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Le storie

Serena WILLIAMS è sempre più Wonder Woman

“Vestita così mi sento una specie di principessa guerriera di Wakanda”, ha detto del suo completo da super-eroina (che combatte i problemi di circolazione post-parto). La Williams rivista a Parigi è tornata del tutto?

di | 05 maggio 2019

”Jeu, set et match, Madame Williams”. Una formula tipica che quest’anno a Parigi aveva un suono e un significato più musicali del solito. Non per la piccola ma significativa variante dal consueto “Mademoiselle”, ma per la grande notizia che portava con sé. 
Era la finale di Wimbledon... sarebbe più scioccante se non fossi stata in lacrime

Lunga rivalità

nche se, per la verità, la russa aveva riacceso una rivalità a senso unico concedendosi qualche licenza di troppo su Serena nella sua autobiografia, pubblicata pochi giorni dopo la nascita di Olympia, scivolando in un paio di cadute di stile. Tra queste c’è il racconto, con dettagli, del pianto di Serena negli spogliatoi di Wimbledon nel 2004, dopo la sconfitta in finale contro una Sharapova 17enne. Serena a Parigi è stata ovviamente interpellata in merito, prima che l’infortunio le impedisse di cercare la ventesima vittoria consecutiva contro Maria, sempre battuta dal 2005 ad oggi: “Era la finale di Wimbledon... sarebbe più scioccante se non fossi stata in lacrime” ha detto, “e io sono emotiva, provo emozioni e le mostro come medaglie. Quindi per me è del tutto normale. Penso che ciò che succede nello spogliatoio dovrebbe restare lì. Magari non dovrebbe essere trattato in un modo non così positivo in un libro”. La classe non è acqua. La classe è anche battere la tua rivale più forte e un po’ chiacchierona per 13 anni di fila, ogni singola volta. La classe è anche sangue e sudore. Lo insegna Serena, principessa di un mondo che si è costruita da guerriera.

È difficile giocare quando non riesci a servire. Non ho mai avuto questo tipo di infortunio prima, non l'avevo mai provato in vita mia

Dolore e ritiro

Abbigliamento a parte, il suo era stato un ottimo debutto, in cui aveva rifilato 13 ace alla Pliskova meno forte, Krystina, la quale probabilmente sperava di trovare un’avversaria più abbordabile. Delusa e un po’ rosicante, la ceca ha detto ai giornalisti: “Mi chiedo se [quell’abbigliamento] sia nelle regole. Non so nemmeno che materiale sia. Dovrebbero seguire le regole, oppure giocare nude!”, utilizzando un plurale che in realtà era rivolto a Serena e basta. 

Durante il torneo l’attenzione si era progressivamente e finalmente spostata sul suo gioco, sempre in crescita durante le due partite successive: la splendida e orgogliosa rimonta contro Ash Barty, giovane e talentuosa Top 20, e la demolizione di Julia Goerges, una delle prime dieci al mondo su terra battuta. Poi, nel primo pomeriggio di lunedì, l’attesa e l’eccitazione per un incontro dai tanti significati si sono sgonfiate come palloncini: problema al petto, dolore lancinante, primo forfait in carriera durante uno Slam. L’infortunio ha negato a lei la possibilità di battere ancora una volta Maria Sharapova, e a noi una sfida da pop corn e pomeriggio di ferie. “E’ difficile giocare quando non riesci a servire. Non ho mai avuto questo tipo di infortunio prima, è una cosa che non ho mai sentito in vita mia ed è veramente doloroso”, ha detto Serena nella sua quarta e ultima conferenza stampa parigina, affollata di giornalisti come e più delle altre, l’unica senza sorriso. C’è da credere alla stessa Maria, che in situazioni ordinarie avrebbe avuto motivi per festeggiare la notizia del walkover ai quarti, quando dice che invece “non vedevo l’ora” di giocare e di essere “delusa” dal fatto che si sia dovuta ritirare.

Dritta per la sua strada

Affermare che Serena abbia preso poco sul serio il suo ritorno al tennis giocato dovrebbe sembrare una battuta, uno scherzo. Eppure, naturalmente, s’è detto e scritto anche quello. Come spesso capita a chi deve sostenere non solo il fardello di portare a termine una gravidanza, ma anche quello di vivere in un mondo fatto su misura per noi maschietti dalla pelle chiara, i commenti sulla sua professionalità, sulla sua volontà e (potevano mancare?) sul suo peso e forma fisica si sono sentiti eccome. Dal sempre più prevedibile Ion Tiriac in giù (o in su, a seconda dei punti di vista), le persone che hanno perso occasioni per tacere - o per congratularsi - sono state molte. Serena, come suo solito, ha tirato diritta per la sua strada e ha mostrato quanto tema il vociare altrui presentandosi in campo con una 'catsuit' da urlo.

“Mi sento come una guerriera indossandola, una specie di principessa guerriera di Wakanda”, ha detto nella sua prima conferenza stampa a Parigi, riferendosi a Shuri - supereroina dei fumetti Marvel di recente interpretata da Letitia Wright nel film Black Panther – e al suo Regno fittizio. Non a caso: il film è stato uno dei successi più acclamati di questa stagione cinematografica e ha regalato alla comunità afroamericana, che vive un passaggio storico delicatissimo tra amministrazione Trump e la piaga del razzismo violento delle forze di polizia, un prodotto di massa che parla direttamente a loro. Piaccia o meno, oltre al valore estetico e simbolico (“Per tutte le mamme che hanno avuto un difficile recupero dalla gravidanza: questo è per voi. Se posso io, potete anche voi” ha twittato Serena a didascalia di una sua foto in campo), il completo di Serena aveva anche il compito di favorire la circolazione del sangue nelle gambe, motivo di preoccupazione dopo le sue ripetute embolie.

 
Mi sento come una guerriera indossando questo 'catsuit', una specie di principessa guerriera di Wakanda

“Per essere onesta, c’era qualcosa di veramente attraente nell’idea di trasferirmi a San Francisco (dove vive e lavora il marito Alexis Ohanian, ndr) ed essere solo una mamma”, diceva in un’intervista a gennaio. E chi non la troverebbe attraente, dopo aver messo assieme una carriera che già si poteva tranquillamente definire la più bella di sempre? Eppure, il suo fuoco bruciava e brucia ancora.

Per il documentario “Being Serena”, trasmesso dallo scorso mese sulla tv americana HBO, le telecamere hanno avuto accesso alla vita privata di Serena molto da vicino, sia prima che dopo la nascita di Olympia. Quando intervistata o chiamata in qualche modo a interpretare la sua persona pubblica, Serena ne esce un po’ impacciata e artificiosa. Fa tornare alla mente il fatto che è una delle poche star davvero globali ad essere diventata tale per qualità tra cui non è compresa la capacità di guardare in una telecamera. Durante il documentario due argomenti però la spogliano immediatamente e in modo plateale di qualsiasi posa o maniera, e la fanno tornare Serena Williams: la nascita della sua bambina, e il ritorno sui campi.

Ritorno a casa

In ogni caso la sensazione, per molti, è stata quella di un ritorno a casa di qualcuno che mancava da un po’: la nostalgia sparisce, le emozioni crescono, persone e luoghi che fanno parte gli uni degli altri tornano ad appartenersi. Erano passati 269 giorni dal parto della piccola Olympia, venuta al mondo lo scorso primo settembre in Florida.

Alla gioia immensa della maternità si era immediatamente affiancato un terrificante calvario medico, non il primo nella vita leggendaria (ma tutta vera) di Serena: un parto cesareo di emergenza dopo che il suo battito cardiaco era precipitato durante le contrazioni, seguito 24 ore dopo da un’embolia polmonare, il cui trattamento anticoagulante le ha a sua volta provocato un’emorragia addominale. In tutto, un’insieme di complicazioni piuttosto spaventoso che l’hanno tenuta a letto 50 giorni.

E in tutto, a oggi, di giorni non ne sono trascorsi nemmeno 500 da quando, il 28 gennaio 2017, alzava il suo settimo Australian Open appena prima di entrare nel terzo mese di gravidanza.

L’abbiamo sentita pronunciare dai giudici di sedia del Roland Garros in tutti e tre gli incontri disputati da Serena, in quello che era il suo primo Slam dagli Australian Open del 2017 vinti a gennaio dello scorso anno. Krystina Pliskova, la numero 18 del mondo Ashleigh Barty, la numero 11 Julia Goerges: battute, sul campo, senza scorciatoie; nemmeno quella sacrosanta quale sarebbe stata la conservazione di una testa di serie per chi si prende un congedo di maternità. L’avevamo già vista in campo a dicembre, per un’esibizione, e tra febbraio e marzo per gli appuntamenti casalinghi di Fed Cup, Indian Wells e Miami. Martedì scorso è tornata a colpire palline in uno dei quattro Centrali più importanti del mondo, e lo ha fatto spesso con il tempo, la potenza e la precisione cui ci aveva abituati, durante quei 23 percorsi verso un titolo Slam completati nella sua carriera da supereroina. Mancavano, com’è fisiologico, una certa prontezza e abitudine nei cambi di direzione e nel ripartire da ferma; di certo, non la competitività ad altissimi livelli.

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