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Zverev il terraiolo: da dove nasce l'idea della 'Gira'

Vedendo l'entry list dei prossimi due eventi che andranno a comporre la prima parte della 'Gira sudamericana', Buenos Aires e Rio de Janeiro, spunta un nome importante: Sascha è numero 1 del tabellone

08 febbraio 2025

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Che cosa ci fa Alexander Zverev, numero 2 del mondo con spiccate attitudini da veloce, in America Latina in febbraio per i tornei su terra battuta? La domanda spunta inevitabile, vedendo l'entry list dei prossimi due eventi che andranno a comporre la prima parte della 'Gira sudamericana': Buenos Aires e Rio de Janeiro. Sascha è numero 1 del tabellone – ovviamente – in entrambi gli appuntamenti, così come sarà la prima testa di serie anche nel successivo 500 di Acapulco, in quel caso però su superficie dura.

La risposta, in realtà, sta tutta in una dichiarazione dello stesso Zverev, rilasciata durante gli ultimi Australian Open: “Nelle condizioni di gioco di Rotterdam – aveva spiegato il tedesco – non mi sono mai trovato bene e non volevo tornarci. Di solito in passato mi prendevo una pausa in questo periodo dell'anno, ma con la conseguenza che poi faticavo a riprendere il ritmo. Non volevo trovarmi in questa condizione, dunque è stato quasi naturale optare per i tornei su terra in Argentina e in Brasile”.

Intendiamoci, non è il primo top player che fa questa scelta. A Rio, in passato, hanno giocato e vinto personaggi come Rafael Nadal, David Ferrer, Dominic Thiem e Carlos Alcaraz.

Ma tutti avevano nella terra battuta la superficie ideale. Trovare invece un giocatore come Zverev, quantomeno universale ma forse ancora più a proprio agio sul rapido, sorprende un po'. E spinge a qualche analisi più approfondita.

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Punto uno. Davvero Sascha Zverev preferisce il veloce rispetto alla terra? Dando un'occhiata esclusivamente al suo tennis, ci dovrebbero essere pochi dubbi: servizio efficace e robusto, fondamentali con grandi capacità di spinta. Poi però ci sono i risultati, e allora – per esempio – vediamo che il tedesco ha vinto il suo primo grande torneo proprio sul rosso, agli Internazionali BNL d'Italia di Roma nel 2017. Più in generale, dei 23 titoli conquistati in carriera, Sascha se n'è presi ben 8 sul rosso, una percentuale significativa soprattutto se pensiamo allo sbilanciamento del calendario in favore delle prove su hardcourt, rispetto a quelle sul mattone tritato.

Se poi guardiamo gli Slam, la domanda di cui sopra risulta ancora più pertinente: Zverev vanta il miglior rendimento assoluto sulla terra del Roland Garros, con una finale, tre semi e due quarti. A Melbourne si è fermato a una finale (quest'anno), due semi e un quarto. A New York vanta una finale, una semi e due quarti. Mentre il peggior Major per lui è – da sempre – Wimbledon, dove solamente tre volte è giunto agli ottavi.

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Punto due. Cosa permette, a Zverev, di produrre un tennis particolarmente adatto al rosso? Intanto, una mobilità non comune per uno della sua stazza. Qualcosa su cui, come ha detto lo stesso Sascha, lui e il suo team hanno lavorato a lungo e con convinzione, consapevoli che da lì passava una buona dose di chance di arrivare in alto. Al netto degli infortuni – e di quello particolarmente grave subito a Parigi nell'ormai celebre match contro Nadal – Zverev ha trovato una stabilità fisica tale, anche sul lungo periodo, da risultare perfettamente a suo agio nelle battaglie da terra.

Un altro aspetto fondamentale riguarda invece i suoi colpi, che naturalmente prediligono aperture molto ampie, fattore che si sposa alla perfezione con i tempi del rosso. Il rallentamento delle altre superfici gli ha permesso di mantenere lo stesso approccio altrove, con ottimi esiti, mentre gli scarsi risultati di Wimbledon dimostrano quanto un lavoro di 'sintesi e pulizia' dei suoi colpi andrebbe messo in programma per poter ambire a qualcosa in più pure sull'erba. Dove ci sono anche i rimbalzi bassi e una scarsa propensione ai tagli a renderlo vulnerabile.

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Punto tre: le convinzioni negative. È vero, Zverev a Rotterdam non ha mai giocato bene. Al massimo ha saputo raggiungere i quarti di finale, nel 2016, quando perse da Gael Monfils. In seguito, ha ceduto a Thiem, Seppi, Bublik, Griekspoor. Tutti personaggi dai quali si può (si poteva) perdere senza alcuna vergogna. A volte però i giocatori si autoconvincono che un determinato luogo, in un determinato periodo dell'anno, non è confacente alle proprie possibilità. E danno per perso quel torneo.

Un po' l'opposto di ciò che accade con coloro che – a prescindere dallo stato di forma che stanno vivendo – arrivano in un torneo che amano e ritrovano improvvisamente la condizione. Non ci sono ragioni tecniche evidenti per le quali Zverev e Rotterdam non debbano andare d'accordo. Ma se il giocatore è convinto di questo, cambiare direzione è quasi impossibile. La curiosità, adesso, sta solo nel vedere quanto otterrà, Sascha, da questa anomala trasferta tra Baires e Rio.

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