Fra vero e fine fair play, parole e realtà, Musetti e Cobolli si sfidano allo US Open con la prospettiva di un quarto di finale contro Sinner. E il Rinascimento azzurro punta al successo più impensabile in questo sport così duro…
di Vincenzo Martucci | 30 agosto 2025
Guardi al derby Musetti-Cobolli, una sfida che rende orgoglioso una volta di più il Rinascimento del tennis italiano, e pensi che questo mondo sempre più duro e intransigente, che trabocca però di controsensi e oscilla fra maleducazione e buonismo, non dice mai davvero veramente la nuda verità. Lo sport non fa eccezione, men che meno quello inventato dal diavolo, con i suoi importantissimi premi e le luci della ribalta che, nella scia del prodigioso numero 1, anche lui italiano (eureka!) - Jannik Sinner, che il mondo ci invidia -, si accendono abbaglianti anche su tanti altri fortissimi giovani, tutti a caccia della gloria, della notorietà e della felicità (anche economica).
LA GRANDE SFIDA
Quindi, sinceramente, com’è possibile che questa sfida fratricida fra due ragazzi che sono cresciuti assieme sia veramente così piena di buoni sentimenti come ci viene narrata dai protagonisti dai loro clan, dai maestri e dai media? E’ proprio così? Possiamo davvero pensare che il vero protagonista non ci sia, come sempre, la ferocia agonistica, a fronte di un derby enormemente importante sia per Muso che per Cobbo, due 23enni ancora inespressi compiutamente che si fronteggiano nel terzo turno di uno Slam con la prospettiva magari di incrociare il primo della classe, nei quarti? Quanto vale in realtà questa partita che viene arricchita di zucchero filato e di racconti da Libro Cuore di due bambini che si fronteggiarono per la prima volta da under 10 e sono poi andati mano nella mano in parallelo nel tennis pro, sempre vicinissimi fuori dal campo?

Abbiamo assistito ad altri incroci sul campo di amici che tanto dolci non sono stati e hanno frantumato il rapporto per sempre. Siamo sicuri che stavolta non sarà così, anche perché lo scontro avviene in età matura ed il pregresso che li lega è davvero solido, corroborato, dalle loro famiglie. Come sottolinea, legittimamente, il toscano di nascita ma romano de Roma e della Roma, Cobolli, al toscanaccio Musetti.
Chissà quindi che, a fine giornata, il tennis italiano non possa sbandierare l’ennesima vittoria, quella paventata dalle narrazioni più smielate, la più importante e difficile, quella di due avversari che si battono al meglio ma poi si abbracciano comunque, con sincero e immutabile affetto, anche dopo la terribile tenzone che il destino li ha costretti a sostenere.
Al grido di “la vita è altrove”, e “il tennis resta solo un sport”, rendendo finalmente reali i luoghi comuni più melensi e ritriti. Noi ci speriamo anche se il diavoletto che alberga in ognuno di noi sorride sardonico.

FAIR PLAY?
Perché diciamo cos? Perché siamo disincantati? Perché, in campo, come s’è visto in questi giorni agli US Open, la rissa sfiorata fra i contendenti è sempre più comune (Tsitsipas-Altmaier), come i gestacci magari all’arbitro (Medvedev docet), come la pallina scagliata via di rabbia e la racchetta frantumata al suolo (ancora Medvedev, ma non solo). E, fuori dal campo, deve intervenire la numero 1 del mondo, Aryna Sabalenka, con l’aiuto delle carismatiche Coco Gauff e Naomi Osaka, per mettere pace e dare lezione di bon ton dopo l’ultima rissa (Ostapenko-Townsend). Eppure, come sottolinea The Athletic, nel segno del più lampante controsenso, nell’ex sport dei gesti bianchi c’è ancora il retaggio del fair play che porta i guerrieri del ring a chiedere scusa con la manina alzata all’avversario per il net cords (la palla che diventa imparabile o comunque troppo complicata dopo aver colpito il net) oppure quando, non colpendola piena, la scheggiano, trasformandola in una saponetta ingovernabile una volta atterrata di là del net o colpiscono un millimetro di riga, magari in modo fortuito.
Potremmo tradurvi in mille modi più o meno “polite” i reali pensieri di chi vince un “15” così, rivelandovi la soddisfazione almeno doppia che provano in realtà, dopo tutto quel correre e quel ferirsi, figuratamente, nell’animo, a ogni colpo, proprio con l’intento di far male all’avversario. Lo stesso vale per le dichiarazioni pre e post match. Quelle che i giornalisti agognano, e che i giocatori - allenati da subito dalle due organizzazioni che guidano il Tour, l’ATP e la WTA - recitano compiti, condendole di banalità e luoghi comuni. Anche se la realtà, come nel caso del “sorry” dopo un “15” fortunoso, è totalmente diversa. E tremendamente umana.
A LA GUERRE…
“A la guerre comme alla guerre”. Traduce la Treccani: “Ogni situazione va accettata per ciò che essa è, e che bisogna contentarsi delle risorse che sono offerte dalle circostanze”. E, nel tennis, l’unico obiettivo è la vittoria. Cercando una soluzione che spesso va anche cambiata, strada facendo, perché l’avversario a sua volta si adegua e trova le contromosse. Djokovic, il più vincente di sempre, coi suoi 24 Slam e tutti i record che ha sottratto a Federer e Nadal, è l’emblema di questa verità. Che tutti conoscono e che predicano negli allenamenti sempre più lunghi e precisi che abbracciano muscoli, tennis, videoanalisi, statistiche, tattica, psicologia e ritrovati tecnologici per il recupero e test continuo delle reazioni sotto sforzo.
Come faranno Musetti & Cobolli a non essere cattivissimi conoscendo i punti deboli dell’amico, dopo essersi allenati chissà quante volte insieme, dopo essersi guardati e tifati reciprocamente chissà quanto dalla tribuna? Come faranno a concentrarsi al massimo per farsi male e imporsi, se, fino a cinque minuti prima e cinque minuti dopo, si abbracceranno, si sorrideranno e si svelerà i pensieri e i sogni più segreti e inconfessabili? Chi dei due sarà più freddo e distaccato, chi saprà cancellare l’immagine dell’altro di là del net?
MOTIVAZIONI
Forse la soluzione del rebus, al di là delle forze che magari saranno troppo più inferiori in Cobolli, dopo due maratone di cinque set, sta nella motivazione: chi ce l’ha più forte da vincere questo derby? Forse, in questo, almeno sulla carta, vince “Muso” che, prima dell’infortunio di Parigi stava giocando il miglior tennis di sempre e del circuito e ci ha messo un po’ a ritrovarsi, e quindi tornare a bussare alla porta dei top 5, con la potente motivazione della qualificazione alle Atp Finals di Torino insieme a Sinner.
“Cobbo” potrebbe anche ritenersi soddisfatto di aver sfatato un po’ di più il tabù cemento, di aver reagito ai problemi fisici vincendo due bracci di ferro che ne rinsaldano la nomea di fiero guerriero, confermandosi stabile stabilmente top 20, con ulteriori margini di progresso nei top 10. Ma, c’è un ma. Che nasce nella natura, dall’orgoglio, dall’essenza stessa di quel magico e difficilissimo sentimento chiamato amicizia.