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L'intervista

Parla Carbone, coach di Giustino: è l'Italia la nuova Spagna

Il tecnico che ha aperto una Academy in provincia di Treviso segue da due anni anche il giocatore campano, protagonista al Roland Garros. Ecco i pilastri del suo metodo, che affonda le radici nella Spagna di Luis Bruguera e trova il suo apice nello splendido momento del movimento tricolore

di | 01 ottobre 2020

Lorenzo Giustino e Gianluca Carbone

Lorenzo Giustino e Gianluca Carbone

Dal metodo spagnolo al metodo italiano. Dalla quantità a un misto di qualità e quantità che solo un Paese come il nostro può offrire, nello sport come in tanti altri aspetti della vita. La storia di Gianluca Carbone, coach di Lorenzo Giustino e maestro da quando aveva 23 anni, è la storia di una lunga transizione dalla Penisola iberica allo Stivale. Dagli studi alla corte di Luis Bruguera e di Juan Carlos Ferrero, fino all'apertura di una scuola (in provincia di Treviso) che porta il suo nome e che ne ricalca i principi, riassumibili in questo modo: nulla viene per caso. Non è arrivata per caso, né tantomeno inattesa, la prestazione di Giustino al Roland Garros: un risultato (qualificazione e vittoria su Moutet dopo sei ore al primo turno) che potrebbe essere solo l'inizio di una nuova storia, per il tennista campano e per il suo allenatore. 

Hai sempre sostenuto che Lorenzo potesse valere i top 50 Atp. Adesso c'è un risultato in più che va in questa direzione.

“L'ho sempre sostenuto, sì, e lo confermo oggi più che mai. Però poi bisogna fare risultati, perché solo quelli legittimano le ambizioni che uno si pone. Quando ho cominciato a lavorare con Lorenzo ho visto un gran potenziale: ha dei fondamentali importanti e delle capacità coordinative non comuni. Inoltre apprende facilmente, e per questo c'era e c'è ancora tanto margine per crescere. Lo ha dimostrato anche giocando alla pari per lunghi tratti con Diego Schwartzman al secondo turno, malgrado fosse molto provato fisicamente”.

 

In quali settori ha più margini?

“Tecnicamente stiamo lavorando molto per migliorare nel gioco di volo. Ma in generale si possono fare progressi un po' ovunque, dalla difesa ai colpi di pressione. Lorenzo è cresciuto con la mentalità spagnola, quella che ti dice di non mollare mai un quindici e di mettere grande attenzione nella fase difensiva. Questo lo ha aiutato tanto, ma adesso deve prendere coscienza delle sue qualità in fase offensiva, per imporre un po' di più il suo tennis visto che ne ha le capacità”.

"La partita vinta contro Moutet mi ha tolto qualche anno di vita... Lorenzo è stato straordinario per averci sempre creduto, anche quando sarebbe stato lecito avere qualche dubbio. Ha quella curiosità tipica delle persone intelligenti, il che rende semplice lavorare con lui".

Come hai vissuto l'impresa con Moutet?

“Mi ha tolto qualche anno di vita... Scherzi a parte, è stata una grande emozione. Ero talmente emozionato che alla fine non riuscivo nemmeno a seguirla da seduto. Mi battevo ripetutamente la mano sul cuore perché arrivati a un certo punto la chiave era quella, crederci fino all'ultimo. Tecnicamente o tatticamente c'era ben poco da dire. Non nascondo che in alcuni momenti, quando il francese è andato a servire per il set o quando Lorenzo ha mancato un paio di chance importanti, ho temuto il peggio. Invece è stato straordinario lui a credere sempre di potercela fare. Ha mostrato di avere carattere da vendere e una lucidità straordinaria, anche quando era in preda ai crampi”.

 

Come è lavorare con Lorenzo?

“Molto bello perché ha quella curiosità tipica delle persone intelligenti che rende parecchio più semplice lavorare con lui. Ci siamo conosciuti attraverso Diego Nargiso, poi lui ha ripreso ad allenarsi nell'Accademia di Bruguera, ma abbiamo cominciato una collaborazione soft, in un periodo durante il quale gli davo qualche consiglio senza seguirlo in maniera così completa. I miei feedback sui suoi match, quando avevo la possibilità di vederli, comunque non mancavano mai e immagino che questo gli abbia fatto piacere. Da maggio 2018 abbiamo deciso di proseguire in maniera più decisa e quindi di avviare un rapporto più stretto, che va avanti tuttora. Credo che in questo periodo abbiamo avuto modo di aiutarci reciprocamente. Da settembre 2019 collaboriamo anche con José Maria Diaz, coach di Albert Ramos: il loro è un binomio straordinariamente longevo, perché hanno cominciato a lavorare insieme quando Albert era un bambino. Per questo mi affascina questa relazione e un giorno chissà, sarebbe bello riuscire a replicarla con un mio allievo”.

 

 

Da maestro (con accademia) a coach internazionale. Sarà un salto definitivo?

“Voglio sottolineare che ho altri progetti nei quali ho investito tanto, nei circoli dove lavoro in provincia di Treviso, lo Sporting 2001 e lo Sporting Club Vacil, che ha progetti di ristrutturazione importanti e cinque maestri che lavorano con me. Cercherò dunque di portarli avanti nel miglior modo possibile. Ma certamente da adesso in avanti passerò più tempo con Lorenzo. Del resto quello di fare il coach di un atleta di alto livello è sempre stato un mio obiettivo, ora posso realizzarlo con un ragazzo in cui credo e che condivide la mia visione del tennis”.

 

La parola chiave del tuo metodo?

“Disciplina. Credo che più che la tecnica o la motivazione, sia quella che ti fa davvero arrivare in alto. Poi è importante avere attorno una squadra. Ho sempre creduto che un coach da solo non possa fare i miracoli, ma deve avvalersi dei migliori specialisti in ogni settore. Per questo cerco di lavorare con nutrizionisti, osteopati, fisioterapisti, optometristi e ogni altro professionista che io ritengo indispensabile per arrivare all'obiettivo. Niente va lasciato al caso. Bisogna avere una visione a 360 gradi sul mondo dello sport agonistico, altrimenti i risultati non possono arrivare. Poi un segreto è senz'altro la curiosità. Quando vedo qualcosa di nuovo voglio conoscere, approfondire, per capire che tipo di approccio c'è alle spalle. E anche adesso cerco di imparare tanto da tutti”.

Nelle tue esperienze e nei tuoi racconti torna sempre il metodo spagnolo. È ancora attuale?

“Sì, perché il metodo spagnolo è una parola magica: quantità. Si lavora tanto e in maniera incredibile su ogni aspetto. Non è un caso se da anni la Spagna è uno dei Paesi leader nel mondo per risultati e per giocatori presenti tra i top 100. Stando a contatto con loro, con Luis Bruguera e con tutti gli altri coach che ho frequentato, mi sono accorto che la loro attenzione ai dettagli poteva fare la differenza. E in effetti c'erano poi i risultati a dare tutte le conferme del caso”.

 

In cosa gli spagnoli, adesso, possono imparare dagli italiani?

“Noi siamo sempre stati più attenti alla tecnica, fin dalla giovanissima età. Poi abbiamo cominciato a curare anche tutti gli altri aspetti, e adesso l'Italia è la nuova Spagna, che unisce qualità e quantità. Non voglio dire che debbano imparare da noi perché suonerebbe presuntuoso e perché sono due metodi diversi ma entrambi efficaci. Però i risultati straordinari che stanno arrivando per i nostri ragazzi sono frutto di un metodo e di un sistema, dunque dobbiamo continuare su questa strada e non fermarci. La reazione a catena che viene a instaurarsi e che coinvolge tutti fa bene a chiunque”.

Lorenzo Giustino con il suo coach Gianluca Carbone

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