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Piedi, testa e colpi: a Toronto Demon fa sul serio

L'australiano, qui finalista due anni fa, battuto Tiafoe attende ora Shelton: "Le condizioni avverse? Mai lamentarsi, sono una sfida in più"

di | 05 agosto 2025

Alex De Minaur (Getty)

Alex De Minaur (Getty)

"Non lasciar andare nemmeno un punto fa parte del mio DNA, a prescindere dalla posizione che ho in campo. Quello di oggi è stato l'esempio perfetto di cosa si può ottenere mettendo a segno un punto come quello". Firmato, Alex De Minaur. Inarrendevole, infaticabile, inesauribile. L'australiano, vincitore una settimana fa del suo decimo titolo in carriera in quel di Washington, nonostante un fisico non in linea con i dettami moderni del gioco è lì, ancora tra i top10 a contendersi un posto per le Nitto ATP Finals, forte di una settima posizione nella Race per Torino che a oggi garantirebbe lui la seconda partecipazione consecutiva al gran finale di stagione. 

Arrivato sul circuito in leggera differita rispetto all'uscita di scena di Lleyton Hewitt, De Minaur ha saputo raccoglierne l'eredità pur non avendo ancora ricoperto la vetta del ranking. Dell'australiano ha la voglia di competere, la precisione nell'esecuzione e la volontà di estrarre tutto il potenziale da ciò che madre natura ha lui donato. Alla ruggine - "rusty" -, e alla spigolosità ha invece preferito ironia e discrezione. Non abbattendosi quando opposto a rivali che contro di lui vantavano record immacolati: "Nessuno batte Demon undici volte consecutive", disse l'anno scorso ad Acapulco quando riuscì ad imporsi per la prima volta in carriera contro Stefanos Tsitsipas. O presentandosi in tribuna senza dir niente a nessuno per assistere a sorpresa a un match della sua futura sposa Katie Boulter, numero uno britannica eliminata al primo turno a Montreal pochi giorni fa e da lui omaggiata via social con un toccante post. 

Vincitore a Washington dopo esser risalito dall'orlo del baratro contro Davidovich-Fokina, anche per lo spagnolo Demon ha avuto parole di conforto. L'agonismo lo esalta, ma è la serenità il suo baricentro. Esausto dopo una prima parte di stagione che lo aveva visto quasi sempre raggiungere i quarti di finale, al Roland Garros inciampò subito contro Alexander Bublik decidendo di prendersi una pausa da lui ieri così spiegata: "Sapevo di dover cambiare approccio perché quel che stavo provando e quel che stavo faticando a gestire era diventato insostenibile ed è per questo che sono andato in burnout - ha raccontato ieri in conferenza stampa a Toronto - Ho deciso di non difendere il titolo a s'Hertogenbosch anche se sapevo che la cosa avrebbe avuto ripercussioni sulla mia collocazione in tabellone a Wimbledon, ma era quello il primo passo: dimenticarmi del ranking e iniziare a preoccuparmi di me stesso". 

Toronto genera in lui bei ricordi. Due anni fa qui raggiunse la finale arrendendosi solo a Jannik Sinner. Questione di affinità, che quest'anno ha però faticato a ritrovare. Non per il vento, né per la superficie. "Dopo i primi due scambi in allenamento mi sono detto 'Oddio, non sento proprio la palla' e non sapevo perché. Ho provato a ricordarmi come facessi a giocare così bene due anni fa, se fosse un problema di condizioni o di palle". Alla fine a prevalere è stata la memoria, e con lei la fiducia che De Minaur ha deciso di darsi: "Avevo bei ricordi e così mi sono detto di provarci e che il tennis sarebbe prima o poi arrivato, mi sono concentrato su quello. Un approccio che non riguarda solo il primo turno ma che ho alimentato ogni giorno come fatto per tutta la mia carriera, sapendo che più lontano sarei arrivato in tabellone e più pericoloso sarei diventato come avversario". 

La costanza. Si torna sempre lì. La sua quarta semifinale del 2025 passa adesso dalla prima sfida in carriera all'amico Ben Shelton, il cui fiato sul collo Demon comincia a sentire tanto nel ranking quanto nella Race. Sul risultato molto influirà l'energia che i due riusciranno a mettere in campo: più esplosiva e intermittente quella dell'americano, più costante e abrasiva quella dell'aussie. Accidenti se è veloce, ha esclamato Shelton già traguardandosi a ciò che l'attenderà. "Oggi credo di essere ancora più veloce - ha confidato lui invece davanti ai microfoni - E' una dote che ho sempre avuto e su cui quest'anno magari ho fatto meno affidamento visto che mi sto concentrando sull'essere più aggressivo. Diciamo che mi aiuta quando si tratta di difendermi, ma è utile anche quando devo andare a rete o anticipare il prossimo colpo del mio avversario. E' un qualcosa che posso sfruttare anche in attacco". Piedi veloci, cervello fino, cuore leggero. Per Shelton non sarà un rebus semplice.

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