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Le storie

I 3 più clamorosi colpi di... fortuna della storia

Cos'è la fortuna nel tennis? È la mano invisibile che fa ricadere una pallina di qua o di là del nastro o la fa rimbalzare sulla riga o mezzo cm fuori. E in certi casi scrive o riscrive la storia: da Becker a Djokovic...

di | 05 giugno 2019

BECKER-ROSTAGNO: UN NASTRO, DUE STORIE
Il destino è quella forza inconsapevole che il 31 marzo del 1986 spinge Derrick Rostagno a lasciare il volo XA-MEM 940 per Los Angeles durante uno scalo a Città del Messico, per iscriversi in extremis a un torneo, che poi vincerà. Nessuno degli altri 167 passeggeri arriva vivo a destinazione: un pneumatico esplode in volo, l'aereo precipita a Maravatio. È un regalo del destino, una seconda possibilità, una storia da film. E se sei nato a Hollywood, il senso dello spettacolo ce l'hai dentro. È spettacolo il look da surfista di Derrick, le maglie colorate, i portaracchette arcobaleno: di sicuro, nell'estate del 1989, allo Us Open non passa inosservato.

Vince i primi due set su un certo Boris Becker, che gioca ancora per la Germania Ovest e non si ambienta in mezzo al rumore degli aerei e all'indisciplina dei tifosi a Flushing Meadows. Becker è un'icona, ha già vinto tre volte Wimbledon e le ATP Finals l'anno prima. Rostagno è solo un giocatore da singoli exploit che attraversa la West Coast su un furgoncino Volkswagen e nella carriera vincerà un solo titolo in singolare nel 1990.

Ma quel giorno va alla grande, avanti due set a zero. Becker, battuto al secondo turno a New York anche l’anno prima, gli strappa il primo break nel quinto game del terzo, prima di chiudere 6-3. Rostagno spinge ancora Becker al tiebreak nel quarto e allunga: 6-4. Sbaglia una volée. Ma è ancora a un punto dalla vittoria. Prende la rete addirittura sulla risposta: Becker prova il passante verso il suo dritto, Rostagno è pronto a chiudere la volée. Rivede il punto dell'anno precedente con cui è rimasto in partita contro Connors a Wimbledon, solo che stavolta il nastro delle beffe punisce lui. La deviazione alza la parabola, la palla scavalca la sua racchetta, la sorte ridefinisce i canoni dell’impossibile. La partita di Rostagno finisce qua. Becker, per le statistiche, completa la rimonta, 1-6 6-7 6-3 7-6 6-3 dopo 4 ore e 27 minuti. Sopravvissuto da campione, vincerà il torneo.

Michael Stich, l'effetto... Wimbledon

Nel 1991 Londra sperimenta il giugno più freddo da 332 anni. Solo in quattro giorni durante i Championships non piove nemmeno per un minuto: per la prima volta in 114 edizioni si deve giocare anche nella domenica di mezzo. Michael Stich è arrivato come talento emergente. Ha vinto solo un torneo in carriera, a Memphis nel 1990 e ha cominciato la stagione da n.42 del mondo. È allenato dal neozelandese Mark Lewis, il fratello di Chris carneade finalista nel 1983, battuto da McEnroe e rapidamente tornato nell'anonimato. Finalista ad Amburgo e semifinalista al Roland Garros, il tedesco, negli ottavi sull’erba, sembra aver perso le speranze.

È sotto 5-3 40-15 al quinto contro Alexandr Volkov, nato destro e diventato mancino dopo un infortunio alla spalla. Il russo ha vinto a Milano, pochi mesi prima, il primo dei suoi tre titoli in carriera. Tende alla deconcentrazione, tre anni dopo basterà l'ingresso del presidente Boris Eltsin a fargli perdere il filo della partita contro Stefan Edberg in finale di Davis.

Stich, semi-anonimo 22enne di Pinneberg ma cresciuto a Elmshorn, nello Schleswig-Holstein, con la passione per Clint Eastwood e gli Scorpions, salva i due match point poi, su una volée strettissima del russo, gioca un passante disperato. In condizioni normali sarebbe finito largo, ma il nastro imprime un effetto improbabile alla palla che scavalca Volkov. Al russo non resta che allargare le braccia. Il destino premia Stich che batte Volkov, piega in semifinale Stefan Edberg (senza mai togliere il servizio allo svedese) e domina Boris Becker nella sua prima finale Slam, il primo derby tedesco per il titolo nella storia dei Championships. Per Bum Bum è la terza sconfitta in carriera sul Centrale di Wimbledon, la prima in tre set.

Nole Djokovic, una riga da Slam

“La vita è un miracolo impenetrabile perché si fa e disfà incessantemente, eppure dura e sta salda, come il Ponte sulla Drina”. Il fiume segna un limite fra due mondi, fra Est ed Ovest, fra Serbia e Bosnia. La storia di quel ponte che Ivo Andric, uno dei più influenti scrittori europei contemporanei, mette al centro del suo romanzo d'esordio è metafore di ogni linea di confine, di ogni riga che separa i destini e dà forma alle storie. Novak Djokovic cresce con la musica classica a coprire le sirene degli allarmi, le poesie di Puskin a rallegrare giornate segnate dalle corse nei rifugi, dalle bombe, da una guerra che riscrive il senso degli antichi confini della smembrata configurazione di Jugoslavia.

Resta saldo, Nole, come il Ponte sulla Drina quando Roger Federer va a servire per il match nel quinto set della semifinale dello Us Open 2011. Un anno prima, sempre a New York, è stato due volte a un punto dalla sconfitta ma ha cambiato la partita. In quella stagione, non ha mai perso fino alla semifinale del Roland Garros, quando Federer si è spinto in un posto che nemmeno RoboNole conosce. E per due set, nella città che incontra il mondo e non dorme mai, la storia sembra ripetersi. Ma Djokovic, sotto due set a zero, porta il match al quinto. Sul 5-3 30-15, affossa una risposta e il pubblico riserva un'ovazione per lo svizzero che innervosisce non poco il serbo.

40-15: sul quel match point, Federer serve una prima a uscire, in slice. “Ho letto il suo servizio” dirà Djokovic in conferenza stampa, “poi non so come sia successo: so solo che ero sulla palla e che dovevo tirare forte”. La risposta incrociata di dritto, a tutto braccio, una fucilata lunghissima, profondissima, imprendibile, atterra sulla riga nell’angolino opposto. È un po' un miracolo impenetrabile, il confine tra un'ipotesi di sconfitta e un desiderio di rivalsa. Sul secondo match point, il nastro accompagna fuori il dritto di Federer. “Quando due top player si affrontano a questo punto di un grande torneo” spiega Djokovic, “un paio di punti possono decidere la partita”. Quei due punti lanciano Djokovic verso la finale e la conquista del titolo.

"Quando due top player si affrontano a questo punto di un grande torneo, un paio di punti possono decidere la partita”. 

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