Raggiungendo la settima finale di JBK Cup a Malaga con una doppia, prodigiosa, rimonta della ditta Errani & Paolini, e l’ennesima prestazione di squadra, le azzurre ricordano il seme miracoloso delle fantastiche ragazze all’ex Fed Cup ed esaltano la figura della capitana Garbin
di Vincenzo Martucci | 19 novembre 2024
Facile, se hai in squadra quelle due peperine terribili, tenaci e anche di classe ed esperienza! Qualche maschilista - il tennis ne è pieno, diciamocelo - sorriderà sardonico commentando la settima finale della coppa Davis delle donne, che continua a cambiar nome, e adesso si fa chiamare Billie Jean King Cup. Quando, per chi non lo sapesse, c’è già stata una King’s Cup, ormai dimenticata. Soprattutto il tennista praticante, soprattutto giovane, snobba il tennis delle colleghe. Ed è un peccato, perché le donne vivono questo sport meraviglioso che tira fuori l’anima in modo appassionato e veemente, e giocano alla grande. Anzi, per un tennista attento, eseguono un po’ più lentamente dei colleghi tutti i colpi, coprono tutto il campo, attuano una tattica e la percorrono fino in fondo, come ci dicono gli esempi proprio delle attuali leader, Jasmine Paolini e Sara Errani.
Bravissime davvero, intelligentissime, allenatissime, reattive sempre, come s’è visto perfettamente nel doppio decisivo contro la Polonia di Iga Swiatek, quand’hanno rimontato in tutt’e due i set. Bravissime anche nel trainare il gruppo, nel non mostrarsi come star a Cocciaretto, Bronzetti, Trevisan, motivandole, caricandole, responsabilizzandole. Sia come sincere compagne di squadra - si è visto bene dal tifo indiavolato e appassionato che hanno fatto a bordo-campo - sia come attrici, a loro volta. Così, Elisabetta si è fatta signorilmente e onestamente da parte dopo il primo singolare perso col Giappone, lasciando spazio a Lucia Bronzetti, dai valori vicini, ma più in fiducia in questo momento, ed affidandosi alla premiata ditta Errani & Paolini che ha sparato la carta individuale con “Jas” e quindi la coppia olimpionica di Parigi con la inossidabile “Sarita”. E, contro la Polonia, il gioco di squadra azzurro è stato ancora una volta decisivo.
Perché dopo il primo punto della Bronzetti nel confronto fra le numeri 2, la Paolini ha ceduto alla Swiatek nel singolare fra le numeri 1.
Ma poi, insieme alla Errani, amica e regista del fortunato binomio, ha confezionato una rimonta che entra di diritto nella storia del nostro tennis. Da 4-5 nel primo set e da 1-5 nel secondo, con due sprint senza bisogno di commenti, conclusi per 7-5.
RISPOSTA
Questa finale, che le nostre ragazze hanno così orgogliosamente e puntigliosamente voluto ed ottenuto, è la miglior risposta di tutto il tennis donne allo scetticismo che ancora le accompagna. E che forse scemerà solo quando, finalmente, Andrea Gaudenzi sarà riuscito a completare l’accordo finanziario tra ATP e WTA e riunificare un mondo che era già unito e che deve restare unito per sempre. Questa finale è particolarmente piacevole anche come risposta ai fantastici risultati di quest’anno dei colleghi uomini in maglia azzurra, specificatamente, di Jannik Sinner. Il quale, senza volerlo, rischia di mettere in ombra, coi suoi straordinari e massimi risultati, tutti i tennisti del pianeta terra. A partire dagli altri italiani.
Ma le donne, si sa, hanno quel qualcosa in più, quella forza fisica e morale, quella resistenza di nervi e quell’orgoglio, che le spinge oltre il dolore e le consuetudini e permette loro imprese come quella di lunedì a Malaga. Anche a dispetto di avversarie doc come Swiatek e di situazioni di punteggio che sembrano proibitive. Peraltro, la reazione delle azzurre ricorda agli smemorati che sono state proprio le fantastiche ragazze dell’allora Fed Cup, col formidabile quartetto Schiavone-Pennetta-Errani-Vinci, ad aprire la porta del tennis italiano al vertice, arrivando alle finali Slam con l’acme di quella tutta azzurra degli US Open 2015, Pennetta-Vinci, e alle top 10 della classifica dove il movimento non si era spinto mai. Proprio quel seme d’esempio e di speranza ha fatto germogliare gli attuali fantastici risultati dei colleghi uomini.
CAPITANA MIA CAPITANA
E poi, come direbbero gli inglesi, last but not least, ultima ma non meno importante, come sicuramente vorrebbe lei mettendosi in seconda fila per non rubare la ribalta alle sue giocatrici, c’è la capitana non giocatrice, Tathiana Garbin. Che ha sempre avuto una sensibilità, un garbo, una sincerità e una limpidezza di comportamento tali da conquistare tutte le azzurre. Quel motto, “Non perdi mai se non ti arrendi”, non è solo del gruppo, è suo da sempre. Perché quando giocava sul circuito WTA, ed è arrivata al numero 22 del mondo, firmando un titolo di singolare (in 5 finali) e 11 di doppio (in 18 finali), ci metteva talmente tanto l’anima e il cervello che al Roland Garros 2004 ha sorpreso la divina Justine Henin, da numero 1 della classifica, collezionando lo scalpo più famoso, fra altri scalpi famosi, come Dokic, Rubin, Radwanska, Petrova, Bartoli e Stosur.
Semplicemente, “Tathi” non aveva paura, si dava totalmente, si sforzava al massimo di entrare nel gioco e nella testa dell’avversaria, un po’ come, facendo un parallelo col maschile, ha fatto quell’altro campione di intelligenza e volontà e abnegazione di Paolo Lorenzi. Oggi erede di Sergio Palmieri come organizzatore dei massimi tornei della FITP, così come sicuramente la Garbin avrà sempre ruoli importanti in seno al tennis di vertice. Tathiana ha poi trasferito le sue qualità, il suo essere donna e tennista, anche nel ruolo di capitana. Legando a sé ancor di più le ragazze con l’ennesima, estrema, prova da guerriera nel superare un grave problema di salute. Proprio come avrebbe fatto sul campo da tennis, lottando. Come non imitarla?