelle prossime notti londinesi. Sì, quello lungo lungo, che tira ‘catenate’ di diritto…


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