

Il numero 1 del mondo, a cinque giorni dal suo ritorno all'attività agonistica, ha parlato dei tre mesi trascorsi lontano dai campi e del suo imminente ritorno: "Molto presto ci saremo, non solo io ma tutto il gruppo italiano che è incredibile. Ci aspettiamo un bel tifo"
29 aprile 2025
"Ci vediamo a Roma, speriamo di essere preparati per esserci ma sono molto contento di fare ritorno a Roma, non c'è posto più bello". Così Jannik Sinner, intervistato questa sera in esclusiva dal direttore del Tg1 Gian Marco Chiocci, dà appuntamento al Foro Italico a tutti i tifosi azzurri che nel corso degli Internazionali BNL d'Italia, torneo che segnerà il suo ritorno in campo dopo i tre mesi di inattività scontati in seguito all'accordo stipulato con la Wada per il caso Clostebol, potranno tornare ad ammirarlo.
"Ognuno è libero di dire quel che vuole e di giudicare - ha aggiunto Sinner riferendosi ai tanti commenti rilasciati da molti suoi colleghi in merito a quanto lui accaduto - l'importante per me è che so io cosa è successo e cosa ho passato ed era molto difficile e non auguro a nessuno di passare da innocente una cosa del genere"
"L'anno scorso è stato molto stressante ma siamo riusciti ad ottenere risultati incredibili, anche quest'anno siamo partiti bene poi è successo quello che è successo. All' inizio era un po' strana la situazione in cui mi sono trovato, anche fuori dal campo sono successe delle cose che non mi aspettavo ma piano piano sto tornando nel ritmo di allenamenti veri e con un obiettivo davanti. Mi sto allenando con dei giocatori forti per vedere su che livello sono, a volte va bene altre ho un calo. Sono però contento di tornare a Roma, un torneo speciale, ma sicuramente ci entrerò con un mentalità diversa. Mi manca la competizione, nell'allenamento non hai pressione e tensione, ma sono contento, ripeto, che questa fase sia terminata e siamo pronti a ripartire".
Sinner è tornato anche sul momento in cui è venuto a sapere della positività (per contaminazione, come poi avrebbe appurato il provesso di primo grado, conclusione che la Wada non ha mai contestato). "Cosa è successo? In quel momento lì non ho capito cosa fosse successo, non sapevo nulla, poi ho accettato - devi accettare - e abbiamo provato a ricostruire e abbiamo saputo subito da dove proveniva questa contaminazione. Ma ho fatto fatica ad accettare questi tre mesi perché nella mia testa mi dicevo 'non ho fatto niente, perché devo pagare il prezzo?'. Poi abbiamo parlato con il mio avvocato in modo molto concreto su quello che poteva succedere nel peggiore dei casi".
Dopo Sinner ha continuato a giocare e a vincere, ha conquistato due Slam, le Nitto ATP Finals, il posto di numero 1. Però, ammette, "come mi sono sentito io in campo non era come un giocatore si dovrebbe sentire. Ci alleniamo tanto per poi divertirci quando giochiamo una partita bella e questo divertimento giorno dopo giorno è andato un po' via. La fortuna che ho avuto è stata avere delle persone intorno a me che mi hanno aiutato molto e mi hanno creduto: il mio team, la mia famiglia. Alla fine ho costruito la mia bolla dove non entrava nessun altro e questo mi ha dato la voglia di continuare e di prepararci bene per i Grand Slam perché l'anno scorso li ho giocati bene, anche se ho avuto un piccolo infortunio prima del Roland Garros. E' andato tutto bene anche se non mi sono sentito una persona felice in campo".
"E' difficile rispondere - ha poi riflettuto Sinner quando richiesto di un parere sulle linee guida che oggi regolano i controlli antidoping - Abbiamo gli stessi protocolli, quando si è positivi ognuno ha lo stesso percorso da fare e nessuno ha dei trattamenti diversi anche se nel mio caso ho ricevuto un po' di critiche per questo, ma non sono stato trattato in modo diverso perché ho dovuto fare tante audizioni e mi hanno controllato più degli altri. Dipende da come vedi le cose. Se c'è una contaminazione e non te ne rendi conto, e può succedere, ma i dottori la controllano e dicono che non dà forza o vantaggi è un' altra cosa".
"No, non me lo immaginavo, non lo vedevo realistico e direi una bugia se dicessi il contrario - ha ancora ammesso riferendosi al suo traguardo di numero uno del mondo - Quando ero giovane, quando non mi allenavo quasi mai e ai tornei c'erano ragazzini che si allenavano tutti i giorni con cui riuscivo a giocare alla pari mi ha dato un po' di direzione nel dirmi che sapevo giocare a tennis. Ma la scelta tra sci e tennis l'ho fatta in base a quello che mi piaceva di più e mi piaceva di più giocare a tennis perché è uno sport naturale, vedi la personalità cosa che nello sci non si vede. Poi ho avuto i miei genitori che mi hanno lasciato tranquillo e mi hanno detto vai, non ci sono problemi, e poi sono cresciuto velocemente come persona".
Per diventare numero 1, spiega, "oltre al talento serve tanto: sacrifici, momenti di difficoltà, fortuna, nel non farsi male e nell'avere le persone giuste al momento giusto. Servono tante altre cose. Il talento è importante se lo combini con il lavoro ed è lì che fai il botto".
"Scatti di rabbia ne ho anche io, e tanti, ma giocare a tennis è come giocare a poker: quando vedi l'atro che sta facendo fatica e vederlo ti da la forza. Io ho dei momenti quando sono stanco o nervoso e alle volte non sento la partita in cui il mio team deve fare dei trucchetti per farmela sentire. Altre volte sono nervoso perché voglio dimostrare a me steso di essere capace e poi non ci riesco. Sono tanti momenti in cui non tutto va alla perfezione".
"Abbiamo una vita fuori dal campo, come tuti. A volte vedete solo il giocatore che è in campo ed è giusto che sia cosi, ma abbiamo anche una vita fuori dal campo, e finora ho gestito sempre abbastanza bene le situazioni che ho avuto. Nella mia testa giocare a tennis è importante, però fuori dal campo c'è una parte ancora più importante del tennis che è la vita privata, familiare, con il team, perché senza di loro non sarei nessuno".
"Due ne ho conosciuti meglio - ha poi raccontato parlando dei Big3 e del loro dominio sul circuito - Roger invece non l'ho visto spesso perché lui era infortunato e poi ha smesso. Posso giudicare un po'meglio Rafa e Novak. Rafa mi piace perché è un combattente, si tiene le persone intorno a sé in modo molto bello ed equilibrato. Se guardiamo ai numeri il migliore è Nole. Ma dobbiamo essere contenti di vivere questo momento perché quello che anno fatto vedere loro tre insieme negli ultimi quindici anni e pazzesco".
Punti importanti e belli che il numero uno del mondo ricorda con piacere ce ne sono, ma anche punti sbagliati costati cari sono ancora impressi nella sua memoria: "Ricordo il match point con Carlos agli US Open quando ho sbagliato il rovescio dopo il servizio largo. Il punto più bello è quello del mio primo Slam vinto, quel dritto lungolinea me lo ricordo benissimo".
L'emozione più grande? "Dal punto di vista personale quando ho saputo che sarei diventato numero uno è stata una sensazione incredibile perché è stato il risultato di un anno intero. Un altro momento pazzesco da italiano è quando entri sul Centrale di Roma o Torino, non sembra di stare in un campo da tennis ma in uno stadio di calcio. Una sensazione difficile da raccontare".
L'Italia sta vivendo il suo periodo da record, 45 i titoli vinti dal 2018 ad oggi sui 101 totali conquistati in singolare maschile nell'era Open.
"Abbiamo avuto un cambio incredibile quando Fognini ha vinto a Montecarlo, poi Berrettini ha fatto benissimo sull'erba facendo la finale a Wimbledon, poi sono arrivato io e adesso sta arrivando Musetti tra i primi dieci. Arnaldi sta facendo risultati incredibili e poi c'é Sonego che sta sempre lì e Darderi e gli altri. Ne abbiamo davvero tanti, e da tifoso italiano è bellissimo perché quando ne perdi uno in un torneo ne hai altri cinque .E in un Grand Slam se siamo dieci vuol dire che il 10% dei giocatori sono italiani".
A fine stagione molto probabilmente terminerà la collaborazione con Darren Cahill: "Lui l'anno scorso mi ha detto 'guarda, faccio l'ultimo anno con te e poi smetto'. Sono cose che devi accettare, è una sua scelta. Abbiamo fatto tante cose insieme, tanti risultati, però ogni cosa bella ha una fine soprattutto nel lavoro. Va bene cosi, ma in un anno possono cambiare tante cose, vediamo…".
"C'è stato un momento in cui mi è venuto voglia di dire basta, mollo tutto. prima degli Australian Open non era un momento felicissimo, c'era ancora quel caso di doping, e mi sono detto vediamo come va quest'anno. In Australia non mi sentivo a mio agio negli spogliatoi, quando mangiavo, sentivo che gli altri giocatori mi guadavo in modo diverso e mi sono detto che era pesante viere il tennis in questo modo. Li era diverso. Mi sono detto magari dopo l'Australia un po' di tempo libero mi farà bene, poi è andata come è andata ma in quel momento lì mi ha fatto bene, tre mesi sono tanti, ma non ho giocato Rotterdam anche per quel motivo: mi serviva del tempo diverso, con gli amici e dando priorità alle persone a cui voglio bene".
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