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Cultura e costume

Le racchette del Libano in fiamme

A Beirut i manifestanti impugnano racchette da tennis per la loro guerriglia anti-governativa. Il Paese ha un forte legame col tennis: tra le tante accademie della Capitale, i due portacolori nel ranking Atp, la squadra di Coppa Davis e la giovanissima promessa Under…

di | 12 agosto 2020

Nelle immagini che raccontano le proteste di piazza in corso in questi giorni a Beirut, in seguito all’esplosione di un deposito di nitrato d’ammonio il 4 agosto scorso, si vedono molti manifestanti con la racchetta da tennis in mano. In Libano il tennis è molto popolare, dalle accademie della capitale fino alla squadra di Davis, passando per i due portacolori nel ranking Atp e per le giovanissime speranze nei circuiti giovanili.

Le istantanee di piazze in fiamme, ricolme di colonne di fumo d’incendi, esplosioni e gas urticanti, raccontano la povertà di un Paese che lungo i suoi 10.452 km di superficie ha fame di rivoluzione e voglia di rovesciare una classe dirigente considerata ormai colpevole oltre ogni ragionevole dubbio. Tra i sassi, gli scudi, le maschere anti-gas e le kefieh fanno capolino le racchette, dalle più spartane a quelle più “avanzate”.

Le foto delle proteste a Beirut (Libano): in pugno anche decine di racchette da tennis

GUARDA LE IMMAGINI DEI MANIFESTANTI CON LE RACCHETTE DA TENNIS

Il legame tra tennis e Libano, stato del Vicino Oriente incastonato tra Siria (a Nord), Israele (a Sud) e Mar Mediterraneo (a Est), comincia nel tardo ’800. Il primo contatto con il Paese, che oggi nonostante una preponderante crisi economica si fonda su attività bancario-finanziaria e turismo, risale al 1889, quando i primi campi furono costruiti nei villaggi di Brummana e Ainab.

Nella città di Beirut, capitale del Paese, le strutture in cui giocare a tennis non mancano, così come non mancano le scuole tennis, i tornei e perfino le Academy. La Serve Tennis, per esempio, che utilizza metodi e programmi di insegnamento di stampo americano. O la Tennis Inc, partner sul territorio niente di meno che della Rafa Nadal Tennis Academy. Poi c’è il The Tennis Center, l’Over Head, la RAH, insomma tutte strutture dedicate all’insegnamento della disciplina specialmente per i più giovani e per il loro percorso formativo.

Fino a un paio d’anni fa, in Libano, erano inseriti in calendario anche alcuni eventi maschili del calendario internazionale Itf. Spesso frequentati anche da atleti italiani in cerca di punti utili per scalare le classifiche Atp nel periodo pre-riforma e divisione dei ranking (Atp e Itf Pro). “Ricordo di essere stato da dio in Libano - racconta Nicolò Turchetti, lombardo oggi di base alla Rome Tennis Academy -, ho giocato due settimane a Jounieh, qualche chilometro a Nord di Beirut. Sembrava di essere a Monte-Carlo”.

Ho giocato due settimane a Jounieh, qualche chilometro a Nord di Beirut. Sembrava di essere a Monte-Carlo

Tennisti del circuito Itf, pronti anche alle sistemazioni più improbabili, in un contesto da circuito Atp: “I 4 campi su cui giocavamo erano fantastici, terra verde tenuta molto bene, e impianti d’illuminazione all’avanguardia, anche perché per il gran caldo si giocava solo a partire dalle 4 del pomeriggio. L’hotel era clamoroso, dormivo in una suite che però non costava praticamente nulla. Intorno giravano solo Maserati, Porsche, Tesla…”.

Due facce contrapposte della stessa medaglia: “In effetti bastava attraversare una strada e cambiare marciapiede e il panorama cambiava del tutto, dalla ricchezza estrema alla povertà più nera”. Un mix d’ingredienti che, la storia ci insegna, quasi sempre porta alle scene d’ordinaria rivoluzione che i telegiornali trasmettono oggi al mondo. Di solito basta anche solo una scintilla, figuriamoci cosa può succedere con un’esplosione dalle proporzioni atomiche.

Tornando alle classifiche Atp, del Libano si trova traccia con due portacolori compresi tra i primi 1000 giocatori mondiali. Sono il 21enne Hady Habib, numero 761, e il 25enne Giovani Samaha, mancino numero 996 al mondo. Hanno 32 punti in due, 23 tornei giocati complessivamente. Habib è nato e cresciuto in Texas, ma mantiene con orgoglio la nazionalità originaria; l’altro ha sfondato il muro dei mille grazie al suo tennis mancino. Niente da far tremare le vene ai polsi, ma comunque abbastanza per mettere il paese sul mappamondo del tennis mondiale.

E poi a dirla tutta ci sarebbe pure Benjamin Hassan, altro 25enne ma già numero 354 Atp. Non risulta nei database ufficiali perché nelle competizioni individuali gioca sotto la sigla GER e la bandiera tedesca (ha in bacheca un titolo Itf di singolare e uno di doppio). Eppure in Coppa Davis gioca per la sua terra d’origine, il Libano. È un uomo chiave della sua Nazionale, che proprio in Davis ci sta dal 1957 senza mai essere riuscita a mettere il naso nel World Group. Galleggia, con qualche tipo d’onore, nel Gruppo I dell’Asia/Oceania, sempre all’altezza della zona play-off, raggiunti ininterrottamente dal 2010.

L’ultimo Tie del 2019, nell’edizione post-riforma dell’Insalatiera, il Libano l’ha perso contro l’Uzbekistan: 3-2, in casa: decisiva la sconfitta al terzo set di Habib per mano del giovane classe ’98 Jurabek Karimov. Nel 2020, appena prima della serrata da Covid-19, i “rossi” hanno superato per 3-1 la Thailandia, trascinati proprio da Hassan. Il prossimo impegno è in agenda, al netto degli stravolgimenti di calendario della pandemia, è fissato per il 2021, alternativamente in marzo o in settembre, contro il Brasile.

Le manifestazioni di piazza anti-governative sono partite dopo la devastante esplosione che il 4 agosto 2020 ha provocato morti e distruzioni

Certamente sarà troppo presto per poter sfruttare il talento ancora troppo acerbo delle giovani promesse di casa. Come Fadi Bidan, già passato - eccome - dall’Italia. Nato nel 2006 in Siria, ad Aleppo, è dovuto scappare insieme alla sua famiglia proprio in Libano. Ma più di una fuga si è trattato di un ritorno, perché qualche decennio prima era stato il padre Boutros a dover lasciare il suo Paese, il Libano, per schivare le bombe. I Bidan sono legatissimi al tennis: ora tocca a Fadi, ma già prima di lui il papà (ora coach) e il nonno (emigrato in America inseguendo la strada del professionismo) hanno intrapreso la via della racchetta. Pure lo zio fa il maestro. Lui, da par suo, ha già vinto il Lemon Bowl a Roma, poi un evento Tennis Europe a Trieste e ha giocato a Porto San Giorgio il torneo under 12 internazionale d’Italia per eccellenza.

Fadi Bidan, libanese, classe 2006 (foto fadibidan.com)

Un gradino più sotto a Fadi c’è Jaden William, pure lui classe 2006. 14 anni con il pallino del tennis, tramandato da papà, e il chiodo fisso di Roger Federer: “È il mio idolo indiscusso”, aveva detto durante la sua apparizione romana al Lemon Bowl in gennaio.

Il padre Sadi è proprio di Beirut ed è stato lui a snocciolare i dettagli del percorso intrapreso dal figlio: “È colpa mia, sono io che ho trasmesso l’amore per la racchetta ai miei figli. Daniel era innamorato del calcio e col tennis ha cominciato più tardi, mentre lui, William, ha cominciato a giocare a quattro anni e da lì in poi è diventato il numero 1 giovanile nel nostro paese”. Sadi aggiunge un’altra grattugiata d’orgoglio paterno: “Dopo appena due anni di accademia, ha cominciato subito a far parte della squadra di Coppa Davis Junior”.

La Federazione libanese ha la sua sede nel cuore di Beirut, l’epicentro dell’attuale insurrezione popolare. Per sua fortuna ha pure una presenza tutta digitale - supportata dall’ITF - che condensa tutti i tornei tennistici del Paese, un sito web che dà anche un piccolo assaggio delle classifiche suddivise per categorie (a proposito, nel 2020, in testa a quella degli Under 12 2020 c’è proprio Daniel William).

Un barlume di normalità-virtuale all’interno di un quadro generale che scoppia da tutte le parti, e non certo di salute. La deflagrazione del 4 agosto ha mandato tutto in frantumi, scompaginando tutti i pezzi. Chissà quando cominceranno a tornare al loro posto. Chissà quando quelle racchette spariranno dalle piazze e torneranno di nuovo sui campi da tennis.
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