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Wimbledon, cinquant'anni fa la storica vittoria di Ashe su Connors

Il racconto della finale che il 5 luglio 1975 ha reso Arthur Ashe il primo nero a vincere Wimbledon in singolare maschile

di | 05 luglio 2025

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Il 5 luglio 1975, alle 14, Arthur Ashe e Jimmy Connors fanno il loro ingresso sul Centrale. Passano per la porta sormontata dai versi immortali di If, la poesia che Rudyard Kipling ha voluto dedicare a suo figlio: If you can meet with Triumph and Disaster / And treat those two impostors just the same (Se sai affrontare il Trionfo e la Rovina / E trattare questi due impostori allo stesso modo). Sta per iniziare uno dei più straordinari trionfi dell'intelligenza sulla forza nella storia di Wimbledon, e non solo.

Ashe si presenta con un giubbotto blu su cui campeggia la scritta rossa «USA», una sorta di monito, consapevole o no, al supposto scarso senso patriottico di “Jimbo” che invece una maglia bianca, rossa e verde. Il confronto stilistico non si limita all'abbigliamento. Come scrive Joel Drucker nel suo memorabile “Jimmy Connors mi ha salvato la vita”, Ashe è come "Pete Seeger che canta(va) sommessamente 'This land is your land' accompagnato dalle chitarre acustiche”. Connors, invece, “elettrico, un Bob Dylan che arriva al Newport Folk Festival (non lontano dalla Hall of Fame del tennis), collega la sua chitarra all’amplificatore e grida: 'How does it feel, to be on your own?'".

Raccontano e rappresentano due mondi diversi. Ashe è cresciuto nell’America segregata in cui i neri potevano al massimo diventare giardinieri nei country club per bianchi. Connors a quei country club guarda con l'invidia di chi sa di non appartenere a quel mondo ma aspira al potere di entrarci per rovinare le feste degli “snob” che li frequentano.

I due non si sopportano. Connors detesta Ashe soprattutto perché l'anno prima, da presidente dell'ATP, gli ha impedito di iscriversi al Roland Garros in quanto protagonista del World Team Tennis, manifestazione a squadre miste allora in conflitto con l'ATP. Connors ha vinto gli altri tre major del 1974, l'esclusione gli ha impedito di lottare per il Grande Slam.

La partenza di Ashe è semplicemente perfetta. Dopo 41 minuti è avanti 61 61. Non ci crede nemmeno lui. C'è anche una spiegazione tecnica. “Connors ha di norma un vantaggio quando affronta un avversario destrorso. [I giocatori mancini] colpiscono con effetto a uscire e questo crea rimbalzi inusuali. Forse deriva dal modo in cui viene loro insegnato a scrivere” ha scritto nel libro “Portrait in Motion” Ashe, che però ha il rovescio migliore del dritto e, così, ha meno problemi.

Nel terzo set, però, Ashe cambia piano mentre Connors inizia a giocare con la ferocia che lo contraddistingue. “Sembrava indemoniato – ha scritto Ashe, sempre in Portrait in Motion - ma sapete cosa mi passava per la mente? Un’osservazione fredda, distaccata: era quasi il momento che cominciasse a giocare così. Era quasi confortante perché la possibilità che potessi vincere facilmente in tre set contro Connors violava il mio senso di normalità.

Arthur Ashe con il trofeo vinto a Wimbledon nel 1975 (Getty Images)

Arthur Ashe con il trofeo vinto a Wimbledon nel 1975 (Getty Images)

Sotto di un break nel quarto set, Ashe rimette l'intelligenza tattica al servizio di un sogno. Sa che giocare di forza, a maggior ragione sul Centrale di Wimbledon, contro Jimbo, non è la strategia migliore. “A Wimbledon usano le Slazenger, che tendono a viaggiare di più nell’aria. Per questo, se giochi di forza contro Connors con le Slazenger, ti ributta indietro tutto. L’adattamento alle palline è altrettanto importante di quello alla superficie. Per questo, a Wimbledon, dovevo sacrificare un po’ di potenza per una percentuale di prime di servizio più alta” ha scritto.

È anche attraverso questa attenzione ai dettagli che completa il capolavoro. “Vincendo cinque degli ultimi sei game, emergendo con ispirazione e fiducia, Ashe ha completato una delle più straordinarie sorprese dell’era Open, superando Connors 6-1 6-1 5-7 6-4 con la prestazione più energicamente persuasiva della sua carriera” ha scritto il giornalista Steve Flink.

Dopo il match point Ashe si volta verso il suo angolo, dove Donald Dell e sua moglie Carole piangono di gioia. Riordan, il manager di Connors che la madre di Jimbo ha più volte citato in giudizio perché doveva ancora pagargli i soldi pattuiti per una precedente esibizione con John Newcombe a Las Vegas, abbandona il Centrale. Poco dopo lascerà anche l’entourage di Connors, da cui prima di Wimbledon era già stato allontanato il suo coach Pancho Segura.

La cerimonia di premiazione è gelida, i due nemmeno si guardano. E le rispettive conferenze stampa non sono da meno. “Sei sorpreso di aver vinto così facilmente?” chiedono ad Ashe. “Se sei un buon giocatore, non ti devi stupire se vinci senza difficoltà”. Sottolinea poi che «il 70% degli errori di Connors sono arrivati con colpi finiti a metà rete. Non ha quasi mai tirato vicino la riga. Per me vuol dire che ha avuto paura”.

Connors nega con forza che di timore si sia trattato. “Gioco da troppo tempo perché mi succeda una cosa del genere. Per sconfiggermi un giocatore deve dare il massimo, deve davvero battermi. E oggi Ashe mi ha battuto. Oggi."

La stretta di mano tra Jimmy Connors e Arthur Ashe (Getty Images)

La stretta di mano tra Jimmy Connors e Arthur Ashe (Getty Images)

“Sm-Ashe-D” titolerà il giorno dopo il quotidiano britannico Telegraph. "Ashe ha firmato una delle più straordinarie vittorie tattiche che si siano viste a Wimbledon negli ultimi anni - scrive per il quotidiano britannico Henry Raven -. Ha astutamente contenuto Connors, consentendogli solo raramente di giocare alla velocità che predilige, variando il ritmo, usando il lob come mai prima e insistendo velenosamente con lo slice contro il rovescio mancino del più giovane avversario. (…) È stata una vittoria d'intelletto".

Quello resterà un momento storico. Lo spiega Donald Dell, manager di Ashe e di Stan Smith, sarà lui a fargli firmare il contratto per le scarpe oggi più famose di lui. Molte persone hanno continuato a dirmi che si ricordavano esattamente cosa facevano quando hanno sentito per la prima volta che Ashe aveva vinto Wimbledon. La stessa cosa capita con la morte di Kennedy. Chiaro, non dico che i due eventi abbiano la stessa importanza. Ma l’analogia rimane”.


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