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Nadal e quella battuta di pesca con cui tutto ebbe inizio

Il maiorchino ripercorre carriera e vittorie raccontando le lezioni apprese e quanto fatto per superare ostacoli e rivali riservatigli dalla vita e dal tennis

18 dicembre 2024

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A un mese dal suo ritiro andato in scena nelle Finals di Coppa Davis di Malaga, dove la sua Spagna fu subito eliminata ai quarti dall'Olanda, torna a parlare Rafa Nadal. E lo fa dalle colonne di The Players' Tribune, per cui ha scritto un lungo articolo intitolato "The Gift" in cui riflette sulla sua carriera raccontandone retroscena e ripercorrendo quella che è stata la sua formazione giovanile, anni decisivi - racconta Rafa - che più di altri hanno contribuito a farne il campione da tutti ammirato in vent'anni di carriera.

E proprio agli anni dell'adolescenza risale la prima grande lezione appresa da Nadal. Un evento che il maiorchino ricorda ancora benissimo e che ha voluto raccontare: "Avrò avuto 12 anni e a quell'età mi piaceva andare a pesca. Amo il mare, vengo da Maiorca e fa parte della mia vita. E così un giorno me ne andai a pescare invece di allenarmi. Il giorno dopo persi il mio match e ricordo che in macchina mentre tornavo a casa mi misi a piangere e mio zio, che a quell'età aveva una grande influenza su di me e fu colui che mi fece innamorare di questo sport, mi disse: 'Va bene, è solo una partita di tennis. Non ha senso piangere ora. Se vuoi andare a pesca, vai a pescare. Nessun problema. Ma perderai. Vuoi vincere? E allora se vuoi vincere prima devi fare quel che serve". La sua natura di "perfezionista" - riflette ancora Rafa - deriva da lì, "da quella voce che non se n'è mai andata. Un giorno me ne andrò al mare. Oggi e domani mi devo allenare". 

Il racconto procede ricordando i primi palleggi con Carlos Moya, "maiorchino come me, e primo spagnolo a diventare numero uno del mondo" fino a quando nella vita di Nadal non fa irruzione il dolore. "A 17 anni mi dissero che forse non avrei potuto più giocare a tennis da professionista. Non è una piccola frattura nel piede, ma una patologia. Non c'è cura, solo gestione: è la sindrome di Mueller-Weiss". Tuttavia, pur consapevole di poter passare dall'oggi al domani dalla gioia più grande all'impossibilità di alzarsi persino dal suo letto all'indomani, Rafa ricorda quell'evento come una grande lezione sottolineando quanto la positività trasmessagli dal padre fu fondamentale per superare quello shock: "Troveremo una soluzione e se non sarà così ci sono tante altre cose oltre al tennis". Alla fine la soluzione la trovarono, "e dopo tanto dolore, tante operazioni e tanta fisioterapia in tutti questi anni sono riuscito a gestirla". 

Passano poi in rassegna i tanti tornei in cui Rafa ha lasciato il segno, dalla sua prima Davis vinta nel 2004 al primo Roland Garros del 2005, il trionfo a Wimbledon del 2008, il primo Us Open e la chiusura dello Slam con il successo a Melbourne. I tanti campi in terra rossa dominati per decenni - Madrid, Barcellona, Roma, Montecarlo - l'America e l'Asia. Tante stazioni di un unico viaggio condotto con un unico imperativo: "il bisogno di migliorare, di spingermi al limite e di migliorare. E' così che sono diventato un giocatore migliore".

Eppure, dietro ai muscoli e al profilo del campione che paura non ha, in tutti questi anni c'è sempre stato un uomo che si è sempre sentito "nervoso prima di ogni match giocato" e che "la notte prima di una partita è sempre andato a dormire sapendo di poter perdere". Sensazioni che il tennis - sport in cui "la differenza tra i due giocatori è molto sottile" - ha contribuito ad affinare tenendo "vivi e vigili tutti i miei sensi". Ma che non hanno reso immune Rafa dal vivere momenti difficili in cui dover imparare a fare i conti con ansia e paure, su tutte quella provata nel non riuscire a "controllare la mia respirazione" con la conseguenza di non riuscire ad avere il controllo del suo gioco. "Ci ho lavorato ogni giorno per migliorare, e alla fine ci sono riuscito andando avanti riuscendo lentamente a ritornare me stesso. Ho faticato, sì - chiosa Rafa - ma non ho mai mollato. E questa è la cosa di cui vado più fiero". 

Sport crudele, il tennis, in cui "nella maggior parte delle settimane si finisce col non vincere un torneo". Una lezione utile anche nella vita e che aiuta a "vivere alla stessa maniera sia i momenti di gioia che quelli dolorosi", consapevole che ciò che ti fa crescere è "la vita stessa: fallimenti, paure, tristezza, gioia e il continuare a svegliarsi ogni giorno provando a fare qualcosa in più per raggiungere i tuoi obiettivi". E memore della "regola d'oro" appresa dai suoi genitori quando era ancora un ragazzino: "Guardati intorno e fa caso alle persone che ammiri. Guarda come trattano gli altri. E' ciò che ti piace di loro. Comportati come loro e forse riuscirai a vivere una vita felice". Una lezione, conclude Nadal, che "ho portato con me in ogni match giocato, animato non dall'odio verso i miei rivali ma solo dall'ammirazione e dal rispetto più profondo". Alzarsi ogni giorno per migliorare un po' così da poter essere al loro livello, "non ha sempre funzionato, ma ci ho provato, ci ho sempre provato".

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