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L'intervista

Sascha Zverev: “Il mio idolo è Nole”

Il n.1 degli emergenti si racconta ai box della Head con il suo idolo Djokovic. Che l’ha visto crescere da junior insieme a suo fratello Djordje. La giornata-tipo, la passione sportiva, la racchetta, il ciondolo d’oro, il costosissimo cronografo iperleggero

di | 19 aprile 2019

Il numero uno di oggi e quello (probabile) di domani sono compagni di scuderia. Infatti giocano, fatto come minimo curioso, con la stessa racchetta. E non per caso. Lo scopri ai box della Head dove, in circostanze molto particolari, come la firma di un contratto, li puoi trovare insieme. C’è un filo rosso che li unisce. 

“Novak è sempre stato il mio idolo, il mio modello di campione - racconta Alexander Zverev, quello che ha impedito al ‘suo’ campione di vincere il sesto titolo alle Atp Finals. - Quando nel 2009, me lo ricordo perfettamente anche se ero poco più di un bambino, Thomas Bischof della Head mi fece provare le sue racchette in allenamento con mio fratello Mischa, gli dissi: ‘l’unico modo che hai di convincermi è darmi la racchetta bianca di Djokovic’. Da allora non ho piú cambiato”.

“Anch’io mi ricordo benissimo quando era più piccolo - sorride Nole - ho la stessa età di suo fratello Mischa, giocavamo gli stessi tornei sin da giovani. Viene da una bella famiglia che lo ha fatto crescere bene, con i valori giusti. Sascha a 15 anni giocava invece gli stessi tornei junior di mio fratello Djordje, che ha due anni più di lui. Fisicamente era molto più acerbo di Djordje ma trovava sempre il modo di vincere la partita. E questa è la qualità dei campioni. Poi è cresciuto, ha sviluppato un servizio molto potente e difficile da leggere. Se mi assomiglia? Questo genere di paragoni non mi è mai piaciuto: ho sempre pensato che ciascuno fa la sua strada, ha una sua parabola. Sascha sta facendo il suo percorso benissimo. L’ho visto lavorare a Monte-Carlo e ho potuto apprezzare quanto sia motivato e quanto stia lavorando per raggiugere i suoi obiettivi. Ha buoni rapporti con tutti, e questo in fin dei conti è molto importante. È sulla strada giusta per diventare un grande”.

In comune Sascha Zverev e Novak Djokovic hanno anche la residenza: il Principato di Monaco. “Lo seguo da quando ero piccolo. Ho visto tutto il lavoro che Novak ha fatto per raggiugere i traguardi che si era posto. A un certo punto ci siamo anche allenati insieme. E ho potuto rendermi conto da vicino di che razza di ‘animale’ sia dal punto di vista fisico. In quel senso è avanti anni luce rispetto a me. Io sto lavorando, sto lavorando tanto sotto quell’aspetto...”. Eppure è già arrivato lì, in cima al Masters, facendo cadere uno dopo l’altro Roger Federer e il suo idolo Nole. Si parla di lui come il n.1 del futuro. Proviamo a scoprire qualcosa di più dietro quello sguardo tagliente, di ghiaccio azzurro.

Ci puoi descrivere una tua giornata- tipo?

“Mi alzo verso le 8.30. Per le 9.30 sono in palestra. E lavoro con il mio preparatore fisico all’incirca tre quarti d’ora prima di passare al lavoro sul campo. Lì l’allenamento dura circa 3 ore. Nel pomeriggio di solito ho un’altra seduta in palestra, altro allenamento di circa tre ore. Mi fermo alle 20.00 in punto. Questa è la mia giornata tipo. Durante i tornei i ritmi cambiano per forza, sono legati agli orari dei match. Non si può parlare di giornata tipo perché a quel punto tutto gira intorno alle partite”.

Per quanto concerne l’alimentazione segui una dieta particolare?

“Non ho bisogno di mangiare pasta (ride, ndr), la mangio quando non gioco i tornei. Comunque non ho una dieta particolare. Cerco di non esagerare. Prima della partita mangio spesso il riso con il pollo. Mi piacciono le patate dolci. Se sono lontano dalle gare mangio un po’ di tutto. Di certo non c’è da scrivere un libro sulla mia alimentazione come ha fatto Novak”.

Che rapporto hai con la tua racchetta? Te ne occupi personalmente o la affidi al tuo coach o al tecnico? “La customizzazione viene fatta direttamente nei laboratori Head. Loro sanno che cosa cerco, di che caratteristiche ho bisogno. Poi ho un incordatore personale che mi segue nel circuito”.

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Che corde usi, quanto le fai tirare?

“Uso un ibrido: budello naturale e sintetico Head Hawk Touch. La tensione varia a seconda delle condizioni: temperatura, umidità. Comunque resta in un range compreso tra i 23 e i 26 kg”.

Che cosa non può mancare nel tuo borsone?

“Le racchette. Anzi, otto racchette”.

Che altri sport ti piacciono? 

“Il basket soprattutto, seguo molto i match del campionato NBA”.

Chi è il tuo campione preferito al di fuori del tennis?

“Dwyane Wade dei Miami Heat”.

Hai vinto il Trofeo Bonfiglio, gli Internazionali d’Italia Juniores, 5 anni fa, nel 2013. Poi hai conquistato anche gli Internazionali BNL d’Italia, nel 2017, entrando per la prima volta tra i Top 10 del ranking Atp. C’è un feeling particolare con l’Italia?

I love Italy. La gente è solare, piena di energia. Mi sostengono a voce alta, mi trasferiscono la loro energia. Giocare in Italia è sempre qualcosa di speciale per me. Poi quello che è successo nel 2017 è davvero particolare. Ero partito n.24 del mondo e sono arrivato al n.3: vincere due Masters 1000 fu davvero incredibile per me. Non me l’aspettavo. Non così presto. Affrontare Novak a Roma in finale, uno dei più grandi giocatori di tutti i tempi in un torneo ricco di storia, e riuscire a vincere mi fece provare emozioni fortissime”.

Cambi divisa, cambi torneo, persino emisfero o stagione ma in campo porti sempre un grande orologio al polso e una vistosa catena d’oro al collo. Non sono ingombranti questi oggetti durante le partite, non preferiresti sentirti più libero?

“Ma io mi sento liberissimo. L’orologio pesa 18 grammi (32 con il cinturino, è un Richard Mille 67-02 da 150mila euro ndr). Sentilo (se lo toglie e me lo porge…). Poi queste due catenine sono l’unica cosa che porto addosso, non saranno nemmeno 20 grammi”.

E che cosa rappresenta il medaglione?

“Due arieti, uno più grande, uno più piccolo. Arieti come me”. È nato il 20 aprile, ultimo giorno del segno dell’Ariete, quello di chi ama essere in prima linea, primeggiare, tentare imprese anche impossibili. Che nel suo caso, con la racchetta in pugno, stanno diventando possibili una dopo l’altra.

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