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Padel

Cagliari lancia Alex Ruiz, il padelista diabetico

Alex Ruiz, vincitore del Sardegna Open di Cagliari in coppia con Franco Stupaczuk, è diabetico dall’età di 10 anni. Un problema che lo obbliga a mantenere una disciplina enorme, ma non gli ha impedito di diventare un atleta di altissimo livello. Grazie a un sensore sul braccio destro controlla la glicemia durante gli incontri, e oggi promuove lo sport fra i bambini diabetici

di | 15 settembre 2021

Chi l’ha detto che diabete e sport professionistici non possono convivere? Certo, serve grande disciplina e un’attenzione extra, ma si può fare. L’ultimo esempio arriva dal 27enne spagnolo Alex Ruiz, che al Sardegna Open è finalmente riuscito a vincere il suo primo titolo nel World Padel Tour, in coppia con Franco Stupaczuk. I due avevano iniziato la stagione alla grande con due finali, poi non erano più riusciti ad andare oltre i quarti e a Cagliari si erano presentati senza grandi aspettative, visto che i giorni precedenti “Stupa” li aveva passati sul divano di casa con la febbre alta, a causa della positività al Covid.

Invece, proprio in Italia hanno costruito la loro settimana perfetta, vincendo tre grandi battaglie una via l’altra prima di spuntarla in finale contro Paquito Navarro e Martin Di Nenno. Un successo che ha confermato le grandi potenzialità – mai del tutto sfruttate – del mancino di Malaga, già capace quest’anno di vincere il titolo Europeo a Marbella, proprio in coppia con Navarro. Ma soprattutto ha acceso di nuovo i riflettori sulla sua storia da padelista diabetico, diventata fonte d’ispirazione per tanti ragazzini che convivono con la stessa malattia.

“Ogni atleta professionista – ha spiegato – deve conoscere il proprio corpo alla perfezione per portarlo al limite. Semplicemente, io devo cercare di starci ancora più attento rispetto agli altri”. Col tempo Alex ha imparato a farlo sempre meglio, visto che convive col diabete dall’età di 10 anni e il costante sviluppo delle tecnologie gli ha reso sempre più semplice tenere la situazione sotto controllo.

Oggi Ruiz riesce a monitorare costantemente la sua glicemia (la concentrazione di glucosio nel sangue) grazie a un sensore sottocutaneo impiantato nel braccio destro, che ogni cinque minuti trasmette – via bluetooth – il valore di glicemia a una normalissima app per smartphone. “Da quando uso questo sistema – racconta – è tutto più semplice, specialmente durante gli incontri, quando i valori cambiano di continuo. Con i dispositivi di una volta un monitoraggio costante sarebbe stato praticamente impossibile”.

Adesso, invece, gli basta dare una sbirciata al cellulare durante i cambi di campo (sarebbe proibito da regolamento, ma gli viene permesso dalla relativa prescrizione medica), per vedere se è tutto sotto controllo, e intervenire – assumendo zuccheri – nel caso in cui la glicemia si abbassi sotto la soglia di guardia. “Per questo – dice – porto sempre in campo con me vari integratori, glucosio liquido a rapido e lento assorbimento, banane, barrette di carboidrati, qualche bustina di zucchero e anche una Coca-Cola, che può essere utile nel caso in cui i livelli di glicemia diventino particolarmente bassi”.

Come accennato, il diabete lo obbliga a tenere una disciplina ancora più rigorosa rispetto a quella già necessaria per competere a livello professionistico. Deve controllarsi il più possibile, e seguire una routine precisa anche dal punto di vista dell’alimentazione, in modo che il suo corpo si abitui a certe dinamiche.

Non sempre va tutto bene, e gli è capitato di scendere in campo a poche ora da una ipoglicemia, ma ha imparato ad accettarlo. “Quando succede – dice ancora – so che non riuscirò ad avere tutte le energie che ho di solito, ma non possa fare altro che adeguarmi. Per questo, evitare che capiti è doppiamente importante. Per un atleta diabetico è fondamentale tenere una buona alimentazione, anche fuori dalle competizioni, conoscere alla perfezione il comportamento del proprio corpo e cercare di ricordare i vari sbalzi glicemici, così da sapere quali cibi o comportamenti è meglio evitare”.

Per esempio, Ruiz ha capito da anni che quando la tensione prima di una partita è parecchia, la sua glicemia può aumentare molto. “Per questo, nelle tre ore che precedono una partita cerco di monitorare ripetutamente la situazione. In questo il sensore mi ha aiutato tantissimo, e oggi so che per competere al massimo delle mie possibilità fisiche devo cercare di mantenere il valore di la glicemia fra 160 e 190”.

Come non lo è oggi, il diabete non è stato un limite per la sua crescita sportiva nemmeno da ragazzino. A 12 anni Ruiz è diventato per la prima volta campione di Spagna, e poi ha vinto più volte il titolo mondiale giovanile, sia con la nazionale sia in coppia, nelle categorie under 16 e under 18. Tuttavia, fino a un paio d’anni fa non aveva mai parlato apertamente della sua condizione, prima che – spinto dalle persone che lo circondano – decidesse di farsi promotore di una campagna di comunicazione denominata Soy Diabetico, per sensibilizzare la pratica dello sport fra i ragazzini.

“L’ho fatto per aiutare quelle famiglie che si trovano a fare i conti con una condizione diventata sempre più comune nei bambini, e per mostrare che, con la giusta attenzione, diabete e sport di alto livello possono convivere. Praticare sport da diabetici richiede qualche accortezza in più, ma si può fare. I ragazzini e i loro genitori non devono avere paura di nulla, ma solo godersi lo sport e studiare il diabete, così da capirne di più e saperlo gestire meglio nella quotidianità”.

Dopo aver raccontato la sua esperienza, Ruiz è diventato testimonial di un paio di società collegate al mondo del diabete, e oggi i medici della società spagnola di diabetologia utilizzano la sua storia come esempio, per incentivare lo sport nei ragazzini. “Per me – ha continuato – è un orgoglio sapere che il mio caso può essere da stimolo per tante famiglie. Quando a 10 anni mi venne diagnosticato il diabete, i medici mi dissero che lo sport sarebbe sempre stato un problema, a maggior ragione quello d’èlite. Ma il padel (scoperto tre anni prima, ndr) mi piaceva troppo, così ho deciso di non pormi alcun limite”.

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