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Le storie

Jimmy Connors, la vita è competizione

I 109 titoli vinti certificati dall'ATP rappresentano un record nella storia del tennis. Numeri e segreti della sua longevità

05 aprile 2019

“Un uomo che è stato l’indiscutibile figlio prediletto di sua madre”, diceva Freud, “conserva per tutta la vita il sentimento del conquistatore, la fiducia nel successo che spesso induce il vero successo”. Un principio che sembra ritagliato come un ritratto sul più freudiano dei tennisti, Jimmy Connors. L'ATP gli riconosce 109 titoli, più di chiunque altro nella storia del tennis maschile.

Le due donne che l'hanno cresciuto, mamma Gloria e nonna Bertha (mamma-Due), hanno seminato un desiderio inesausto di rivalsa. Il mondo del tennis, gli diceva la mamma, non vuole avere niente a che fare con te, con noi. Non appartengono al mondo degli aristocratici portatori del verbo del serve and volley sui prati dei country club. È per battere quegli snob che Gloria forgia il gioco che cambierà la storia del tennis, il counter-punching, il contrattacco tutto corsa e anticipi. Jimbo, diceva Chris Evert che avrebbe dovuto sposarlo alla fine del 1974,“ha sempre dovuto odiare gli avversari per dare il meglio”.

Connors Supernova

Se Connors diventa Jimbo, però, lo deve anche a Pancho Segura che gli ha insegnato a “pensare come un uomo” e a Bill Riordan. Un curioso tipo di affarista amante del tennis, nel 1960 ha iniziato a dirigere un piccolo torneo a Salisbury. Da lì costruì un piccolo impero di eventi nella provincia americana, in cittadine come Macon o Roanoke. Facevano parte del “circuito Riordan”, inglobato poi nel Grand Prix. Compete con il World Championship Tennis (WCT), il circuito di Lamar Hunt, figlio di un grande petroliere, con molti più soldi e tutti i big. Connors è la supernova del circuito che sfida il “Sistema”.
Ed è proprio in uno dei suoi tornei, a Roanoke nel 1972, che vince il primo dei 109 trofei, otto Slam compresi. È uno dei tornei per cui ancora si mette in discussione il valore effettivo dei suoi trofei. Premesso che ormai il dato dei 109 titoli ATP è talmente radicato da non essere modificabile, ne restano almeno sei che difficilmente sarebbero equiparabili a un 250 di oggi. 
A Roanoke, quel primo torneo vinto da Connors aveva un tabellone a dieci giocatori. L'anno successivo, vinse ancora e al via erano in otto, così a Paramus, altro torneo indoor del circuito di Riordan del 1973. Nel 1974 vince a Birmingham, in cui praticamente si parte dagli ottavi (tabellone a 17 con un solo match di primo turno). Restano, nei 109, due eventi speciali del circuito WCT con caratteristiche molto peculiari. La Challenge Cup del 1977, con il formato del Masters (due gironi da quattro, semifinali e finali) e sperimentazione di set a sei senza tiebreak nel girone: Connors, ad esempio, perde il secondo match contro Stockton 6-5 6-5. E il Tournament of Champions del 1979, con girone unico a sei e finale tra i migliori due.

Quel suo spirito di competizione e di rivalsa che mostrava ad ogni esultanza col bacino spinto in avanti verso i tifosi, l'ha portato a conquistare titoli nello spazio di 19 stagioni. Nell'ottobre 1989 vince gli ultimi due titoli in due settimane, a Tolosa e a Tel Aviv. Ha 37 anni e un mese, è diventato più simpatico quando ha iniziato a perdere di più. Per alzare l'ultimo trofeo deve rimontare un set al modesto israeliano Gilad Bloom, numero 181 del mondo. Due anni dopo, solo la freudiana fiducia nel successo lo porterà a rimontare Aaron Krickstein per festeggiare il compleanno numero 39 allo Us Open del 1991. Solo Freud potrebbe spiegare una partita così.
 
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