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Personaggi e interviste

Nastassja Burnett al timone di Cronache Italiane: "Senza nuove sfide, ti manca l'aria"

Intervista a Nastassja Burnett, numero 121 del mondo nel 2014. La sua carriera, l'indimenticabile vittoria su Alizé Cornet al Foro Italico e le nuove sfide. Da stasera sarà la conduttrice della nuova edizione di Cronache Italiane su SuperTennis

di | 27 febbraio 2024

Un nuovo ruolo, un nuovo inizio, nel segno di emozioni da ritrovare e riscoprire.  Nastassja Burnett, numero 121 del mondo nel 2014, è il nuovo volto di "Cronache Italiane", il format settimanale che racconta su SuperTennis la vita tennistica e padelistica del nostro territorio, che da quest'anno andrà in onda non più il lunedì ma il martedì alle 22.30.

"Il mondo è sempre il tennis, ma quando cambi ruolo e la conduttrice sei tu, la luce della telecamera ha un altro peso. Su SuperTennis avevo fatto un programma dinamico, girato in esterno, "Race to Foro" e passare ora a condurre un programma diverso, in studio, chiede di entrare in un nuovo ruolo. Mi piace, è emozionante" ci ha raccontato

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L'anno scorso avevi anche condotto le interviste a fine partita al Foro. Che emozione è stata?
Mi hanno dato la possibilità di intervistare i giocatori dopo la partita sul Centrale del Foro Italico agli Internazionali d'Italia. Ho sentito una scarica di adrenalina che non sentivo da quando giocavo. E' stato bellissimo, è come entrare in campo prima della partita. Mi mancava quell'adrenalina. Come nel tennis, in cui affronti una nuova sfida sempre, ogni settimana, darsi sempre nuovi obiettivi, mettersi alla prova costantemente nella vita non da agonista è essenziale, altrimenti ti manca l'aria.

Riavvolgiamo il nastro allora, ripartiamo dall'inizio. Quando è scoppiata la passione per il tennis? 
Sono praticamente nata al Tennis Club Parioli di Roma. Mia madre e mia sorella giocavano. I campi da tennis hanno sempre fatto parte della mia vita. Mi piaceva, da subito è stato un gioco e sotto sotto una passione. Crescendo, si vedeva che ero bravina e non mi pesava sacrificare tempo libero per gli allenamenti. Poi se hai la competizione dentro, senti che è il nostro ossigeno. 

C'è stato un momento in cui hai capito che la tua passione avrebbe potuto diventare la tua vita?
Ho avuto la fortuna di guadagnare i primi punti ATP da molto giovane, avrò avuto 14 anni. E quindi di giocare presto ITF e qualificazione dei tornei WTA. Ho giocato pochi tornei junior, ma quando in quel circuito inizi a giocare gli eventi importanti, gli Slam o il Bonfiglio, allora ti viene la curiosità di scoprire com'è "il tennis vero".

Avevi allora un idolo, un poster in camera?
Non ero da poster, ma mi piacevano molto Sharapova e Ivanovic. Avevo un gioco abbastanza istintivo, mi ci rivedevo. Sono della stessa età delle sorelle Pliskova, con cui andavo molto d'accordo, di Muguruza, di Jabeur, che è carinissima, di Mladenovic: se ci incontriamo al Foro mi dice che si ricorda di me, e mi fa piacere. Siamo cresciute insieme, essendo tutte coetanee, ci siamo stimolate a vicenda.

Nastassja Burnett in azione al Foro Italico (Foto FITP)

La transizione da junior come è stata?
Impegnativa ma abbastanza lineare. Questo comporta che viaggi tantissimo, ogni settimana stai in un posto diverso. Ma se hai questa passione, vivi di questo.

Quando giravi il mondo passando da un torneo all'altro ti ritagliavi del tempo da turista nelle città in cui giocavi?
Avrei voluto farlo molto di più perché sono una persona curiosa. Ma ammetto che quando perdi non vedi l'ora di andare via, sei arrabbiato e quel posto non lo vuoi vedere più.

Te la ricordi la prima volta in campo al Foro Italico?
No, credo che sia stato alle prequali o con una wild card. L'immagine mia del Foro Italico è ovviamente la vittoria su Alize Cornet, che è stata l'emozione più forte, la partita  più bella della mia vita.

E allora entriamo dentro quella partita. Qual è il tuo fotogramma, la sensazione che ancora ti porti dentro?
Quando ho alzato le braccia al cielo sono uscita dalla mia bellissima bolla, sentivi tanto rumore da lontano ma era come se vedessi tutto sfocato. Vedevo solo il mio box, e allora c'era Tathiana Garbin. Poi quando ho sentito il game, set and match, allora è entrato tutto. E' stato bellissimo, ho ancora la pelle d'oca.

"Se mantieni la calma mentre tutti intorno a te perdono la testa..." come scriveva Kipling, che involontariamente ha scritto il primo comandamento per il successo nello sport. Quel momento sembrava l'inizio di una grande storia. E invece...
Ho continuato una buona annata, poi purtroppo il mio fisico mi ha tradita. Ho avuto un grave infortunio al gomito, mi si è rotto il legamento. L'intervento è andato bene, ma il recupero è stato lunghissimo. Non ho toccato la racchetta per un anno. Ho provato a rientrare ma non riuscivo ad avere costanza, ogni volta che risalivo si infiammava di nuovo e dovevo fermarmi. A un certo punto al dolore fisico si è aggiunta una fatica mentale. Prima di operarmi l'ultimo torneo che avevo giocato erano state le qualificazioni di Wimbledon. Quando hai assaporato il vero tennis, se poi vedi che il tuo corpo ogni volta ti blocca, devi sederti, parlare tra te e te e dirti: ora che si fa? E ho preso la sofferta decisione di costruirmi un piano B.

Quando hai dovuto venire a patti con la necessità di trovare il piano B, continuavi comunque a seguire, guardare il tennis o hai staccato del tutto?
E' stata una via di mezzo. All'inizio facevo molta fatica a guardarlo, e soprattutto a guardare le mie vecchie partite. Non so se ho fatto bene o male, ho iniziato subito a lavorare come insegnante al mio circolo. Forse mi sarei dovuta dare un po' più tempo per metabolizzare e poi decidere. Invece mi sono buttata subito a lavorare e ho sofferto quel passaggio più di quanto avrei pensato. Passare da un giorno all'altro da giocare ad allenare mi dava un po' un magone. Dopo un annetto ho deciso di fare un percorso universitario, una sorta di management sportivo. Il nuovo percorso mi ha portato fino a qui e mi dà soddisfazione più di allenare, forse per quell'inconscio che continua a piangere un po' dentro.

Quell'inconscio nel tennis lo porti in qualche modo anche in campo. Quanto è difficile isolarti e lasciare in spogliatoio tutto quello che ti succede fuori?
Quando entri in campo sei da solo, e da solo devi gestire le emozioni. C'è chi muore dentro, chi invece esterna e spacca le racchette. E' un allenamento anche quello. Mi ricordo che quando riuscivo a entrare in una bolla, vittoria o sconfitta che fosse, andava tutto liscio. Se invece entri in campo con pensieri che non ti togli dalla testa, diventa tutto più difficile. 

Ora che sogni, che obiettivi hai? Dove ti vedi tra qualche anno?
Sto scoprendo sempre più questo mondo della televisione e mi stuzzica. Mi dà delle emozioni, uno stimolo, quella tensione a far bene. Mi piacerebbe imparare a farlo sempre meglio. Spero che questa crescita avvenga sempre di più.

In bocca al lupo!

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