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La storia di Arthur Ashe è al centro della seconda puntata del nuovo format di SuperTennis "New York Stories". Ci avviciniamo all'inizio dello US Open, trasmesso in esclusiva e in chiaro su SuperTennis dalle qualificazioni
di Alessandro Mastroluca | 31 luglio 2024
Non esiste anno più rivoluzionario del 1968. Non esiste rivoluzionario nel tennis moderno con un impatto maggiore di Arthur Ashe. Primo presidente dell'ATP, primo nero a vincere Wimbledon in singolare maschile, primo nero a giocare nel Sudafrica dell'apartheid, si è battuto per l'uguaglianza e per migliorare i programmi universitari riservati agli atleti ammessi nei college con una borsa di studio sportiva. Ashe è il protagonista della seconda puntata di New York Stories, il nuovo format in onda su SuperTennis che ogni mercoledì racconta un protagonista della storia dello US Open, torneo che sarà trasmesso in esclusiva in chiaro, gratis e per tutti, sul nostro canale. Ashe, a cui è intitolato il campo centrale di Flushing Meadows, lo stadio per il tennis più grande del mondo, in quel 1968 ha vinto la prima edizione Open del torneo.
Il suo 1968 è iniziato con il suo primo discorso pubblico. E' il 10 marzo, da giovane luogotenente dell'esercito (avrebbe terminato la leva di lì a poco), accetta l'ìnvito del reverendo Jefferson Rogers a invitarlo a parlare alla Chiesa del Redentore a Washington. Il discorso conferma la sua militanza non gridata, ma ferma. Ashe parla della responsabilità degli atleti neri, li invita a fare qualcosa per gli altri, cita come modelli positivi Jackie Robinson o la stella NBA Bill Russell. "Ci sono molte cose che possiamo fare e che invece non facciamo per colpa della pigrizia". Per questo, conclude, «dobbiamo lavorare per gli altri, anche se i frutti si vedranno solo tra due o tre generazioni". Una volta lasciato l'esercito, si lasciapiù coinvolgere dalle attività e nelle iniziative della National Urban League, un’organizzazione moderata, molto diversa rispetto ai movimenti come il Black Power che in quegli anni stanno iniziando a radicalizzare la lotta per i diritti dei neri.
Potere Nero finisce per rappresentare la domanda di più immediate azioni di violenza contro la supremazia bianca in America, influenzata dalla critica di Malcolm X ai metodi pacifici di protesta di Martin Luther King Jr. Per Ashe l’avvento del Black Power conferma che la leadership è il più grande problema che affligge la comunità afro-americana.
"Se continuiamo a parlare di modelli di riferimento» ha scritto nel suo libro autobiografico Off the court, "è perché ci mancano potere e organizzazione. Dipendiamo da chiunque e chiediamo a chiunque di essere un modello per la comunità, compresi sportivi e cantanti pop. Cerchiamo leader in uomini e donne così giovani e con così poca esperienza, con una tale povertà di istruzione e personalità, che a volte sembriamo davvero senza una direzione".
Inoltre, aggiunge, "siamo afflitti dal complesso del Messia. Spesso penso che se i neri di Memphis si fossero organizzati nel modo giusto, non avrebbero avuto bisogno di cercare Martin Luther King – il Messia – per aiutarli a risolvere una crisi locale che coinvolgeva i netturbini". Mentre si trova a Memphis per organizzare un corteo non violento, King si affaccia al balcone della sua camera, la numero 306, del Lorraine Motel. In quel momento il cecchino James Earl Ray gli spara, uccidendolo sul colpo.
In quegli anni Ashe sarà soprattutto il protagonista di un’altra rivoluzione. Un cambiamento epocale che cambierà per sempre la storia del tennis. Il 2 aprile 1968 l’International Lawn Tennis Federation apre le porte del tennis ai professionisti: inizia l’era Open.
Lo US Open del 1968 è il terzo Slam aperto a dilettanti e professionisti. In semifinale Ashe incontra Clark Graebner, che ha eliminato Rod Laver. Graebner, protestante e repubblicano, assistente del presidente della Hobson Miller, divisione della Saxon Induistries, è un tennista muscolare dal gioco solido e potente; Ashe, al contrario, si affida all'ispirazione e a un'intelligenza brillante.
Il confronto è raccontato nel libro "Levels of the game" di John McPhee. L’ultimo fotogramma della partita lo ritrae con le braccia aperte, nella posa della vittoria, dopo il 4-6 8-6 7-5 6-2 che lo porta in finale. Ashe è ancora un tennista dilettante. Per il titolo sfiderà l'Olandese Volante Tom Okker, professionista, che sa già di essersi assicurato i 14 mila dollari di premio, anche perdendo la finale. Ashe ha diritto solo a 28 dollari al giorno di rimborso spese.
La pioggia ritarda il programma e costringe a spostare la finale di lunedì. Si gioca davanti a poco più di settemila spettatori che portano il computo totale nell’arco delle due settimane a 97.100, 17 mila in più di qualsiasi altra edizione precedente riservata ai soli amatori.
La sua prestazione in finale resta un capolavoro di strategia e intelligenza tattica. Ashe mette in pratica al meglio il consiglio che anni prima gli aveva dato uno dei più grandi campioni dell'era pre-Open, Pancho Gonzales: "Non devi fare il tuo gioco, ma il gioco che ti serve per vincere". Arthur Ashe jr. vince 14-12 5-7 6-3 3-6 6-3. E' il primo campione nero in Slam. La cerimonia di premiazione è commovente, come l’abbraccio con suo padre, che in lacrime gli sussurra: «Ben fatto, ragazzo» ma vorrebbe dirgli tanto di più. Una settimana dopo la vittoria a Forest Hills, Ashe viene invitato in tv al programma Face the Nation. Nessun atleta era mai stato ospite prima di allora. Un'altra rivoluzione avviata dal rivoluzionario gentile del tennis.