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L'intervista

La storia da romanzo di Martina Trevisan

Una saga, quella della sua famiglia: il fratello Matteo, più grande di quattro anni, è stato numero uno del mondo junior, spaccava la palla, ma oggi la carriera da professionista è un ricordo e fa il maestro tra Pistoia e Firenze. Martina invece si è voluta regalare una seconda chance.dopo una baby carriera da ragazzina prodigio

di | 13 maggio 2019

La sua è una storia da romanzo: il tennis dà, il tennis toglie e quando meno te lo aspetti regala gioie. Oggi Martina Trevisan, 25 anni di Firenze, racconta un capitolo bellissimo della sua seconda vita. Una saga, quella della famiglia Trevisan: il fratello Matteo, più grande di quattro anni, è stato numero uno del mondo junior, spaccava la palla, ma oggi la carriera da professionista è un ricordo e fa il maestro tra Pistoia e Firenze. Martina invece si è voluta regalare una seconda chance. Una baby carriera da ragazzina prodigio e un futuro di vittorie che sembrava già scritto nelle stelle a suon di tappe bruciate: non aveva ancora compiuto 16 anni e giocava regolarmente gli Slam junior. Non solo: vinceva anche tra le professioniste e tutti restavano a bocca aperta di fronte a quel diritto mancino di rara naturalezza. Purtroppo dietro i risultati c'era un malessere nascosto, qualcosa che pian piano si era rotto. "Anche se all'apparenza sembrava tutto perfetto - racconta Martina - dentro di me sapevo di non sentirmi bene. Non riuscivo a gestire ciò che avevo intorno, le pressioni, le aspettative che c'erano su di me, quasi l'obbligo di dover vincere sempre. Tutto viaggiava alla velocità della luce e nessuno si accorgeva del mio malessere. E in quello stesso periodo nella mia famiglia ci sono stati dei problemi". Sedici anni sono un'età bella e complicata, in cui hai bisogno di una guida, di un'ancora alla quale aggrapparti nelle tue insicurezze. A quell'età la mancanza di serenità te la porti in campo. "Il tennis era diventato un ambiente nel quale non mi sentivo più a mio agio. Probabilmente ho sbagliato a continuare a giocare fino al punto in cui mi sono persa, smarrita sino ad ammalarmi di anoressia. Mi dovevo allontanare del tennis, altrimenti ne sarei stata travolta".

Stop e ripresa

Mollare la racchetta è stata come una liberazione. Martina ha cominciato ad assaporare una vita normale come quella dei coetanei: uscire con gli amici e non dover programmare la propria vita in base agli allenamenti e al calendario dei tornei. E' anche andata in un centro per curare l'anoressia con il sostegno di una psicologa. "Senza di lei non ce l'avrei fatta, mi ha salvato", sottolinea. E quando la situazione è tornata sotto controllo il tennis ha di nuovo bussato alla sua porta come era inevitabile che fosse. Ha ripreso a giochicchiare a Pontedera e tutti la esortavano a riprendere sul serio l'attività con il talento che ha. "Mi chiedevano cosa era successo, perché avevo smesso di giocare a tennis e ammetto che tutte quelle domande un po' mi infastidivano. Non volevo parlarne e non tutti avevano la sensibilità di capirlo. Sentivo che il tennis non era un capitolo chiuso della mia vita, ma avevo altre priorità in quel momento. Ho deciso di riprendere solo quando sono stata felice di farlo". Intanto aveva finito il liceo e aveva cominciato a lavorare come maestra al Circolo Tennis Pontedera. "Insegnavo un po' a tutti, bambini, ragazzi e adulti e non mi dispiaceva, anzi ero soddisfatta, avevo ritrovato la serenità interiore. Dopo un anno circa però ho cominciato a chiedermi se fosse davvero quella la vita che desideravo. In quel momento ho capito che era giusto riprovarci, che la sfida con il tennis poteva ripartire".

Le difficoltà mi hanno resa più forte. L'esperienza ti fa crescere e oggi mi rendo conto che perdere una partita non è la fine del mondo

IL RITORNO A TIRRENIA

Dall'arrivederci al suo ritorno in campo erano passati quattro anni, una eternità nel tennis. Dal gennaio 2010, quando aveva giocato l'ultima partita in un ITF junior in Repubblica Ceca, al marzo 2014 quando ha telefonato a Giancarlo Palumbo, responsabile del Centro tecnico federale di Tirrenia. "Gli dissi che volevo tornare e che mi serviva un appoggio per allenarmi. Mi hanno subito accolta e ho ripreso con calma, senza forzare troppo. All'inizio le ragazze più giovani che si allenavano a Tirrenia si chiedevano chi fossi, poi con il tempo si è creato un grande rapporto un po' con tutte". A metà maggio, dopo qualche settimana di allenamento, ecco il primo torneo della sua seconda carriera: un ITF da 10mila dollari a Caserta. "Non ero più la ragazzina insicura e spaurita di quattro anni prima, ma la giocatrice era sempre la stessa. E anche la passione per questo sport". Da allora non si è più fermata e nonostante qualche infortunio ha scalato il ranking guadagnandosi un posto nella rinnovata squadra azzurra di Fed Cup. Nel 2019 ha sfiorato l'ingresso nel tabellone principale degli Australian Open: a Melbourne nel turno decisivo delle qualificazioni è stata avanti 63 5-3 contro la cinese Lin Zhu arrivando a due punti dal successo. E anche nel 2018 era andata vicina alla qualificazione sia al Roland Garros che agli US Open."Ci riproverò - dice - non voglio certo fermarmi, anche se dopo quello che ho passato l'aver raggiunto i tornei dello Slam è un grande traguardo. Se mi guardo indietro mi accorgo che non era facile nemmeno arrivare sin qui". Intanto lo scorso marzo ha vinto a Charleston il suo primo match in un main draw Wta ed è attualmente numero 146 del mondo. Prossimo obiettivo la top 100.

Come Ashleigh Barty

La sua vicenda ricorda per certi versi quella di un'altra ex bimba prodigio, Ashleigh Barty, tennista australiana di origini aborigene oggi 22enne. Nel 2014 aveva lasciato il tennis per il cricket partecipando alla Big Bash League, il massimo campionato australiano: meno alienante, meno solitario. Poi nel 2017 è tornata in punta di piedi e in breve è diventata protagonista, tanto da trionfare il mese scorso a Miami ed entrare tra le top ten. Un antico proverbio aborigeno recita: "Il nostro scopo è osservare, imparare, amare...  e poi ritorniamo a casa". Oggi Martina guarda avanti con ottimismo e non c'è spazio per i rimpianti. "Capita che mi faccia ancora delle domande come è naturale che sia. Ad esempio dove sarei potuta arrivare se non avessi smesso per anni. Poi mi dico che in quel momento era ciò che sentivo e dovevo fare. Le difficoltà mi hanno resa più forte e matura. L'esperienza ti fa crescere e oggi mi rendo conto che perdere una partita non è la fine del mondo. Certo mi girano le scatole, ma ora so che la vita è un'altra cosa".

 

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