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Ripensiamo al grande campione che ha interrotto l’attività a luglio 2021 per l’ennesimo problema al ginocchio. Lo rivedremo, e come?
di Vincenzo Martucci | 18 dicembre 2021
Ci manca o non ci manca Roger Federer? Ci manca sicuramente il campione, il ballerino, il ghepardo leggero e fulmineo che incantava coi suoi gesti e trasformava, e magnificava, e lasciava a bocca aperta.
Ci manca il suo balletto con quei piedi alati che non riusciamo a rivedere in nessun altro soldato dell’ATP Tour, ci mancano quelle sbracciate mai davvero violente e scomposte anche se terribilmente efficaci, ci manca la regale semplicità del fuoriclasse inimitabile e irriproducibile, ci manca il suo violino, la sua bacchetta magica, la sua prosecuzione del braccio, quel fascio di luce che poi si connetteva direttamente alla pallina gialla, quella che per gli altri tennisti si chiama racchetta.
“Roger #Federer's forehand is a great liquid whip”??
— Scarlett (@Scarlett_Li) December 14, 2021
- David Foster Wallace: <Federer as Religious Experience> pic.twitter.com/dHDvP974cE
Ci manca la sua umanità, filtrata dall’auto controllo elvetico, ma sempre evidente nel sorriso come nel pianto e insieme sempre rispettabile.
Ci mancano i suoi miracoli, i famosi “Momenti Federer” in cui tutto, all’improvviso, da nero diventava candido, tutto sembrava possibile, tutto si trasformava e tornava a vantaggio del Magnifico, dai colpi maldestri che diventavano deliziosi e definitivi, all’attitudine annoiata e distaccata che si vestivano di massima concentrazione ed efficienza, al punteggio sul pallottoliere che rovesciava semplicemente i numeri, le statistiche, i punteggi, riversandoli in toto dalla parte di Roger-Express.
Ora che Roger Federer il perfetto, quello che non si faceva mai male e volava sulla nuvoletta magica dei campioni, s’infortuna e s’eclissa dal circuito sempre più spesso, ci manca soprattutto la sua unicità, la differenza abissale che ha con tutti i colleghi, pur bravissimi e anche superiori nella gestione delle forze e delle emozioni, come nella lettura tecno-tattica delle situazioni di gioco, come sono sicuramente i grandi rivali Rafa Nadal e Novak Djokovic.
La finale di Wimbledon 2019 persa mancando due match point, dopo altre celebri partite perse dilapidando occasioni e vantaggi, dopo altre occasioni che l’avrebbero dovuto portare a 30 Slam-record, forse imprendibile per qualsiasi rivale, è la chiusura più emblematica della carriera dell’unico artista del tennis che può essere davvero paragonato al mitico Rod Laver. Cioé l’unico capace di chiudere due volte il Grande Slam, peraltro dopo una vacanza volontaria.
Roger non è stato un agonista perfetto ma ha armato i sogni di chiunque imbracciasse una racchetta meglio di chiunque altro perché ha rappresentato il modello ideale, la perfezione stilistica, come una fotografia depurata al photo-shop: in lui non trovavi i difetti che riscontri ad occhio nudo in tutti gli altri.
Perciò tutti i suoi seguaci, anche estremi, anche eccessivi nella loro passione per il Maestro, hanno fissato nella loro mente un match, un torneo, una immagine finale del Re e si portano dietro quel souvenir del loro dio, svuotando dalla collezione tutte le altre come facciamo con le foto scomode e/o dolorose dall’I-phone.
I più sono fermi alle due ultime finali Slam vincenti agli Australian Open 2017 e 2018, soprattutto ora che Melbourne sta per riaffacciarsi con la nuova stagione. E non c’è verso di smuoverli da quelle ultime sensazioni del Major numero 19 e 20 griffati dal fenomeno svizzero.
Altri, molti altri, si cibano delle ultime notizie che trapelano dell’universo-Federer: vuoi con l’ultima auto di lusso, vuoi con l’ultimo orologio, vuoi come manifesto turistico, vuoi come ambasciatore umanitario, vuoi come co-protagonista di questo o di quest’altro record.
Altri ancora si beano scoprendo in qualche intervista che i suoi figli hanno saputo dagli amichetti quanto sia stato grande nel tennis e nello sport il loro papà, perché in casa il mito non è stato esaltato come chiunque si sarebbe immaginato, con immagini iconiche alle pareti, trofei e collezioni di racchette esposte come cimeli, vetrine di ninnoli e fotografie a iosa.
Così si nutrono gli orfani di Federer, nel dubbio di un ritorno che Roger si ostina a definire possibile che invece molti di loro si eviterebbero volentieri, con la assoluta certezza di eccessive sofferenze ed umiliazioni del loro idolo e anche - o soprattutto? - proprie.
Non hanno saputo interpretare le varie ere dell’eroe, non hanno saputo apprezzare le ultime perle del 2021: quando Roger è tornato chiaramente senza partite nelle gambe, titubante e lento, preoccupato e infelice, ma ha comunque confezionato il miracoloso salvataggio del Roland Garros, in un’umida serata non estiva ma piuttosto autunnale a Parigi, contro Dominik Koepfer, quando ha superato quattro turni a Wimbledon, quando ha salutato anzitempo la scena, ma in campo, trascinandosi il ginocchia da rioperare, subendo con la dignità degli immortali l’umiliante 6-0 al terzo set da Hubert Hurkacz.
Quello, triste e spelacchiato, dolorante e deluso, è l’ultimo Roger che ricordiamo. E’ talmente negativo, talmente lontano dal Magnifico, talmente rivedibile e correggibile, da farci immaginare un’altra resurrezione, magari nei nostri sogni più inconfessabili, magari a Wimbledon 2022. A 40 anni suonati, sì, vabbè, ma che c’entrano realmente i numeri con Federer?
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