

Un movimento importante non riesce a tenere botta al vertice: Norrie ed Evans non bastano. Mentre Sir Andy è sempre più in difficoltà e la bella Emma vince solo nello show business
di Vincenzo Martucci | 28 aprile 2023
La Perfida Albione non fa più paura. Anzi. Altro che spregiudicatezza estera. Almeno nel tennis mondiale la Gran Bretagna è un pianto: fra infortunati e comete che si spengono, giovani e anziani proprio non riescono a tener alto il blasone della storia e del mitico Wimbledon. Con 4 uomini fra i primi 52 del mondo e una sola donna top 100, all’85. Pochi risultati, pochissime soddisfazioni e un futuro, oggi, senza speranze.
A un mese dai 36 anni Sir Andy Murray trascina imprecando più che mai, in campo, le stanche membra, sempre in emergenza, senza sul ciglio del baratro, rimediando sempre più figuracce, col terzo ko d’acchito di fila, fra Miami, Montecarlo e Madrid.
Il cemento è troppo duro, l’indoor è troppo veloce, la terra troppo impegnativa, l’erba certamente lo rinfrancherà ma avrà aspettative anche troppo importanti. Troppo è del resto la parola che si accompagna al campione che visse tre volte dopo la doppia operazione alle anche, capace poi di destreggiarsi ad alto livello compensando la sempre più scarsa mobilità con colpo d’occhio, classe, esperienza e cuor da leone. Ma la clessidra del tempo sta esaurendo la sua sabbia, e anche l’aura di rispettabilità del fenomeno scozzese. Che rischia di farsi male sempre più e che magari ai Championships alzerà definitivamente bandiera bianca.
Se però il figlio di mamma Judy, non certo della ricca LTA (la Federtennis brit), vivacchia ancora al numero 52 della classifica, la bandiera del paese, Cameron Norrie, giocatore pur orgoglioso e generoso che ha fatto grandi progressi, non è sufficiente per quel movimento così ambizioso. Non basta una punta al numero 13 del mondo e non basta un personaggio senza una personalità di spicco. Al di là dei buoni risultati del 27enne che quest’anno ha comunque approfittato di un Alcaraz sbiadito e stanco a Rio del Janeiro per aggiudicarsi un torneo 250 dopo aver perso la settimana prima sotto il traguardo con lo stesso avversario a Buenos Aires sulla terra rossa sudamericana dove trova il tempo per tessere le sue tele d’attacco. Mentre sul cemento di Auckland ha perso in finale contro un campione in discesa come Gasquet. Si riscatterà sull’erba contro avversati sempre più potenti?
Da junior, Daniel Evans il ribelle prometteva molto di più ma, piccolo di taglia e troppo discontinuo nel rendimento, a ormai 32, da 24 del ranking, accende le folle troppo sporadicamente con le sue fiammate e proprio non riesce a fare il salto di qualità da top ten. Un obiettivo che non ha mai raggiunto.
Alterna invece più uscite consecutive al primo turno a semifinali nei 250 di Marrakech e Barcellona che proprio non possono accedere l’attenzione del pubblico tennistico dal palato fino e viziato dalle imprese di Andy Murray. Che s’è inserito negli Slam nella triade d sogno Federer-Nadal-Djokovic salendo anche al numero 1 del mondo.
Jack Draper coi suoi bei tiri mancini e la propensione nettamente offensiva sembrava il profeta, a dispetto di un cognome ingombrante per via di papà, dirigente federale che l’avrebbe aiutato con le wild card da giovane. Il ragazzo ha sicuramente dei numeri importanti ma anche un gioco difficile e dispendioso. Così, a 21 anni, stenta nello slalom parallelo coi giovani coetanei che già stanno spiovendo la storia nei tornei più importanti.
Ahilui, s’è fatto male più volte e va e viene dai box. Anche se a Indian Wells ha ribadito il ruolo di futuro numero 1 nazionale battendo sia Evans che Murray ma poi ritirandosi contro Alcaraz. Un po’ come precedentemente nel torneo di Adelaide 2: dove, a rovinare le belle affermazioni su Sonego, Paul e Khachanov, s’è fermato contro Kwon che aveva appena superato la settimana prima nel torneo gemello.
Risultati che gli valgono il 48 del mondo, non abbastanza per il tennis brit e soprattutto per le sue ambizioni. Che, comunque, sull’erba di casa, potranno esaltarsi, salute permettendo. Di certo, dietro il quartetto Norrie-Evans-Draper-Murray non c’è nulla. Col povero Edmund che sta lentamente e faticosamente riprovando dopo il suo drammatico infortunio e i giovani che latitano.
Se il settore maschile brit non esalta quello femminile è legato solo e soltanto ad Emma Raducanu. Che, a 20 anni, è numero 85 del mondo e, pur supportata energicamente dallo show business (ha incamerato oltre 316 milioni di dollari!), tennisticamente parlando vive dal passato. Nel ricordo delle incredibili imprese del 2021, col quattro turno a Wimbledon e, soprattutto, il trionfo agli US Open. Che resta emblematicamente il primo e unico successo WTA della bella ragazza col sorriso radioso di papà rumeno, mamma cinese, con passaporto canadese e bandiera inglese.
Ahilei, Emma ne ha sempre una, fra schiena e spalla, e quando finalmente va in pista, va drammaticamente fuori giri, assolutamente incapace, oggi, di essere competitiva al livello che tutti pensavano. E’ clamorosamente evaporata proprio come Leylah Fernandez, la sua avversaria di quella finale da sogno che sembrava preludere a una nuova, scintillate e giovanissima, rivalità al vertice.
Dietro la chimera Emma, c’è solo la 110 del mondo Jodie Burrage, fa capolino Harriet Dart e si fa notare più che altro per le sue grazie Katie Boulter. Davvero poca cosa. Soprattutto a dispetto delle grandi promesse di due anni fa della Raducanu e degli immani sforzi dei media brit sula scia di Andy Murray.
Non ci sono commenti