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Il trionfo della 19enne sarebbe stato ideale per l’immagine del movimento in sofferenza. Ma la ragazza è ancora in costruzione, dal gioco (senza piano B), alla gestione della pressione (contro l’amica Pegula e il vento del Messico) al team che s’è già rotto…
di Vincenzo Martucci | 05 novembre 2023
Vieni a Cancun, tuffati dalle sue spiagge bianche nel mare blu. La presentazione delle Wta Finals doveva superare con uno slogan ad effetto qualsiasi dubbio sull’organizzazione affrettata del torneo-emblema della stagione. Nel poster le ancelle del tennis ce l’avevano messa tutta coi loro bravi vestitini lunghi, i sorrisi convinti, la felicità di ragazze soddisfatte del loro lavoro (e delle loro fortune).
Ma già dall’unica eccezione, Iga Swiatek stretta nel suo abitino rosso che spiccava più che mai e per la cui scelta non c’era spiegazione plausibile (“Mi piaceva tanto e avevamo ricevuto alcuna comunicazione ufficiale sull’abbigliamento”), si capiva che qualcosa non andava nel modo giusto e che molto non sarebbe funzionato da lì in avanti. Anche perché la polacca non aveva alcun motivo per distinguersi dalle colleghe, non essendo più la numero 1 della classifica. Sul trono c’è Arena Sabalenka, la campionessa Bielorussia scomoda, di cui la Wta, i tornei, le pubblicazioni, i cartelloni ignorano la nazionalità e l’inno per via dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e dei suoi primi alleati.
Eppoi, d’accordo le tribune tubolari approntate in 51 giorni dagli organizzatori che non sono bellissime ma insomma caratterizzano anche altri tornei creati dal nulla, ma il campo, pur risistemato di continuo, ha regalato sempre strani e incontrollabili rimbalzi, i media sono stati sempre troppo pochi, e le tribune sono rimaste desolatamente semivuote anche se il pubblico è stato talmente caldo ed appassionato da commuovere proprio la Sabalenka che l’ha adottato: “Vi porterei tutti insieme sugli spalti degli US Open”.
Parole fantastiche che fanno meditare sul fantastico marketing che si potrebbe impiantare sul movimento. Che è fortunatissimo coi tanti personaggi sul palco e con quelli che scalpitano dietro (Zheng, Noskova, Mirra Andrea, Snaider), incluse le infortunate in bacino di carenaggio (Raducanu) e i rientranti (Naomi Osaka). E che a Cancun ha promosso alle semifinali 3 delle prime 4 del mondo, Sabalenka, Swiatek, Gauff e la numero 5, Pegula, al posto della 4, Rybakina. Quindi la creme della creme.
La salvezza delle Wta finals aveva un nome e un cognome ben precisi: per dare una mano di vernice brillante all’immagine sbiadita del movimento (eufemismo) bisognava lanciare ulteriormente una giovane come la 19enne Coco Gauff, l’ultima erede designata delle sorellone Williams. Meglio, molto meglio la bimba dal gran fisico che coi suoi numeri ha attratto nel tennis donne il super-coach Brad Gilbert, profeta del “gioco sporco” ed ex guru di Andre Agassi. Meglio, molto meglio velocità e potenza dell’afroamericana col piede sempre sull’acceleratore senza un piano B piuttosto che i muscoli della regina scomoda Sabalenka, la varietà senza emozioni della grigia Swiatek o la completezza senza brividi dell’anonima Pegula. Peccato che il diavolo avesse altri progetti e li volesse attuare nel modo peggiore, guastando anche la cartolina di Cancun con pioggia e vento, e quindi ulteriori difficoltà ambientali. Che poi significavano complicare il gioco della giocatrice più istintiva e ancora in via di costruzione come la grande speranza Gauff.
STORIA
Peggio. Coco è cresciuta, sul Tour, proprio accanto a Jessica, che è stata allevata dai genitori a pensare anche ad altro nelle sue lunghe giornate dedicate al tennis. Coco ha adottato come sorella maggiore la connazionale dalle ampie vedute, e ci passa quasi tutto il tempo assieme, visto che ci fa coppia pure in doppio. Insieme erano già naufragate 12 mesi fa alle WTA Finals confezionate per loro a Fort Worth in Texas, insieme hanno ragionato e rimuginato su quel fallimento, insieme sono tornate da protagoniste al torneo del riscatto.
Ma la Gauff, favorita da una fase finale dell’anno da protagonista assoluta, proprio non ce l’ha fatta a stabilizzare e finalizzare al meglio il suo gioco di spinta contro la super-incontrista. Mentre, nelle difficoltà moltiplicate all’ennesima potenza, aumentate dalla pressione della semifinale tutta a stelle e strisce, la 29enne Pegula, pressata dalla consapevolezza di non avere poi tutto il futuro davanti a sé come la sua avversaria ancora teen-ager, s’è esaltata. Piegando l’amica in nemmeno un’ora di gioco, diluita da pioggia e sospensioni. E rimandandola dietro la lavagna, insieme al suo guru.
Non sappiamo esattamente come si sia concretizzato il divorzio poco prima di Cancun fra Coco e il suo coach del bum negli ultimi 5 mesi Pere Riba. Il repentino e traumatico distacco dal coach che, abbandonando dopo Wimbledon la cinese Qinwen Zheng, l'ha portata in pochi mesi al primo trionfo Slam, somiglia molto a quello fra Sasha Bajin e Naomi Osaka del 2019, dopo che il tecnico aveva portato la giocatrice a vincere i primi 2 Slam e a salire al numero 1 del mondo.
E quindi lascia pensare a un qualche dissidio all'interno del team, nei rapporti coi genitori della ragazza o con lo stesso Gilbert, oppure a qualche richiesta economica diversa. Di certo, Coco c’è rimasta male, ha dichiarato che la decisione non è stata sua, che lei avrebbe voluto Pere anche in Messico, mentre lui ha motivato la decisione con motivi personali e la necessità di dover viaggiare molto meno in futuro, augurando all’allieva ogni fortuna e dicendosi sicuro che nel 2024 diventerà numero 1 del mondo.
Intanto però il fallimento di Cancun aggiunge una rughetta sul visino della ragazza d’oro come anche del tennis donne tutto: nessun’altra regina delle WTA Finals sarà come sarebbe stata ideale in questo delicatissimo momento di dubbi e di critiche come Coco Gauff.