A 33 anni, il marchigiano non smette di stupire con risultati di prestigio nel circuito Challenger. Dopo l’infortunio che l’ha tenuto fermo nella prima parte della stagione, è arrivato un nuovo coach, l’amico Alessandro Motti, e ancora tanti traguardi da inseguire per un viaggio che non smette mai di emozionarlo, tra tante soddisfazioni e un solo rimpianto: quell'unica finale Atp persa contro un giovane Sinner
13 ottobre 2025
“Questo sport mi ha insegnato a non mollare mai, a credere sempre nel lavoro che faccio e a non smettere di sognare, perché qualche volta i sogni diventano realtà”. Così parla Stefano Travaglia, 33 anni, gli ultimi 17 passati con borsone e racchette a calcare i campi di tutto il mondo. Un best ranking di n.60 ATP ottenuto nel febbraio del 2021, 25 titoli vinti in carriera tra ITF e Challenger, oggi n.211, il marchigiano continua il suo percorso, nonostante i tanti infortuni, con la determinazione di sempre e il sorriso di chi affronta questa sfida con la voglia di un ragazzino. Dopo un periodo trascorso con coach Gipo Arbino, da giugno ha scelto di lavorare con un amico, ex compagno di tanti doppi, come Alessandro Motti. Lo abbiamo raggiunto al rientro dalla trasferta tra Spagna e Portogallo.
Stefano, cominciamo dalla fine, come è andato questo mini tour iberico?
“In definitiva è stata una buona trasferta. Ho giocato a Lisbona, dove in semifinale ho perso da Rocha 7-6 al terzo. A Braga e Valencia, ho perso all’esordio ma sempre con partite tirate. Ormai il livello nei Challenger si è alzato molto, soprattutto a inizio e fine stagione, quando non ci sono molti tornei sparsi per l’Europa".
Assume quindi ancora più valore, oltre alla semifinale di Lisbona, quella a Genova, come pure la finale al Challenger di Todi. È stata un'estate positiva?
“Sì, la reputo positiva per due aspetti. Prima di tutto perché ho iniziato comunque la stagione tardi, visto che ho dovuto saltare per infortunio tutto il periodo degli Australian Open e dei tornei sul cemento, riuscendo a ripartire solo dai tornei sulla terra. Ovviamente ho perso un po' di classifica in quei quattro mesi di stop e al mio rientro ho trovato un circuito molto più competitivo rispetto anche a due anni fa, con tanti giovani, tante nuove leve che si stanno avvicinando ai Challenger, con un ranking basso che non rispecchia il loro reale valore perché sono davvero molto forti”.
E il secondo aspetto?
“Dopo il torneo di Sibiu, in Romania, vinto nel 2021, sono tornato a vincere un Challenger a Modena. Non me l'aspettavo, a essere sincero. Lavoro sempre, giorno per giorno, per avere questi risultati, però a Modena, dove sono partito dalle qualificazioni, con una lista molto molto alta perché era la settimana dopo le qualificazioni di Wimbledon, riuscire a vincere ha rappresentato il trampolino che poi mi ha fatto fare bene anche nei torni successivi”.
Tra l’altro battendo in finale un giocatore di spessore come il brasiliano Thiago Seyboth Wild, segno che il suo tennis vale molto più della sua attuale posizione nel ranking.
“I numeri sono questi e io attualmente sono 211 al mondo, ma la cosa che mi conforta è che ho fatto gli stessi risultati in metà del tempo rispetto all'anno scorso. Avendo iniziato a competere a metà marzo, a ottobre ho già avuto gli stessi risultati dell’anno passato. Per un giocatore come me, a cui piace competere e avere tante partite sulle spalle, gli infortuni sono duri da digerire. All'inizio non è stato facile e i risultati parlano chiaro, dopo Modena le cose sono cambiate e ho alzato molto il livello rispetto a quando ho ripreso a giocare”.
La grinta di Stefano Travaglia (foto Serafini)
La lista dei suoi infortuni purtroppo è lunga. L'ultimo qual è stato?
“L'anno scorso, quando ho fatto il cambio di superficie dalla terra al veloce, ho avvertito verso metà ottobre un piccolo problema al ginocchio, precisamente al tendine rotuleo. Pensavo fosse una cosa passeggera, perché a questi livelli è normale scendere in campo con piccoli fastidi e io ci ho giocato sopra… forse troppo e poi mi sono dovuto fermare. Ho chiuso la stagione al n.190 Atp ma non sono riuscito ad andare in Australia a giocare le qualificazioni perché non ero in grado di competere. E la mia stagione è iniziata con il Challenger di Monza”.
Ha giocato contro due dei talenti emergenti del tennis azzurro: Cinà e Vasamì. Che opinione si è fatto?
“Sono dei ragazzi che hanno un livello di tennis altissimo e lo hanno dimostrato i risultati di quest’anno perché sono super competitivi anche a livello Challenger. Sono entrambi dei grandissimi lavoratori già in età così giovane e super professionisti. Penso che il prossimo anno avranno già grandi risultati. Oltre al tennis, hanno dei team strutturati e a livello fisico sono molto ben impostati. Come è successo a me dopo Modena, torneo che ha alzato il mio livello di fiducia e mi ha dato tante certezze, anche loro quando vinceranno faranno un ulteriore salto di qualità che li proietterà verso un grande futuro, perché hanno molto talento”.
A proposito, viene spontanea la domanda sul suo più grande rimpianto.
“Come non dire la finale che ho perso nel 2021 a Melbourne contro Jannik Sinner. Sarebbe stato il mio primo titolo Atp. Lui era un giovane emergente ma già si vedeva che giocava un tennis diverso da tutti gli altri. Non so se riuscirò da qui fino alla fine della mia carriera a vincere un torneo Atp. Vedremo, nel tennis ci si allena ogni settimana e sperare non è vietato. Questo sport mi ha insegnato a non mollare mai, a credere sempre nel lavoro che faccio e a non smettere mai di sognare perché qualche volta i sogni si avverano. A me il tennis continua a piacere, per cui continuerò a giocare e sempre con il sorriso”.
Nel 2020 e nel 2022 ha fatto parte della Nazionale: che effetto le ha fatto vedere gli azzurri alzare per due volte la Coppa Davis?
“Dietro la vittoria dell'Italia c'è un grandissimo lavoro alla base della Federazione. Quando io ero 60 Atp non eravamo in tanti a essere in top 100. Adesso la musica è decisamente cambiata. Essere convocato in Davis è stato un sogno che si è avverato per me. Posso solo immaginare la gioia di vincerla e rivincerla… e chissà che quest'anno non arrivi il tris”.
Come mai si è interrotta la sua collaborazione con Gipo Arbino?
“Il problema era che non riusciva a darmi le settimane che avrei voluto, quindi ho deciso di trovare una persona che mi potesse seguire di più, soprattutto nei viaggi. Con Alessandro (Motti, ndr.) c’è da sempre un bel rapporto e poi, come preparatore atletico, c’è Federico Berruezo che lavora anche con Darderi”.
Nel 2020 si è spinto fino al terzo turno del Roland Garros, dove ha avuto il piacere o la sventura di giocare contro la leggenda Rafa Nadal: cosa le è rimasto dentro di quell’edizione del torneo che si giocò a ottobre?
“È stato un anno particolare per il covid e le condizioni rispetto agli anni passati erano diverse, c’era ovviamente più freddo. La prima grande gioia fu l’aver battuto al quinto set al 2° turno Nishikori, che quell’anno aveva una statistica pazzesca di match vinti al quinto. Contro Nadal mi è rimasto impresso il momento in cui hanno annunciato i giocatori: ‘alla destra della sedia Travaglia Stefano, alla sinistra della sedia Rafael Nadal, vincitore nel 2005, 2006, 2007, 2008 ecc…’ Diciamo che se prima del match avevo un po’ di ansia, dopo quell’annuncio si era triplicata. È stata un'emozione grande perché comunque Rafa l'avevo sempre visto, anche quando ero top 100, solo in televisione, non mi ci ero mai allenato e quindi quella partita fu comunque qualcosa di speciale”.
Dallo Us Open 2023 non è più entrato in un main draw dello Slam: quanto le mancano?
“Ovviamente è un obiettivo: competere nel circuito Challenger per cercare di guadagnarmi l'accesso alle qualificazioni degli Slam. Anche se ho una buona percentuale di qualificazioni, ovviamente non è facile. Quest’anno a New York ho giocato contro Martin Damm che poi si è qualificato, ha vinto un turno e ha perso solo al quarto set da Tiafoe. Il livello, come ho detto prima, è alto. Bisogna lavorare giorno per giorno, provare a essere al cento per cento”.
Tutta la gioia di Stefano Travaglia (foto Serafini)
Dopo 17 anni da pro, quali sono le motivazioni che la tengono ancora sul circuito?
“Sono tante. Mi piace entrare in campo, allenarmi e provare a raggiungere i miei obiettivi. Forse più adesso che prima perché ho raggiunto una maturità che a 25 anni non avevo. Riesco a gestire meglio i momenti sia quando gioco che fuori. Entro in campo con più tranquillità e anche quando ci sono i giorni storti cerco sempre di trovare la strada per portare a casa la partita. Questo sport mi ha già dato molto ma penso che mi possa dare ancora tanto”.
In quasi due decadi come ha visto cambiare il circuito?
“Rispetto a quando ho iniziato, nel 2008, adesso ci sono molti più tornei. Allora la classifica era un po più ‘corta’ mentre adesso si è allargata molto. Ci sono tanti ragazzi giovani che competono e di contro si è anche allungata l'età media della carriera di un giocatore. Un tempo a 27/28 anni si smetteva. Io a 29 anni ho raggiunto il best ranking. E poi adesso, tra Itf, Challenger e ATP, si può competere 52 settimane all’anno”.
A proposito di tornei, dove andrà a giocare prossimamente?
“Giocherò il Challenger 125 di Olbia, poi Bratislava e Helsinki, sempre 125, per concludere la stagione al Challenger 75 di Lione, ultimo torneo utile perché per entare nelle qualificazioni dell’Australian Open conterà la classifica del 17 novembre. Poi qualche giorno di riposo, per poi già ripartire con la preparazione invernale: prima settimana a casa e poi cercherò un posto dove si possa giocare sul cemento all'aperto per preparare al meglio la trasferta down under”.
Quando appenderà la racchetta al chiodo ha già in mente una carriera da coach?
“Sono sincero, non ci ho ancora pensato, anche perché quest'anno ho usato tutte le energie per poter tornare a competere ad alti livelli. L’esperienza certo non mi manca, però per passare da giocatore a coach serve studiare. È lo stesso sport, certo, ma la prospettiva è diversa. E credo che sarà interessante pensare di allenare un ragazzo giovane e portarlo a livelli alti. Quando vedrò la fine della mia carriera comincerò a pensarci ma, visti gli ultimi risultati, direi che c'è ancora tanta strada davanti a me da percorrere come giocatore”.