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Marat Safin e la vita da coach: "Parla poco ed è molto severo"

Da aprile a oggi, Andrey Rublev – che continua a lavorare anche con lo storico coach Fernando Vicente – qualcosa di buono la ha mostrato: finale nel 500 di Amburgo, ottavi al Roland Garros, ottavi a Wimbledon, quarti a Toronto e Cincinnati, di nuovo ottavi agli Us Open. Merito anche dell'ex numero 1

di | 12 settembre 2025

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La maggior parte di coloro che seguono il tennis da vicino (o dall'interno) avrebbe scommesso su un incarico di breve durata. Quando Marat Safin ha cominciato a lavorare con Andrey Rublev, in pochi pensavano che la partnership tra i due russi potesse durare. Non tanto per le bizze di Andrey, che pure non mancano mai, quanto per la dedizione di Marat, tutta da verificare nel ruolo di allenatore. E invece. Siamo a settembre e il sodalizio prosegue, peraltro con qualche risultato.

Da aprile a oggi, Rublev – che continua a lavorare anche con lo storico coach Fernando Vicente – qualcosa di buono la ha mostrato: finale nel 500 di Amburgo (battuto da Flavio Cobolli), ottavi al Roland Garros (battuto da Jannik Sinner), ottavi a Wimbledon (battuto in 4 set da Carlos Alcaraz), quarti a Toronto e Cincinnati, di nuovo ottavi agli Us Open. Troppo poco per un (ormai ex) top 10? Può darsi, ma in realtà nel percorso Andrey ha mantenuto almeno una certa continuità, riducendo al minimo indispensabile (per lui) i momenti di follia.

Marat Safin e la vita da coach: "Parla poco ed è molto severo"

A Monte-Carlo, a precisa domanda sul nuovo super coach, Andrey non era riuscito a trattenere le risate. “Scusate, non ce la faccio, ma lui è proprio un tipo divertente, dentro e fuori dal campo”. E ancora, una volta semi-ricomposto: “Ha già cambiato qualcosa, due o tre dettagli che mi sembrano utili. Stiamo andando nella direzione giusta. Non ci siamo messi una timeline, spero solo che anche lui si diverta lungo il cammino”.

Evidentemente, anche Marat si sta divertendo, altrimenti c'è da giurare che si sarebbe già allontanato, considerato che non ha certo bisogno di restare nel Tour in qualità di coach, dopo una carriera da numero 1 del mondo. L'aggiornamento di Andrey, a Toronto, suonò più o meno così: “Il lavoro sta proseguendo e sta proseguendo pure bene. Spero solo venga a New York e che ottenga il visto in tempo utile. In generale è molto severo, parla solo se davvero gli serve”. Il visto è arrivato, Safin era in panchina agli Us Open ma il torneo non è andato esattamente come i due speravano. Eppure la sconfitta con Auger-Aliassime non è stata la fine di nulla.

Marat Safin e la vita da coach: "Parla poco ed è molto severo"

A inizio collaborazione, quando i due dovevano ancora conoscersi sotto il profilo maestro-allievo, questa severità di cui parla Rublev si era già vista: “Cosa mi aspetto? Dipende da lui – le parole di Marat dietro agli immancabili occhiali da sole – perché è lui che va in campo. Io posso mostrargli la strada, ma poi la strada la percorre lui. Non c'è altro modo, niente appare magicamente, se non ci lavori”. Con accanto Andrey che ascoltava come uno scolaretto. Parole oneste, ma quasi bizzarre se escono dalla bocca di uno che ha usato solo in parte un talento immenso.

Marat Safin fu numero 1 del mondo complessivamente per 9 settimane, dal 20 novembre del 2000 al 22 aprile del 2001. In carriera ha vinto due titoli Slam, a New York nel 2000 e a Melbourne nel 2005, giungendo in semifinale sia al Roland Garros (nel 2002), sia a Wimbledon (nel 2008). In generale, ha vinto tanto (15 titoli e due Coppe Davis) ma poco in rapporto alle sue qualità. Con il braccio che si ritrovava, Marat sembrava destinato a dominare, ma arrivarono tanti altri con meno mezzi e una migliore attitudine a creargli problemi: Lleyton Hewitt e Juan Carlos Ferrero su tutti. Giusto prima dell'inizio dell'Era Federer.

Marat Safin e la vita da coach: "Parla poco ed è molto severo"

Non è un caso, forse, che i suoi due Major siano giunti davanti a un pubblico 'contro', battendo i padroni di casa. Nel 2000, a Flushing Meadows, dominò Pete Sampras al punto da tale da tirar fuori a Pistol Pete alcune dichiarazioni insolite, tipiche della resa: “Questo personaggio – disse l'americano – ha giocato uno sport che io non conoscevo, ha fatto di me quello che ha voluto”. Nel 2005, in Australia, ebbe la meglio su Lleyton Hewitt e, anche se ormai si conosceva, quando giocava al massimo non c'era nessuno che poteva reggere il ritmo.

Amante della bella vita (“se non l'avessi fatta – ebbe a dire – mi sarei depresso e non avrei vinto nulla”), poi politico ed eletto nella Duma russa, poi di nuovo tornato al primo amore, quel tennis che in fondo gli aveva dato tutto. Anche se l'ultimo ruolo in cui si pensava di vederlo era proprio quello di coach. Ora che questo accordo con Rublev, con cui ha in comune una lunga formazione spagnola, prosegue da oltre 5 mesi, comincia a serpeggiare il dubbio: sarà che Safin ha davvero trovato una sua nuova strada, prima di indicarla agli altri?

Marat Safin e la vita da coach: "Parla poco ed è molto severo"

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