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Seppi l’erbivoro torna a Roehampton: il 17° Wimbledon è a un passo

A 17 anni dall’ultima volta Andreas Seppi è tornato a giocare le qualificazioni di Wimbledon. Un disonore per chi ha calcato l’erba del Centre Court? Per nulla: Andreas l’ha fatto senza battere ciglio, arrivando al turno decisivo e confermando quel feeling coi prati che l’ha reso l’italiano più vincente di sempre sull’erba fino all'avvento di Berrettini

23 giugno 2022

Il miglior tennista italiano sull’erba? Oggi non ci sono dubbi: Matteo Berrettini. Ma di dubbi non ce n’erano nemmeno prima dell’avvento del gigante romano, perché l’unica risposta possibile era Andreas Seppi. Per anni l’altoatesino è stato il solo tennista azzurro ad approcciare la stagione sui prati con la certezza di poter fare bene, costruita a suon di risultati importanti.

Nel 2011 a Eastbourne è diventato il primo italiano a vincere un titolo ATP sull’erba, poi ne ha sfiorati altri due (l’anno successivo, quindi nel 2015 a Halle dove impegnò sul serio Roger Federer) e il suo bilancio sui prati è il migliore di sempre per un tennista azzurro. Le statistiche della sua carriera parlano di 63 vittorie sull’erba e 18 a Wimbledon, entrambi record italiani. C’è chi ai Championships ha fatto più strada di lui, da Panatta e Sanguinetti (arrivato ai quarti all’All England Club nel 1998) fino a Matteo Berrettini, che di questo passo i primati di Andreas li polverizzerà nel giro di tre stagioni al massimo.

Ma in termini di continuità e longevità sull’erba nessuno è mai riuscito ad avvicinare Seppi, che solo all’Australian Open ha vinto più match. A Wimbledon non è mai andato oltre gli ottavi, giocati nel 2013 quando a fermarlo fu Juan Martin Del Potro, ma è quasi sempre riuscito a superare i primi turni, sfruttando a dovere l’obbligo – imposto dalla superficie – di giocare un tennis più istintivo e meno ragionato. Per tanti altri è stato un problema, mentre per lui ha sempre funzionato a meraviglia. E funziona ancora.

Dopo una vita, Andreas si è trovato costretto a tornare a giocare le qualificazioni a Roehampton, dove non metteva piede da quando nel 2005 recuperò due set di svantaggio a Gilles Simon, vinse al quinto (sarebbe diventata una piacevole abitudine della sua carriera Slam) e si meritò un posto all’All England Club, poi sempre difeso per meriti di classifica.

Stavolta, invece, un ranking di numero 149 (non era così indietro dall’estate del 2004) l’ha obbligato a fare un passo indietro e a lottare tre match in più per il suo posto in tabellone. Un disonore? Nient’affatto. Al suo ritorno a Roehampton l’altoatesino ha addirittura dedicato una storia sul proprio account Instagram, per mostrare al mondo che era pronto a combattere per meritarsi l’AELTC.

L’inizio è stato incoraggiante con un successo in tre set su Mirza Basic, e una più netta vittoria contro il giovane britannico Aidan McHugh, classe 2000, numero 353 al mondo ma ex top-10 juniores, protetto di Andy Murray. Seppi ha battuto 6-4 6-2 il ventunenne che giocava in casa ma non ha un briciolo dell’esperienza di Andreas, che nel 2015 – ultima volta al terzo turno – si giocò l’accesso alla seconda settimana proprio col suo mentore Murray, sul Centre Court. Perse in quattro set, ma a testa alta.

Un Seppi 21enne ai tempi del suo primo Wimbledon. Si qualificò, poi perse con Davide Sanguinetti

Al turno decisivo delle qualificazioni, Seppi si gioca un posto in tabellone contro lo slovacco Lukas Klein, che ha eliminato il tedesco Yannik Hanfmann. Un buon giocatore, ma lontano anni luce dal miglior Seppi versione erbivora, a caccia della sua 17esima partecipazione al main draw dei Championships.

La sconfitta nelle qualificazioni del Roland Garros ha interrotto a 66 la sua striscia di partecipazioni consecutive ai tornei del Grande Slam, la terza più lunga di sempre alle spalle solamente di Feliciano Lopez (79) e Fernando Verdasco (66), e lì Seppi non ci può più fare nulla. Ma il tennista di Caldaro è anche nella top-10 dei più presenti in assoluto nei Major, grazie a 67 partecipazioni che lo collocano al settimo posto insieme a Novak Djokovic, e in questa classifica può continuare a salire, magari con l’obiettivo di raggiungere quota 70.

Resta da capire fino a quando vorrà andare avanti, specialmente se la posizione nel ranking dovesse renderne sempre più rare le partecipazioni agli Slam e a quei tornei del circuito maggiore ATP frequentati a tempo pieno per quasi vent’anni. Di ritiro lui non ne ha quasi mai parlato, ma a 38 anni, con una moglie e due figli ad attenderlo nella sua casa di Boulder (Colorado), un rendimento sempre più lontano da quello dei tempi d’oro e l’obbligo di combattere con quegli acciacchi dai quali è stato fenomenale a tenersi alla larga per quasi tutta la carriera, è facile credere che la data di scadenza della carriera da pro sia ormai vicina.

Eppure, senza battere ciglio, Andreas continua a lottare come fosse ancora quel ragazzino che 18 anni fa giocava il suo primo Slam, senza badare troppo al contesto. Che sia un luogo sacro come il Centre Court dell’All England Club, o l’anonimo Campo 10 di un impianto dove i qualificandi vengono spediti solo e soltanto per non rovinare l’erba in vista del main draw, per lui non fa differenza. Vuole solamente sentirsi ancora un giocatore di tennis e ha tutto il diritto di farlo. Anche perché gli riesce ancora piuttosto bene.

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