Il Paese che è un ponte tra Europa e Asia non vive solo di russi naturalizzati. Lo spiega il direttore tecnico della Federazione, Dave Miley: “Ogni Federazione – spiega – ha due obiettivi fondamentali: avere più giocatori e avere campioni di alto livello. Non è solo una questione di soldi, ma di organizzazione e di usare bene le risorse a disposizione"
di Cristian Sonzogni | 11 ottobre 2025
C'è un Paese che già oggi è nella mappa del tennis che conta, ma che nei prossimi anni è destinato a crescere in maniera importante, diventando un punto di riferimento a livello mondiale. Un Paese che è il nono al mondo per superficie, ma solo al 64° posto per popolazione, con poco più di 20 milioni di abitanti. Il Kazakistan ha una storia legata a doppio filo con l'Unione Sovietica, di cui è stato parte fino al dissolvimento dell'Urss, con l'indipendenza datata dicembre 1991. Da allora, i presidenti che si sono succeduti hanno messo lo sport tra le priorità per lo sviluppo economico e sociale del Paese, col tennis che ha avuto un corridoio privilegiato grazie alla passione dell'ex Capo dello Stato, Nursultan Nazarbayev.
A guidare la Federazione tennis c'è – dal 2007 – il presidente Bulat Utemuratov, businessman vicino al governo e vero artefice dell'esplosione della rivoluzione tennistica kazaka. Sul campo, invece, il direttore tecnico è un irlandese con un passato nell'Itf e nella Usta: Dave Miley. Il quale non fa mistero di essersi ispirato all'Italia, per sviluppare il suo ambizioso progetto. Oggi, nel ranking Atp, ci sono due kazaki tra i top 100 (Bublik e Shevchenko), così come sono due le giocatrici nell'élite del circuito Wta, Rybakina e Putintseva. Ma la vera forza del Paese non sta in questi elementi acquisiti dalla Russia, bensì da ciò che si sta producendo 'in casa'.
“Ogni Federazione – spiega Miley – ha due obiettivi fondamentali: avere più giocatori e avere campioni di alto livello. Non è solo una questione di soldi, ma di organizzazione e di usare bene le risorse a disposizione. Ci sono molti Paesi con tanto denaro che non hanno campioni, per esempio l'Arabia Saudita. E ci sono Paesi che non si possono certo classificare come ricchi – per esempio l'Argentina – che sfornano giocatori di alto livello a getto continuo. La mia prima volta in Kazakistan – continua – fu nel 1993, al tempo era un Paese in formazione dopo il lungo periodo all'interno dell'Unione Sovietica. All'epoca tutto quello che aveva a che fare col tennis si trovava ad Almaty (sede dell'Atp 250, ndr). Quello che è stato fatto dal presidente Bulat Utemuratov, dal 2007, è di costruire un sacco di centri sportivi in tutto il Paese. E la prospettiva è cambiata dal giorno alla notte: oggi un bambino in ogni città del Kazakistan può trovare un centro attrezzato dove poter giocare”.
L'idea è semplice: dare la possibilità a tutti di conoscere questo sport, per poi potersene innamorare. “Per me la cosa fondamentale è che i bambini si divertano in campo, siano onesti e diano il massimo di quello che hanno. Poi se vincono o perdono non importa, come non dovrebbe importare ai loro genitori. Sinner e Alcaraz? Sono delle eccezioni. Normalmente il percorso per un giocatore o una giocatrice, prima di arrivare in alto, è ben più lungo. Prendiamo il nostro Beibit Zhukayev, che ha 24 anni e quest'anno si è qualificato a Wimbledon, entrando per la prima volta in un torneo dello Slam: questa può essere considerata la normalità ed è a questo che dobbiamo guardare quando costruiamo dei giocatori, non a Sinner o Alcaraz”.
Il Kazakistan sta già dimostrando di avere la capacità di produrre ottimi tennisti, tanto che ci sono 3 giocatori tra i primi 70 al mondo nel ranking Itf juniores: Zangar Nurlanuly, Damir Zhalgasbay e Amir Omarkhanov. Per fare qualche paragone, la Spagna e l'Argentina ne hanno due, la Francia nessuno. Mentre gli Under 14 sono entrati con la squadra Nazionale tra i primi 16 team al mondo, e nella Junior Davis Cup il team kazako ha già battuto Francia e Australia, con un gruppo fatto interamente da elementi prodotti nel vivaio, entro i confini del Paese.
“Spesso – sottolinea Miley – la gente che vede in Davis giocatori kazaki nati altrove può dubitare della nostra crescita, ma la realtà è che guardando al futuro siamo già nella mappa del tennis che conta grazie alle risorse interne. Allo stesso tempo, personaggi come Elena Rybakina e Alexander Bublik sono importanti per la nostra crescita, oltre a essere sempre molto disponibili quando chiediamo loro di darci una mano nella promozione. Questo dei cambi di bandiera, ad ogni modo, non è solo un fenomeno kazako. Pensiamo a tutti i giocatori inglesi naturalizzati, da Greg Rusedski in poi, oppure a Garbine Muguruza che è nata in Venezuela e ha giocato per la Spagna. Ma, rispetto a tutto quello che vediamo al vertice, dico che conta di più la qualificazione a Wimbledon di Zhukayev, perché è in quel momento che uno junior può pensare: 'Se ce l'ha fatta lui, ce la farò anche io'. Lì facciamo il vero salto di qualità”.
I coach di tennis in Kazakistan, dal 2020 a oggi, sono passati da 200 a 400, e parliamo di buoni coach, formati anche all'estero. Ci sono infrastrutture, club, campi e soprattutto un sacco di tornei internazionali. Con il 250 di Almaty come ciliegina sulla torta: “I giocatori possono restare qui e costruirsi una classifica, senza il bisogno di andare in Europa. Come spiega perfettamente l'esempio di Zaryna Diyas, che è stata numero 31 al mondo rimanendo proprio ad Almaty, la sua città”.
Insomma, il domani sorride, a questo Paese che è un ponte tra Europa e Asia, con tante possibilità e spazi enormi, ma con un futuro ancora tutto da costruire. Avendo ben presente un esempio virtuoso da seguire: “Quello che sto facendo in Kazakistan – chiude Miley – si basa sull'esempio di Paesi come l'Italia, che adesso è leader nel mondo. Si tratta di misurare quantità e qualità del lavoro, ma anche il numero di competizioni da frequentare e di partite da giocare per diventare un atleta di alto livello. Credo che il tennis del Kazakistan diventerà a sua volta un modello da seguire”.