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Eventi internazionali

Un coach-papà e uno psicologo… de Dios: Così “il vulcano” è diventato Fokina!

Aguirre, il coach storico del finalista di Montecarlo svela i segreti e i margini di progresso dello spagnolo dal sangue russo che ringrazia Alcaraz…

di | 28 aprile 2022

Jorge Aguirre è l’angelo custode di Alejandro Davidovich Fokina, il finalista rivelazione di Montecarlo, ennesimo protagonista Next Gen con sangue russo nel vene, da papà Edvard, ex pugile, con passaporto anche svedese, e mamma Tatiana, russa doc. “Lo alleno da quand’ha 11 anni, so bene com’è fatto: quando devo spronarlo e quando invece devo lasciargli spazio. Fra noi c’è un grande rispetto reciproco. La sua prima qualità è stata quella di credere nel mio lavoro.” Oggi il 22enne nato in Spagna, che sventola bandiera spagnola ma, come dicevamo, ha origini russe, sta raccogliendo i frutti del grande lavoro per disciplinare potenza ed effervescenza atletica, tanto da raggiungere la classifica-record di n.27 del mondo. Ci aiuta a conoscerlo meglio proprio il suo coach in un’intervista pubblicata sul sito dell'ATP.

Si aspettava un risultato come quello di Montecarlo?

Difficile da dirsi. Ho pensato che Alex era in buone condizioni da qualche mese, e sotto più aspetti. L’attitudine, la voglia, la dedizione, il livello… Quando i risultati non arrivano tutto sembra svanire, e appena invece vinci due partite pensi che tutto vada bene. Per come era andata a Marrakech - con la sconfitta al primo turno contro Federico Coria -, non pensi mai che arrivi a Montecarlo e fai un grande torneo. Ma questo è Alex. Quando siamo arrivati nel Principato speravamo davvero di far bene, poi le circostanze si sono allineate ed abbiamo avuto una settimana fantastica”.

Quando batti una leggenda il contraccolpo è spesso negativo, invece Davidovich, dopo aver eliminato Djokovic, ha fatto il contrario.

Conosco molto bene la personalità di Alex. Nel tempo, quando sembrava che potesse mantenere la continuità ha invece accusato sempre dei cali, non ha risposto alle aspettative. Ma sapevo anche che quando avverte una fiducia interiore dopo aver sconfitto un giocatore come Novak poi non riesce a dormire sapendo che può davvero competere con tutti e batterli. E quando Alex si sente a quel modo diventa un giocatore molto pericoloso. Il giorno dopo la vittoria su Djokovic era difficile esprimersi in campo ma Alex ha questa abilità di sentirsi forte dentro e fuori del campo e voleva di più. Nel profondo di sé aveva fiducia di poter giocar bene”.

Mentalmente come gestisce il suo allievo dopo una settimana così?

Molto meglio di prima, ha riconosciuto i piccoli errori che poteva aver commesso quando aveva raggiunto il massimo ad alto livello. Non solo l’anno scorso, è del 2019 che tocca picchi di livello vertiginosi ma non è riuscito a gestire quei momenti. Tutti questi anni di lavoro, qualche rimprovero, tante discussioni ed analisi lo aiuteranno a tollerare questa nuova situazione che si è creata. L’aspettava con grande entusiasmo e forza, gli ha dato voglia di competere di più. Certo, ha ancora i suoi dubbi ma in questo momento è convinto di quello che vuole e di dove vuole andare”.

Alejandro le ha riconosciuto grandi meriti. Ha anche detto che senza di lei non sarebbe un giocatore di tennis. Come definire questa relazione cominciata tanto tempo fa?

E’ molto speciale. Possiamo vedere com’è il mondo dello sport. I giocatori tendono a dare la colpa a qualcosa o aqualcuno appena perdono tre partite consecutive, gli allenatori lottano per affrontare le implicazioni di questa situazione che si ripete e si impegnano per combinare il lato personale con quello  professionale. Nel nostro caso si sono uniti, anche per l’ambizione sportiva che ho io nel cercare da tanti anni di produrre buoni giocatori che potessero esprimersi nell’élite mondiale. Quando abbiamo iniziato con Alex ho visto questa possibilità e combatto tuttora con tutte le mie forze per aiutarlo il più possibile. Alex ha fiducia, lealtà e la convinzione di essere nelle mani migliori possibili. Cerca di superare ogni tipo di crisi, che hanno tutti, senza guardare altrove. Si guarda dentro sapendo dove ha commesso un errore o dove tutti commettiamo errori, ma senza incolpare nessuno. Tutti e due siamo spinti dal desiderio di migliorare, mettendo le cose sul tavolo come in ogni relazione che vuoi che duri. Questa è la chiave: entrambi vogliamo che l’altro vinca, e così ne ricaviamo una grande forza per spronarci a vicenda”.

C’è spazio per altri miglioramenti?

In generale c’è sempre spazio per dei cambiamenti, in positivo come in negativo. Non c’è niente che spicchi davvero tra tutti i suoi punti di forza. Quando riesce a concentrare tutte le energie sulla partita, su un punto preciso, riesce a fare molto. Può giocare dal fondo, sia di diritto che di rovescio, servizio e risposta sono buoni, si muove bene, può passare dalla difesa all’attacco, e quando attacca lo fa con forza… Purtroppo, quando le cose non gli vanno bene sembra che tutto crolli perché non ha punti facili, col servizio e col diritto, soluzioni rapide che lo possano aiutare quando è in pericolo. Il suo margine di miglioramento è nella capacità di fare tutto bene. Di sicuro, col tempo servirà meglio, il diritto diventerà sempre più stabile, i colpi saranno più puliti. Sta cambiando in meglio il punto d’impatto del rovescio, si muove più fluido da fondo sia sulla terra che sul cemento, e sta migliorando a rete... Ha bisogno di un po’ di tutto per diventare un giocatore più completo”.

Come fa uno psicologo a lavorare con un… vulcano?

Nel team c’è sempre stato Antonio de Dios che, oltre ad essere uno psicologo, è uno dei miei migliori amici e lavora con Alex da quando aveva 11 anni. Io pure ho studiato psicologia: è una parte dello sport che mi piace molto perché la tecnica è fondamentale ma quello che succede 'tra le orecchie' prima di ogni colpo è ciò che fa sì che il corpo o segua la palla o resti indietro, oppure s’incrampi. Quel lavoro mentale in background è fondamentale e Alejandro lo fa molto bene. Ci crediamo e dipendiamo sempre molto da Antonio”.

Pensa che l’ascesa di Carlos Alcaraz potrebbe stimolarlo?

Decisamente. E’ già stato così. Qualche anno fa sembrava che Alex fosse quello in ascesa, ora è apparso Carlos ed è un giocatore stratosferico. Sono sicuro che questo sia fantastico anche per noi: hai 22 anni, sembra che stai giocando bene, poi arriva uno di 18 anni e ti sorpassa e divora la concorrenza. Per Alex è molto importante vedere che non è una questione di età, ma di momenti, di potenziale, di voglia di lottare per ciò che vuoi. Sono sicuro che si aiuteranno davvero a vicenda, sono già buoni amici. Con loro due, in Spagna, ci divertiremo perché entrambi cercheranno di fare la miglior corsa possibile. Speriamo proprio che diventino tutti e due grandi giocatori”.

Che cosa è cambiato dopo Montecarlo?

“Sinceramente, non cambieremo ciò che gli abbiamo detto nei 10 giorni al Country Club. Quello che tutti noi vogliamo è che Alex trovi il suo gioco “A” in modo più coerente. Vogliamo che ogni volta che va in campo sia convinto di poter giocare a quei livelli. Che dica a sé stesso: “Posso muovermi in questo modo, posso servire così. E che lo faccia di settimana in settimana. Qualunque risultato si meriti arriverà. Ma vogliamo che fra un mese e mezzo possa riconoscersi. Questo è l’obiettivo: vogliamo che a giugno/luglio sia ancora lui, che ogni volta che gioca la partita o si allena, lo faccia con la massima eccitazione e dedizione. Che si tratti di Wimbledon, degli Open di Francia o di una esibizione. Speriamo di poter arrivare prima possibile a questo stadio della sua evoluzione”.


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