"La Fitp - spiega l'allenatore mentale - ha tutta la mia ammirazione perché è all'avanguardia a livello nazionale e internazionale: ha saputo realizzare un sistema capillare che permette di arrivare ovunque, inclusi i circoli più lontani, formando in primo luogo i maestri e poi di conseguenza gli atleti"
22 giugno 2025
Il momento d'oro del tennis italiano? “Non una congiunzione astrale favorevole, bensì un processo che parte da lontano e che sta dando frutti importanti perché si è creato alla base il terreno ideale”. Riccardo Ceccarelli e la sua Formula Medicine sono da 36 anni nel mondo dello sport. Con la Formula 1 prima, poi con tante altre discipline, senza dimenticare il primo amore rappresentato dai motori.
Da qualche anno, Ceccarelli è un nome noto anche nel pianeta tennis, per via della collaborazione col Piatti Tennis Center (nata nel 2021), dove il medico toscano – allenatore mentale, come ama definirsi – ebbe modo di conoscere Jannik Sinner avviando una partnership che continua tuttora. “Quanti tennisti italiani – continua Ceccarelli – si sono persi negli anni, perché non erano stati messi nelle condizioni ideali per esprimersi? Sinner, per esempio, in altri tempi avrebbe potuto virare verso lo sci. O magari sarebbe emerso più lentamente. La Fitp e i coach, ora, sanno mostrare ai giovani come cucinare gli ingredienti a loro disposizione”.
Un incontro, quello tra Ceccarelli e la Fitp, che è stato anche un modo per approfondire il sistema creato alla base del movimento. “Ero un po' allergico in generale alle federazioni sportive, prima di incontrare quella del tennis, col presidente Binaghi e con il direttore dell'ISF Michelangelo Dell'Edera. La Fitp ha tutta la mia ammirazione perché è all'avanguardia a livello nazionale e internazionale: ha saputo realizzare un sistema capillare che permette di arrivare ovunque, inclusi i circoli più lontani, formando in primo luogo i maestri e poi di conseguenza gli atleti. Ho sposato il loro modo di vedere i progetti legati a questa disciplina”.
Tuttavia, per Ceccarelli, l'approdo al tennis non è stato totalmente casuale. “Ho giocato a livello agonistico da bambino, partecipando anche alle selezioni della Coppa Lambertenghi. Poi lo avevo messo da parte, ma mi era rimasto nel cuore perché è lo sport che riassume tutto: sei solo, c'è la componente tecnica, quella fisica e ovviamente quella mentale. A Viareggio avevo conosciuto Paolo Bertolucci, che mi ha presentato l'ex pro Matteo Marrai. Da lui siamo arrivati al Piatti Tennis Center e nel 2021 è cominciata la nostra collaborazione. Il tennis è una metafora della vita, più di altre discipline. La cultura sportiva insegna molto: devo battere l'avversario ma sempre rispettandolo. Il tennis ci insegna a vincere ma soprattutto ci insegna a perdere. Qualcosa che anche nella vita di ogni giorno è fondamentale”.
Fra i segreti del lavoro con i campioni che hanno fatto la storia nelle rispettive discipline – da Senna a Brignone, da Paltrinieri a Sinner – c'è anche una vera e propria palestra mentale, la 'Mental economy gym'. “Anni fa pensavo che un atleta dovesse essere forte nel suo sport, pensavo che il talento fosse l'unica chiave e che il mental coach servisse solo a chi aveva problemi. Studiando lo stress dei piloti, arrivai invece all'evidenza che il rendimento dipendeva più dalla testa che dal fisico, perché la testa è come un muscolo e va allenata. Da quel momento abbiamo sviluppato un progetto ingegneristico per misurare le performance mentali, che è diventato la Mental economy gym. A parità di performance, chi spende meno vince. Noi trattiamo dunque il cervello come un motore: ti devo dare più cavalli spendendo meno benzina”.
Oggi l'atleta deve essere una sorta di supereroe, di macchina infallibile che cerca la perfezione. Un qualcosa che è molto diverso da ciò che si vedeva in passato. “Bisogna mantenere l'umiltà, ma bisogna studiare a fondo, essere dei secchioni. Anche perché oggi i campioni hanno a disposizione una quantità di dati che prima non avevano. Nel tennis, gente come Nastase e McEnroe, puro istinto, oggi difficilmente vincerebbe quanto allora, senza una disciplina ferrea”.
Quella disciplina che sta consentendo a Sinner di essere numero 1 del mondo da ormai più di un anno: “Un ragazzo semplice, intelligente, con un grande senso dell'umorismo. Si notava che era diverso dalla media, ma l'ultimo passo verso la vetta è sempre il più difficile. Tra essere numero 10 e numero 1 c'è una differenza minima, ma c'è e si sente nei momenti chiave. Insieme al talento di Jannik, è importante anche il concetto di squadra. Servono unione e coordinamento, perché il tuttologo non esiste più. Per questo, appena se ne ha la possibilità, è giusto investire su se stessi. Poi il tennista deve diventare il leader del team: il campione deve diventare sempre più indipendente, perché con l'esperienza sa quello che gli serve. E noi allenatori mentali dobbiamo proprio avere quell'obiettivo: creare atleti indipendenti”.
Anche se poi i momenti duri arrivano comunque, solo un passo verso una crescita ulteriore. “Lo sport regala gioie e momenti duri, ma solo chi arriva in alto può subire un certo tipo di delusione. Pensiamo a Roger Federer contro Djokovic nel 2019 in finale a Wimbledon. Poi la delusione evapora e resta solo il lato positivo. Incluso il pensiero che ricapiteranno tante occasioni del genere. Oggi Federer non è ricordato per quei due match-point mancati, non gli hanno cambiato la carriera. È un mito, a prescindere da quella situazione. Un paragone per Jannik? Torno ai motori e dico Robert Kubica (pilota, ha appena vinto la 24 ore di Le Mans, ndr), proprio perché sono due campioni indipendenti”.