

Novak Djokovic ha vinto quella che ha definito "una delle partite più difficili della stagione" alle Nitto ATP Finals. Ha piegato Daniil Medvedev, già eliminato, nonostante un evidente malessere, dopo 3 ore e 11 minuti
di Alessandro Mastroluca, da Torino | 18 novembre 2022
Il lupo Djokovic si piega, cerca aria e sollievo. Ma non si spezza, non perde il gusto di cercare la vittoria costi quel che costi. Già sicuro del primo posto, contro un Medvedev già eliminato, ha dato battaglia per tre ore e dieci minuti con visibili segni di malessere fisico. E alla fine ha chiuso 63 67(5) 76(2).
"Oggi è stata una delle mie partite più difficili, fisicamente non mi sentivo bene nel terzo set. Ma lo sport è così, ho anticipato bene il suo servizio quando lui è andato a servire per il match sul 5-4. Queste vittorie valgono molto di più di un semplice match" ha detto nell'intervista a caldo. Ma non ha voluto dare particolari dettagli sulla cause, su quel che esattamente gli è successo, in conferenza stampa. Si è limitato a parlare di "stanchezza per la partita, ma non voglio dire nient'altro, non voglio dare informazioni che potrebbero aiutare i miei avversari".
Novak Djokovic, a due vittorie dal record di sei trionfi alle Nitto ATP Finals di Roger Federer e dal diventare il campione più anziano nella storia del torneo gioca con se stesso e per la storia. E' in semifinale per l'undicesima volta in quindici partecipazioni alle Finals (negli ultimi sedici anni, ha saltato solo l'edizione 2017), ma il pensiero in campo non sembra sfiorarlo.
Terzo per numero di semifinali raggiunte nel torneo, dietro solo a Roger Federer (16) e Ivan Lendl (12), secondo Jim Courier non è un 35enne come gli altri.
In un'intervento per il podcast Inside-In lo statunitense, numero 1 del mondo a fine stagione per due anni di fila, ha ammesso la sua ammirata sorpresa di fronte all'attuale livello di gioco e condizione del serbo. "Non ha il fisico del classico 35enne, penso che possa fare come Tom Brady". Ovvero come una delle stelle del football americano, considerato il più grande di tutti i tempi nella lega NFL, che ha giocato fino a 45 anni.
Chissà se l'ha ascoltato Carlos Alcaraz, premiato come numero 1 di fine stagione, che è stato il più giovane ad arrivare in vetta alla classifica da quando esiste il ranking computerizzato. O cosa avrebbe da dire Holger Rune, teenager danese che in campo si sente 30 anni e fuori se ne darebbe 16, diventato Top 10 proprio battendo Djokovic in finale a Parigi-Bercy.
Oggi l'elasticità di Djokovic ha fatto la differenza, almeno nel primo set, a maggior ragione su un campo così rapido come quello di quest'anno al Pala Alpitour. Medvedev, che dà il meglio quando può controllare tempi e spazi da dietro, deve adattarsi a un ritmo diverso, a un battito accelerato. E finisce per scavalcare il sottile confine tra la velocità e la fretta molto più spesso di quanto sarebbe salutare.
Al serbo basta un break, completato con precisione glaciale nel penultimo game (5-3) per mettere in ghiaccio il primo set.
Nel secondo lo scenario sembra ripetersi, ma il moscovita cancella la palla break del possibile 5-4 e servizio Djokovic con un diritto che sradica la racchetta dalle mani del serbo. Nole poi esce dal campo per un problema con la lente a contatto destra.
Il game successivo è il turno di battuta più complicato per il serbo. Concede tre set point ma li salva tutte. L'ultima è un manifesto di elasticità e tenuta, uno scambio sfiancante in cui ogni traiettoria e ogni angolo del campo per impedire a Medvedev di manovrare a suo vantaggio poi piazza il diritto diagonale che sembra un colpo da ko. La verità però è diversa.
Nrl tiebreak Djokovic è meno preciso, meno reattivo. Va sotto 2-4 e al cambio campo si piega in due per cercare aria. Medvedev gioca più vicino al campo, il serbo accorcia e quando prova a venire avanti la discesa è affannosa, il posizionamento talvolta approssimativo. Il moscovita raggiunge il quarto set point e stavolta lo trasforma con un tagliente lungolinea di rovescio. In panchina Djokovic si ripiega con la testa sulle ginocchia, si toglie la maglia, si porta l'asciugamano al volto con un leggero tremolio alla mano destra, si rovescia una bottiglietta d'acqua sulla testa.
Il pubblico lo incoraggia, lo applaude, ma la fame d'aria continua ad essere evidente anche all'inizio del terzo set.
Diventa come non mai una sfida di resistenza, una partita in cui ognuno gioca contro due avversari. Djokovic contro il suo fisico che lo sta tradendo, Medvedev contro la sua mente, contro i pensieri pesanti che lo zavorrano in una partita senza niente di sportivamente rilevante in palio, contro un avversario visibilmente non al meglio.
L'equilibrio rimane, oscillante ma inscalfibile. Djokovic soffre ma non molla, non cede un centimetro prima di aver dato tutto. Nemmeno dopo aver subito il break del 4-5.
Medvedev lo sfida, sorride sotto il baffetto accennato e agita le braccia verso le tribune, senza guardare i tifosi che sentono di stare assistendo a uno spettacolo difficile da dimenticare.
Il Pala Alpitour diventa un'arena. E Nole la governa come pochi altri. Quando il moscovita che gli ha tolto lo scettro di numero 1 di mondo per la prima volta a febbraio va a servire per il match, Djokovic piazza il colpo da campione e il controbreak.
Fa correre talmente tanto Medvedev che il russo, in campo come atleta neutrale, deve cambiarsi le scarpe. Il serbo lo aspetta, approfittandone per respirare, dietro una delle balaustre griffate che segnano la posizione dei giudici di linea.
La lotta, scivolosa e profonda come avrebbe detto Fabrizio De André, supera le tre ore e si decide al tiebreak del terzo set. E per la terza volta su tre partite nel girone, Medvedev lo perde il tiebreak del terzo set. Finisce 7-2 Djokovic che stampa un ultimo lungolinea di diritto sul match point e lancia un urlo probabilmente ascoltato almeno fino allo stadio del Torino, non distante dal Pala Alpitour. Il "lupo" non ha ancora perso il vizio.
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