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L'intervista

Fabbiano: "Fidatevi, sarò ancora protagonista"

Ha un best ranking di numero 70, ora è appena fuori dai 100. "Devo crederci di più ed essere sempre al 100%" dice. La programmazione ambiziosa lo mette di fronte a nuove domande. "Le difficoltà ti spingono a trovare nuove risposte". La vita di un tennista che deve lottare ogni giorno per un angolo di cielo

di | 12 maggio 2019

Sono uno di cui ci si può fidare”. Thomas Fabbiano, che fino all'ultimo ha sperato di entrare nelle qualificazioni agli Internazionali BNL d'Italia, è appena fuori dai primi 100 del mondo. È numero 101 questa settimana, dopo aver toccato un best ranking al n.70 nel 2017. Però, dice, si sta costruendo “le armi per essere protagonista nei prossimi due, tre anni. Oggi non è un momento di risultati buonissimo, ma sto continuando a crearmi le opportunità. Mi sto facendo nuove domande, sto cercando nuove risposte”. Il segno dei tempi, una scelta di vita, l'equilibrio precario di chi esplora tutto lo spettro della geografia tennistica per ritagliarsi un angolo di cielo.

 

Numero 6 junior, campione di doppio del Roland Garros under 18 del 2007, ha vinto le prime partite ATP solo nel 2016 e gli hanno permesso di giocare il primo quarto ATP. Ad aprile di quell'anno entra per la prima volta in top 100. Si è sempre trovato un po' in mezzo, schiacciato dai risultati di Fognini e Seppi prima, dall'exploit di Cecchinato e Berrettini, e ora dall'attenzione crescente verso i giovani Jannik Sinner e Lorenzo Musetti. “E' bello vedere che il movimento sta crescendo, c'è ricambio. Sono felice per i giovani, perché il tennis continuerà per dieci anni a essere al centro dell'attenzione in Italia. Bravi quelli che oggi stanno raccogliendo il frutto di questo lavoro, come Cecchinato, Berrettini, Fognini, lo stesso Seppi che sta giocando un gran tennis a 35 anni”.

 

Il suo ingresso tra i primi 100 del mondo, un traguardo che certifica il valore di una carriera, è diventato un punto d'arrivo che l'ha portato a un piccolo appagamento. “Quando ero 250, ho vagato per quella classifica per diversi anni” spiega. “In quel periodo “ho avuto intorno le persone giuste che mi hanno fatto capire dove e come lavorare. Fisicamente devo sempre stare bene per competere ad alti livelli. Devo crederci ancora di più, devo farci attenzione, essere determinato al 100% può farti vincere dieci partite in più quando magari arrivi sul filo di lana”. I pezzi si mettono insieme, ma questo vuol dire solo iniziare un altro viaggio. Entrare nei primi 100 “era l'obiettivo della carriera in quel periodo. Magari ti godi quel risultato ma accontentarsi anche dell'1% può creare problemi. C'è stata una piccola parte in cui ho abbassato l'intensità di poco e qui gli avversari ti azzannano. Son tornato indietro, poi ho avuto le qualità per risalire e restare intorno ai 100-120. Ma sto investendo la concentrazione e il mio lavoro per stare più su”.

 

I miei idoli erano Agassi e Safin, ma ispirarti a loro è un po' troppo, arrivi a sentirti in difficoltà nei momenti duri

Nuove abitudini

Fuori dal campo, racconta, non è troppo competitivo. “Non sono come tanti altri che non possono perdere in tutto quello che fanno. Le sconfitte comunque adesso le sento abbastanza, in questo periodo. È un momento difficile”. Un momento di cambiamento. Ha lasciato la Tennis Training School di Foligno, dove si è allenato dal 2012. Dallo scorso ottobre è seguito a Bordighera dal coach Federico Placidilli, genovese e ideatore di un'app che offre monitoraggio, suggerimento e supporto ai giocatori di ogni livello (T-Gain), e l'aiuto di Max Sartori.

 

Lì vedono il tuo punto di partenza, ti analizzano. Sapendo la strada per arrivare in alto, ti limano dei colpi o delle certezze che hai, o dei dubbi che hai, ma non ti stravolgono il gioco. Sono attenti anche a una programmazione mirata dei tornei per arrivare in alto, che non è cosa a breve termine. Quest'anno per esempio non ho ancora giocato un challenger, come facevo di solito negli altri anni. Ho giocato solo nel circuito ATP per cui già dal primo turno sei di fronte a difficoltà nuove rispetto ai primi turni dei challenger dove hai più libertà di gioco. Queste difficoltà ti portano a creare una nuova abitudine, anche se ci vuole tempo e sto incontrando difficoltà a vincere partite” racconta.

Dopo le sconfitte diventa anche più difficile trovare le motivazioni per allenarsi con la stessa intensità. “Purtroppo di giornate in cui non ho voglia di allenarmi ci sono, ma in qualche modo sono sempre andato. Questo problema l'ho avuto dopo una brutta sconfitta soprattutto. Cerco sempre di rispettare tutti gli impegni che ho. All'allenamento non ho mai rinunciato perché ho capito che i risultati poi sono arrivati”. La routine è definita. “La mattina 45' di riscaldamento, due ore di tennis, preparazione atletica. Pomeriggio 3 ore, tre ore e mezza tra prevenzione e tennis. Al torneo, invece, dipende molto dalla partita che giocherai. Se sei in gara ti scaldi un'oretta e cerchi di dare tutto. Col passare degli anni il recupero poi diventa la cosa più importante”.

 

Si è sempre rivisto volentieri, soprattutto cerca di analizzare la gestione dei momenti importanti delle partite, per cercare di ripetere le scelte giuste e di imparare dagli errori. Non è uno di quei giocatori che si ricorda i punti dei suoi match, come il suo idolo Andre Agassi. Ha amato anche Marat Safin ma, ammette, pensare di poter prendere qualcosa da loro “è un po' troppo, arrivi a sentirti in difficoltà nei momenti difficili, fanno quasi un altro sport. Degli esempi più alla mia portata erano Tipsarevic, Schuttler, Lu, Seppi che comunque ha continuato sempre a lavorare, a fare qualcosa di nuovo, ha sempre cercato di migliorarsi”.

 

Il cambiamento non è solo tecnico o logistico. “Sono sempre stato abbastanza fermo sulle mie idee, sul mio modo di pensare. Invece negli ultimi mesi ho imparato ad ascoltare, a fidarmi dei consigli, mi sono aperto abbastanza. Sono un tipo abbastanza chiuso, negli ultimi mesi sto imparando ad aprirmi”. 

 

Tifoso della Juve, da piccolo ha giocato come tanti a calcio o a calcetto. Ma il tennis è storia di famiglia. “Mio padre giocava poi nel 1995, quando era sindaco di San Giorgio Jonico, inaugurò un circolo tennis. Avevo sei anni allora, nessuno avrebbe potuto pensare che l'avesse fatto per suo figlio. Iniziai in quegli anni lì col maestro Mario Pierri. E ora sono al Foro che posso parlare quasi da top 100 a Roma”.

 

Grandi ricordi

Il suo viaggio l'ha condotto diventare numero 70 del mondo nel 2017 a battere Wawrinka a Wimbledon nel 2018 (arrivò al terzo turno) nella sua partita più bella, dice, insieme al successo su Reilly Opelka all'Australian Open 2019. “Ho dovuto aspettare la chance dopo più di tre ore e una settantina di ace per prendermi l'ultimo passante vincente. Io sarei stato il primo a cambiare canale dopo due punti. Probabilmente un italiano però aveva piacere a vedere questa differenza che c'era in campo. Anche su uno 0-40, fargli sentire che sei pronto a prenderti qualunque occasione ha fatto la differenza”.

 

D'altra parte, si è trovato anche spesso in Cina, o diretto verso curiose avventure. “In Russia” dice, “ricordo un viaggio in treno di notte da Kazan a Mosca. Potevamo scegliere se fare 3 ore di aereo o 11 di treno, andiamo in aeroporto ma il volo non c'era. Ho dormito a casa di un amico di questo doppista, il bielorusso Andrei Vasilevski. Per fortuna non ho problemi a dormire sui treni o nei voli”.

 

Sono felice per i giovani, perché il tennis continuerà per dieci anni a essere al centro dell'attenzione in Italia

Per le altre ore c'è sempre qualche serie tv da guardare. “Ho visto Prison break, Vivir sin permeso, una serie spagnola su un uomo d'affari con l'alzheimer che si confida con i collaboratori ma magari si dimentica quel che ha detto 10' prima. Poi Suburra e Gomorra, che secondo me sono storie da conoscere per un italiano”. Ascolta Jovanotti, suoi gli unici concerti che abbia visto dal vivo, e i Coldplay. Nel poco tempo libero durante i tornei, segue un po' il calcio, passa del tempo con il fratello legge, soprattutto biografie di grandi campioni dello sport (Agassi, Ibrahimovic).

 

È ambizioso, sensibile, cerca di imparare e di migliorarsi. “Essere da solo in campo è una responsabilità” dice, “questo ti fa crescere tanto. Devi fare delle scelte, si vede presto se stai facendo la scelta giusta o sbagliata. Mi piace che tutta la responsabilità sia su di me”.

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