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Djokovic studia il sassofono per suonarle a Zverev

Il n. 1 che dopo Ruud ha dominato anche Rublev è in grande forma psicofisica e svela la sua nuova passione musicale. Con questo spirito mette ancora più paura

di | 18 novembre 2021

Novak Djokovic e la sua passione per il sassofono

Un uomo solo al comando. Un uomo estremamente pericoloso, sempre, ancor di più quando è sereno e rilassato, quando avverte amore e passione attorno a sé, quando è in Italia, la sua seconda patria. Non a caso, negli ultimi 14 anni agli Internazionali BNL d’Italia di Roma, ha marcato il campo con 5 titoli in 11 finali, sposandosi al pubblico un po’ per la lingua che parla perfettamente, un po’ per la libertà di potersi esprimere liberamente, sentendosi apprezzato. Così Novak Djokovic si presenta in una impressionante forma psico-fisica alle prime Nitto ATP Finals italiane al Pala Alpitour di Torino, apparentemente dimentico della batosta della finale degli Us Open contro Daniil Medvedev, quando ha collassato a un passo dal Grande Slam, salutando clamorosamente l’aggancio a Rod Laver - che vinse i quattro maggiori tornei nello stesso anno nel 1962 e nel 1969 - senza riuscire ad ufficializzare il sorpasso virtuale negli Slam e come GOAT del tennis su Federer e Nadal.

Già vendicandosi nella finale di Parigi-Bercy della piovra russa - anzi dell’Orso, come preferisce farsi chiamare lui, rifacendosi alla genesi del suo nome -, Nole I di Serbia aveva fugato i dubbi sulla sua capacità di reazione davanti a un simile delusione. Soprattutto per il modo in cui c’era riuscito, per la intelligenze con la quale aveva ribaltato tatticamente il piano di gioco che sembrava fissato a fondocampo, imitando Mats Wilander contro Ivan Lendl agli US Open, gettandosi così a rete dopo anni di ostinato e granitico difensivismo. 

Ebbene, a Torino, è stato finora ancora più perentorio nella superiorità contro gli altri “maestri”, anche se, con tutto il rispetto, Kasper Ruud e Andrey Rublev sono giocatori costruiti, di livello e non solo di classifica inferiore rispetto a Medvedev. Quello che impressiona, un po’ come ha impressionato a New York, è la netta superiorità di Novak pur contro i primi 8 del mondo, i migliori della stagione, atleti temibili, intelligenti e potenti, che hanno vinto tornei e si sono guadagnati il diritto di sfilare sulla passerella di Torino. 

Novak si distrae, parte lentamente, regala, sembra fuori assetto, smoccola, borbotta, sembra imballato, ma in realtà possiede questa straordinaria capacità di testare più soluzioni, mentre perde anche punti e subisce l’iniziativa da parte dell’avversario.

Così che, all’improvviso, trasforma il gracchiare del suo fantastico motore in un suono delizioso e perfetto, e rovescia completamente la situazione con folate inarrestabili di più games. E, miracolosamente, cambia totalmente faccia al match, deludendo le aspirazione del nemico, frustrandolo in maniera definitiva e andando subito dopo all’incasso di errori gratuiti che sembravano impensabili appena pochi minuti prima. 

Novak Djokovic al Pala Alpitour per le Nitto ATP Finals (Foto G.Sposito)

La sua non è una melodia alla Roger Federer perché quella è di più, molto di più, troppo, inarrivabile nella sua perfezione stilistica  e gestuale, da Beethoven del tennis. Ma è una melodia che raggiunge livelli altissimi e travolge anche il Magnifico, come si è visto ampiamente anche nel Tempio, a Wimbledon, dove Djokovic si è guadagnato il definitivo riconoscimento di più forte proprio battendo King Roger sul suo terreno preferito. Questa musica trionfale è cadenzata dai numeri fantastici della aarriera del campione di gomma, coi 50 successi stagionali (6 sconfitte), col settimo anno chiuso da numero 1 del mondo - più anche del suo idolo Pete Sampras - alla rincorsa della decima semifinale alle Finals coll’obiettivo del sesto titolo per agganciare il record di Federer.

Che tipo di musica suona Nole I di Serbia? Dopo aver giocato come il gatto col topo contro il povero toro infuriato Rublev, Djokovic ha rivelato che vuole imparare a suonare il sassofono: “E’ una delle cose più difficili da imparare, me lo sono portato dietro, ancora non l’ho aperto, è ancora chiuso in una borsa in hotel, per le costrizioni Covid, e voglio evitare a mia moglie, al mio team e agli altri ospiti dell’albergo il rumore che verrà fuori dal sassofono di un principiante. Prima devo imparare”.  

Perché proprio il sassofono? “Amo tutti gli strumenti musicali, il sassofono in qualche modo mi attrae perché uno strumento universale che può legarsi qualsiasi tipo di musica, in diverse situazioni e in diversi ambienti, e mi piace molto. Eppoi mi stimola che sia molto impegnativo imparare a suonarlo, probabilmente è più difficile di molti altri strumenti. Magari un giorno riuscirò a suonarlo bene così da potermi esibire insieme a questo grande DJ che c'è qui a Torino, quindi forse tra qualche anno in più. Chi lo sa?”.

Un recupero di rovrescio di Novak Djokovic (foto Getty Images)

A 34 anni, “con un paio d’anni ancora di tennis davanti”, e chissà quanti altri record da superare per scrivere a caratteri cubitali la storia dello sport, Djokovic svela per l’ennesima volta la forza della sua curiosità e della sua vitalità, la voglia di conoscere e di imparare, il desiderio di misurare con la vita e con se stesso.

E tutto queste fa ancora più paura ai suoi avversari. Perché moltiplica la forza di servizio, risposta, dritto, rovescio, volée, palle corte e lob, che già sono fortissimi. Altro che: “Suonino le trombe, rullino i tamburi”, qui siamo al “Silenzio, suona Novak”.

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