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L'angolo del medico

Giocare contro gli infortuni? Meglio la terra

Le superfici più morbide come i campi in terra battuta riducono l’impatto sulla colonna vertebrale, sulle radici nervose e sui dischi intervertebrali.

di | 02 marzo 2020

Non c’è niente di meglio di un bel campo in terra battuta per dare il massimo del proprio tennis salvaguardando il fisico. Lo dicono numerosi studi che confermano quello che è esperienza quotidiana di tanti giocatori. E questo vale sia per i tennisti di alto livello sia per i giocatori di club.

L'incidenza degli infortuni

È noto come sia preferibile praticare lo sport del tennis su una superficie “soft”, lenta, come la comunissima terra rossa. Vediamo il perché.

Dai risultati di una ricerca di Bastholt (storico preparatore fisico di Berdych) condotta su tennisti professionisti di sesso maschile, si evince come i campi in cemento siano caratterizzati da un’incidenza decisamente superiore di infortuni rispetto ai campi in terra rossa (0,37 trattamenti medici per partita contro 0,20).

A proposito della terra rossa, tra l’altro, lo statunitense Saal è dell’avviso che essa non sia particolarmente dannosa dato che “assorbe meglio i colpi, attutisce e richiede un passo scivolante”. Diverso, invece, è il parere dello specialista sui campi in duro, che trasferirebbero carichi più elevati agli arti inferiori e al rachide. Per quanto concerne, infine, i campi in erba, Saal ne evidenzia sì le peculiarità di assorbimento dei colpi, ma nel contempo li ritiene “[...] molto duri e di conseguenza persino peggiori dei campi composite”. Ad esempio, Federer s’infortunò a Wimbledon, nel 2016 contro Raonic, per una caduta dovuta alla superficie “instabile”.

La disamina di Saal però è solo in parte suffragata da riscontri scientifici. Se è vero che esistono in letteratura studi che dimostrano un’elevata frequenza di infortuni a carico degli arti inferiori conseguenti alla pratica del tennis su una determinata superficie, è altrettanto vero che gli studi sugli infortuni, sempre in relazione alla pratica di detto sport, a carico del rachide sono pochi, e quei pochi scarsamente attendibili.

Gli studi

Dai risultati dello studio di Georg von Salis-Soglio è emerso che un esiguo gruppo (15 elementi) di giocatori esperti accusava dolori alla schiena, ma anche agli arti inferiori, durante la pratica dell’attività tennistica su superfici dure. Tale sintomatologia dolorosa, invece, era generalmente modesta, se non del tutto assente, quando gli stessi giocatori svolgevano la loro attività professionistica su campi in terra rossa.

Le informazioni raccolte su base empirica da Joe H. Gieck, insieme alle sue personali esperienze con la discopatia degenerativa, indicano che le superfici più morbide riducono l’impatto sulla colonna vertebrale, sulle radici nervose e sui dischi intervertebrali rispetto alle superfici più dure, come il cemento.

Gli spostamenti laterali

Tuttavia, e questo è un dato su cui riflettere, nel tennis i movimenti potenzialmente più rischiosi sono gli spostamenti laterali nei quali il giocatore si ferma bruscamente per colpire la palla. In questa particolare situazione, le suole delle scarpe possono fungere da leva forzando il piede in supinazione e causando, a volte, un trauma detto appunto “da supinazione”.

Dunque, una superficie con attrito elevato è più critica rispetto alla terra rossa anche perché quest’ultima lascia al giocatore un tempo sufficiente al controllo attivo del movimento.

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