

Le dimensioni dell'Arthur Ashe Stadium sono particolari. Sul centrale dello US Open c'è meno campo ai lati del corridoio rispetto a quanto avviene negli altri Slam. E gli out non sono simmetrici. Vediamo come cambiano le strategie
di Alessandro Mastroluca | 26 agosto 2021
Il tennis è uno sport di spazi e geometrie. Per vincere, però, non sempre basta seguire gli schemi. A volte, lo dimostra ad esempio un giocatore come Medvedev che certo non segue canoni o manuali, fa bene pensare "fuori dalla scatola", come direbbero gli inglesi. O meglio, fuori dalle righe.
Se è vero infatti che le dimensioni di un campo da tennis sono fisse (23,78 per 10,97 metri compresi i corridoi laterali che sono larghi 1,37 m e linea del rettangolo di battuta a 6,4 metri dalla rete) possono variare, eccome, gli spazi che circondano il campo. La porzione di spazio tra le righe e i teloni a fondo campo o sui lati lunghi cambia da impianto a impianto (in quanto sono stabilite da regolamento le misure minime ma non le massime). E diventa un jolly da utilizzare, per chi non lascia niente al caso, nella definizione delle strategie di gioco.
L'ITF, la federazione internazionale, ha stabilito nelle competizioni internazionali una distanza minima raccomandata fra i teloni e la riga di fondo di 6,4 metri. Al di là delle righe esterne del corridoio, invece, la federazione consiglia di mantenere almeno 3,66 metri.
Ma i campi principali dei quattro tornei dello Slam, come dimostra una ricerca della società Data Driven Sports Analysis, hanno spazi molto più estesi. Tra la riga di fondo e il telone, ci sono 10,05 metri sulla Rod Laver Arena a Melbourne, 9,75 sul Philippe Chatrier al Roland Garros, 8,23 sul Centrale di Wimbledon e sull'Arthur Ashe Stadium a Flushing Meadows, che ospita lo US Open.
Al Roland Garros, la combinazione tra la superficie più lenta e lo spazio più ampio per poter arrivare sulla palla ha rappresentato un vantaggio per uno specialista della terra rossa come Rafa Nadal. Negli anni d'oro, il maiorchino riusciva ad applicare uno stile di gioco in grado di sfruttare il surplus di tempo e spazio a proprio vantaggio, controllando lo scambio partendo da una posizione più arretrata in risposta grazie al dritto uncinato alto e profondo.
"Un campo più grande facilita il mio gioco" diceva Nadal nel 2017, come riportava il sito del Roland Garros, "per un avversario attaccarmi in una condizione simile è più difficile, fanno più fatica a vedere come fare un vincente".
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Chi ha portato questa strategia all'estremo anche sulle superfici veloci è il russo Daniil Medvedev. Come ha scritto Craig O'Shannessy, consulente della Federazione Italiana Tennis e maggior esperto di match-analisys sul circuito, attraverso la sua posizione “estrema” il russo trasforma la risposta in una sorta di normale colpo da fondocampo.
"Il mantra del tennis tradizionale dice che contro la potenza di una prima palla di servizio ci si trova inevitabilmente in difesa e dunque dovremmo utilizzare una strategia di contenimento" ha analizzato.
Tuttavia "Medvedev non vuole rispondere al servizio come tradizionalmente si pensa di dover fare sulla prima palla dell’avversario. Lui pensa di arretrare quanto più è possibile perché la palla perda velocità e gli dia la possibilità di picchiare a tutto braccio con l’ampio margine che la distanza dal campo che si viene a creare gli consente. Quello che perde in termini di posizione sul campo lo riguadagna in termini di velocità".
Giocare su un campo così grande come può essere il Philippe Chatrier o l'Arthur Ashe non è facile per chi ci gioca per la prima volta o per chi ci torna dopo diversi anni di assenza. "A Parigi, con tutto quello spazio intorno al campo, hai la tendenza naturale a correre all'indietro" diceva Roger Federer. E poi c'è da considerare il vento, che può soffiare in direzioni mutevoli e imprevedibili in aree così estese.
Le dimensioni, però, non sono tutto. Anche la posizione conta. E da questo punto di vista, tra i quattro campi centrali degli Slam l'Arthur Ashe Stadium appare unico. Perché la larghezza degli spazi oltre le righe laterali sui due lati lunghi non sono simmetriche. Il campo, l'area pitturata di blu, non è al centro dello stadio.
Ci sono 5,18 metri a destra e 6,41 a sinistra. Negli altri tre stadi, invece, sono uguali: 6,41 metri a Parigi, 6,71 a Wimbledon, 7,62 a Melbourne.
Dunque l'Arthur Ashe, lo stadio da tennis più grande del mondo, è anche quello che offre ai giocatori meno spazio di manovra in orizzontale nei quattro tornei dello Slam. Dunque, sul centrale dello US Open pagano ancor di più i colpi angolati, le traiettorie più strette. E i giocatori più esplosivi negli spostamenti laterali riescono a difendere meglio il campo.
Si spiega anche così l'andamento delle ultime due finali dello US Open. Nel 2019, Nadal ha battuto Medvedev in cinque set. Quella finale, che iniziò con un profetico vincente del maiorchino che ha fatto passare la palla a lato del paletto al secondo punto del match, ha visto 140 punti conclusi a rete conclusi a rete complessivamente su 341 giocati.
Vuol dire che c'è stata una discesa a rete nel 41% dei punti, ben più che nella finale di Wimbledon dello stesso anno (24%). Accorciare il campo così consente anche di stringere maggiormente le traiettorie dei colpi d'approccio, e non va in contraddizione con un altro elemento chiave. In quella finale, infatti, gli scambi sono durati in media 5,3 colpi, più che in tutte le precedenti partite di Nadal nel torneo.
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Ancora più significativa la sintesi che lo stesso O'Shannessy ha fatto della finale dell'anno scorso. Nei primi due set, ha scritto, Zverev "ha messo su un capolavoro di pressione nella direzione nord-sud". Ovvero ha fatto la differenza con la forza dei colpi da una riga di fondo all'altra. Gli scambi sono durati in media quattro colpi nel primo set, 3,3 nel secondo. Il tedesco li ha vinti entrambi.
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Thiem, però, ha ribaltato la partita e vinto al quinto. Nel set decisivo, gli scambi sono durati in media 6,29 colpi, ovvero quasi il doppio di quel secondo parziale in cui Zverev appariva intoccabile. L'austriaco, scriveva ancora O'Shannessy, "voleva disperatamente girare la partita sulla direzione est-ovest. Ha trasformato la partita in un duello con tanti topspin, tanti colpi in slice e [costretto Zverev a dolorose] rincorse da un lato all'altro" del campo. Il tedesco, che peraltro ha bisogno di più spazio per contrattaccare dal lato del diritto, è risultato sempre meno efficace.
Due esempi di come si possa pensare fuori dalle righe per far giocare male l'avversario. Una qualità particolarmente preziosa su un campo come l'Arthur Ashe Stadium.
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