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Eventi internazionali

19 giugno 1922: 100 anni fa la prima volta dell’Italia in Coppa Davis

Superato il primo turno per rinuncia del Giappone, esattamente un secolo fa la squadra azzurra dovette andare a sfidare gli inventori del gioco, allora sotto la denominazione di Isole Britanniche, al Roehampton Lawn Tennis Club. Fu una severa lezione dalla quale però prese avvio una storia importante

di | 19 giugno 2022

Il conte Mino Balbi di Robecco (a sinistra) e Cesare Colombo, i due giocatori schierati dall'Italia nella prima sfida di Coppa Davis della storia, nel 1922 contro le Isole Britanniche

Il conte Mino Balbi di Robecco (a sinistra) e Cesare Colombo, i due giocatori schierati dall'Italia nella prima sfida di Coppa Davis della storia, nel 1922 contro le Isole Britanniche

Il ricordo più tangibile della prima partita disputata dall’Italia in Coppa Davis è una moneta d’oro. Una casa d’aste londinese la propone sul suo sito a partire da 5.000 sterline. Cento anni dopo quel lunedì 19 giugno del 1922, quando al Roehampton Lawn Tennis Club si affrontarono i padroni di casa delle Isole Britanniche e la prima formazione azzurra con racchetta da tennis, è lì a raccontarcelo la moneta celebrativa dell’evento, appartenuta a Frank Lorymer Riseley (come da incisione sul retro), il più titolato dei tennisti della squadra britannica, anche se nell’occasione schierato solo in doppio.

100 anni di Italia in Coppa Davis, che storia!

Nel 1922 Riseley infatti aveva già 49 anni e quella partita, in coppia con il singolarista n.1 Algernon Kingscote, fu la sua ultima apparizione sul campo: la gloria se l’era costruita quasi 20 anni prima, con tre finali in singolare e due vittorie in doppio a Wimbledon (1902 e 1906 in coppia con Sydney Smith).

I nostri due alfieri, Mino Balbi di Robecco e Cesare Colombo, si trovarono dunque ad affrontare in quel match, che chiuse virtualmente l’incontro, una coppia formata dal miglior giocatore inglese del tempo (Kingscote) e da una vecchia gloria nazionale, che poteva vantare di esser stato valido avversario di leggende di inizio secolo come i fratelli Laurie e Reggie Doherty, quelli cui sono ancora oggi intitolati i sacri cancelli da cui si passa per entrare nel club di Wimbledon, i Doherty Gates.

Frank Riseley

Il Conte Balbi di Robecco e Colombo erano il meglio dell’Italia tennistica del tempo. Il primo, genovese ed ex calciatore del Genoa, nonché pioniere dell’aviazione nel nostro Paese (fece costruire su suo progetto e pilotò uno dei primi tre velivoli prodotti in Italia, il monoplano battezzato “Issione”), avrebbe conquistato 9 titoli italiani, 4 in singolare e 5 in doppio. Proprio in quel 1922 si era aggiudicato il torneo di Montecarlo, già allora un classico su terra battuta. Non da meno sarebbe stato Colombo, nato a La Spezia ma socio storico del Tennis Club Milano: 9 titoli anche per lui, 2 in singolare, 4 in doppio (due dei quali proprio insieme a Balbi di Robecco) e 3 in misto (con la diva italiana della racchetta in quell’epoca, Giulia Perelli).

Gli azzurri non erano però pronti a reggere l’urto, sui campi in erba del club dove ancora oggi si disputano le qualificazioni dei Championships, di una squadra dell’esperienza di quella inglese, protagonista in Coppa Davis sin dalla prima edizione quella del 1900, che era consistita in un’unica grande sfida tra Stati Uniti e Isole Britanniche, disputata al Longwood Cricket Club di Boston.

Una competizione denominata International Lawn Tennis Challenge, ideata da quattro studenti di Harvard per sfidare i colleghi inglesi, che avrebbe poi preso il nome di uno di loro, Dwight Filley Davis, che si era preso la briga di commissionare, pagandola di tasca propria, quell’insalatiera d’argento da 217 once (circa 6,8 kg) che ancora oggi è il simbolo di un vero e proprio campionato del mondo a squadre.

Anche per i britannici non erano più i tempi dei fratelli Doherty: nel tennis si erano fatti largo l’australiano Norman Brooks e il neozelandese Antony Wilding. E gli americani erano diventati sempre più forti, tanto da esprimere quel Bill Tilden che nel 1922 era considerato il giocatore più forte del mondo. Ciononostante Algernon Kingscote era reputato, dallo stesso Tilden, un signor giocatore, anche se un po’ mancante di potenza e aggressività secondo i gusti dell’americano, inventroe del servizio “Cannonball”, che si era imposto sia a Wimbledon che nei Campionati degli Stati Uniti sia nel 1920 che nel 1921.

Kingscote si era aggiudicato i Campionati di Australasia nel 1919 (oggi Open d’Australia) ma a Wimbledon non era andato oltre una finale “All comers” nel 1919, battuto dall’australiano Gerald Patterson che poi nel Challenge Round superò anche il campione in carica Norman Brooks.

Algernon Kingscote

Ricordare che proprio fino al 1922 a Wimbledon si giocò con la formula del Challange Round (un torneo degli sfidanti il cui vincitore affrontava nella finalissima il “defending champion”, cioè il vincitore dell’edizione precedente, come avviene ancora oggi nell’America’s Cup di vela) aiuta a ricostruire quei tempi eroici del tennis.

Aiuta però anche a mettere in evidenza come proprio il 1922 fu un anno di svolta per il mondo delle racchette: Wimbledon, il torneo simbolo, spostò la sua sede dall’originaria Worple Road (dove il torneo era nato nel 1877) all’attuale Church Road. E abolì il challenge round, avviando il torneo con la formula attuale.

Il Centre Court venne inaugurato lunedì 26 giugno in pompa magna da Re Giorgio V: un grande stadio da 13.500 spettatori che si era reso indispensabile per dare la possibilità alla nuova massa di appassionati di seguire le gesta di campioni che erano diventati divi popolari: l’americano Bill Tilden e la ‘divina’ giocatrice francese Suzanne Lenglen su tutti.

Il Centre Court di Wimbledon nel 1922 (Foto Getty Images)

In quel giugno londinese, si giocò dal 19 al 21, l’Italia esordì in punta di piedi e raccolse poco. Finì 4-1 solo perché Kingscote diede forfait, a risultato acquisito, contro Mino Balbi di Robecco. Nel singolare d’esordio lo stesso Kingscote aveva battuto Colombo 7-5 6-4 6-1. Poi il n.2 britannico Gordon Lowe aveva lasciato solo 5 giochi (6-1 6-3 6-1) a Balbi di Robecco e il doppio (Balbi e Colombo contro Kingscote e Riseley) non era andato meglio: 6-1 6-4 6-0 per i Britons.

Ma le cose sarebbero cambiate velocemente: sulla panchina azzurra, lasciato inspiegabilmente nel ruolo di riserva dal capitano Mario Brian, sedeva Uberto De Morpurgo, anche lui di nobili origini, un barone, che risiedeva in quel periodo proprio in Inghilterra e aveva perso di un soffio la finale di un torneo a Buckingham contro Kingscote. In un suo diario avrebbe poi raccontato di non aver mai capito i motivi quell’esclusione, dato che i suoi compagni di squadra erano arrivati pochi giorni prima in Inghilterra e avevano ancora scarsa confidenza con l’erba.

Il barone Uberto de Morpurgo

Di fatto de Morpurgo sarebbe diventato titolare inamovibile della squadra nelle stagioni successive. E già nel 1928 gli azzurri sarebbero stati capaci di restituire il 4-1 agli inglesi, sempre a casa loro, con il barone Uberto capace di vincere i suoi due singolari e il doppio. E in quello stesso anno di raggiungere i quarti di finale a Wimbledon. La grande storia dell’Italia in Coppa Davis era già entrata nel vivo di quei 100 anni che celebriamo proprio oggi.

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