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Peso, manico e pressione: 3 consigli salva-gomito

Il telaio deve essere appropriato alle caratteristiche antropometriche del tennista così da evitare i colpi “decentrati” e le sollecitazioni meccaniche. E poi un'accortezza pratica...

di | 06 maggio 2019

* posturologo, laureato in Scienze e tecniche delle attività motorie preventive e adattative

Racchetta leggera o pesante? Per il gomito è meglio una via di mezzo... Il ricorso a racchette leggere è comprensibile anche se non giustificabile: i tennisti meno esperti, per sopperire alla mancanza di forza e alla scarsa tecnica di base, si affidano, ad esempio, a telai in carbonio o leghe di polimeri che, oltre a concedere maggiore indulgenza nei colpi decentrati, riducono (teoricamente) l’affaticamento muscolare in quanto si movimenta, spesse volte contro gravità, un oggetto di massa minore. Nonostante i vantaggi, non si può trascurare il fatto che, facendo riferimento alla seconda legge di Newton (F = ma), una racchetta più leggera, a parità di forza muscolare applicata, è accelerata più rapidamente. L’esecuzione di movimenti più veloci implica, a parità di traiettoria dell’attrezzo, fasi di accelerazione e decelerazione più brusche aumentando la probabilità che si verifichino situazioni motorie non pienamente controllate dal soggetto. Considerazioni tutt’altro che rassicuranti, nondimeno, valgono per le racchette “pesanti”. In fase di accelerazione, così come in fase di “frenata” (quando, cioè, è necessario ridurre la velocità a fine colpo), l’impegno muscolo-osseo-tendineo è notevole soprattutto se l’atleta è stato in grado di eseguire un colpo tanto veloce quanto quello fatto con la racchetta leggera. Anche in questo caso è possibile il verificarsi di situazioni di sovraccarico.

E il manico?

Nonostante si sia da più parti stigmatizzato l’uso di una racchetta con manico troppo sottile o troppo largo, la differenza di diametro di alcuni millimetri non dovrebbe influenzare la tipologia e l’intensità delle contrazioni. Il muscolo sopperisce alla discrepanza con la sua elasticità. Se, poi, il diametro è di molti millimetri, le cose cambiano perché si modifica la capacità adattiva dei flessori delle dita influenzando le potenzialità di pressione in rapporto all’impugnatura e all’ampiezza della mano. I colleghi, comunque, hanno dimostrato come non esista alcuna correlazione tra dimensione del manico e insorgenza di epicondilite.

Un piccola (efficace) accortezza

Dopo il servizio, e tra un colpo di diritto e uno di rovescio, il tennista amatoriale viene invitato a decontrarre la muscolatura, sia pure per qualche frazione di secondo, in maniera tale da ridurre l’intensità della presa (Figura B). Quest’accortezza evita una prolungata contrazione isometrica dei muscoli del braccio e soprattutto della mano, che potrebbe affaticare e indurre in errore nel gioco della palla. Nel tennista professionista, le tensioni generate dalle contrazioni isometriche, ancorché notevoli, sono in parte smorzate dall’attività coordinativa della coppia muscolare agonisti-antagonisti.

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