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Eventi internazionali

Next Gen Medvedev: una scommessa mondiale vinta da ATP e FIT

Il successo del campione russo agli Us Open consacra definitivamente la generazione di giovani talenti coltivata dall'ATP e portata all'attenzione del mondo con le Intesa SanPaolo Next Gen ATP Finals, nate nel 2017 a Milano con la collaborazione e il sostegno della nostra Federazione. Oggi la Top 10 è tutta... Next Gen

di | 14 settembre 2021

Daniil Medvedev fu semifinalista nella prima edizione delle Intesa SanPaolo Next Gen ATP Finals del 2017

Daniil Medvedev fu semifinalista nella prima edizione delle Intesa SanPaolo Next Gen ATP Finals del 2017

C’è chi non ci credeva e chi ha continuato a fare anche dell’ironia: fino a domenica scorsa. E’ proprio di Novak Djokovic dopo la finale persa con Rafael Nadal agli Internazionali BNL d’Italia dello scorso maggio la frase “La Next Gen siamo noi: io, Rafa e Roger. La stiamo reinventando”.

Ironia della sorte è stato proprio un protagonista della prima edizione delle Intesa Sanpaolo Next Gen ATP Finals, quel Daniil Medvedev che fu semifinalista nell’ avveniristico “site” della Fiera di Rho-Pero alle porte di Milano nel 2017, a frantumare il suo grande sogno. Un tennista cresciuto per succedergli.

Sì, perché il concetto di Next Gen, l’idea di accendere i riflettori sui migliori talenti delle giovani generazioni, nasce nel gruppo di lavoro dell’allora presidente ATP Chris Kermode proprio dalla preoccupazione di riempire riempire quello che si pensava come un grande “vuoto”, il panorama tennistico “post Fab Four”, il dopo-Federer-Nadal-Djokovic e Murray.

L’iniziativa ha preso avvio tra il 2015 e 2016 sul piano della comunicazione, dando risalto ai giovani talenti che cominciavano a fare risultati nel circuito. La chiave di volta però è stato il progetto di un grande evento di fine anno, sulla falsariga delle ATP Finals, con una classifica Race che avrebbe qualificato per la manifestazione i primi 8 under 21 dell’ATP Tour. Una bella idea, ad alto rischio sul piano imprenditoriale, che aveva bisogno di un partner capace di capirla, condividerla, supportarla e realizzarla all’atto pratico. Qualcuno che guardava lontano, coltivava prospettive e ambizioni.

Il fatto che sia trattato della Federazione Italiana Tennis non è stato un caso: la forza propulsiva che ha portato ai risultati di oggi del tennis azzurro maschile (e a quelli che arriveranno anche nei prossimi anni) è frutto di un lavoro partito da lontano, alimentato dall’esperienza di grande successo con il tennis femminile, la grande onda rosa di Francesca Schiavone, Flavia Pennetta, Roberta Vinci, Sara Errani, Tathiana Garbin, Mara Santangelo, Karin Knapp ecc.ecc. Un decennio di risultati strepitosi, cominciato con la conquista della prima Fed Cup nel 2006 e culminato con la finale tutta tricolore degli Us Open 2015 tra Pennetta e Vinci.

Sotto la guida del presidente Binaghi la FIT si era resa conto, in quel periodo felice, che, oltre alle giuste linee sul piano tecnico, per creare un circolo virtuoso ad alto livello servivano precise scelte sul piano organizzativo, strutturale e promozionale. Il canale televisivo SuperTennis aveva avuto un ruolo chiave nel dare visibilità alle imprese delle ragazze in azzurro. E il supporto al territorio nell’organizzazione del maggior numero possibile di tornei ITF e ATP Challenger nel nostro Paese aveva garantito la più ampia e sostenibile base di partenza ai giovani che sognavano in grande.

La FIT comprese subito che alla Next Gen, individuata dall’ATP, serviva una casa, il momento concreto, l’accendersi dei grandi riflettori alla fine della corsa annuale che, fino all’ingresso nei primi otto in uno stadio dedicato, rimaneva interessante ma virtuale.

Nacque così una partnership che all’inizio sapeva tanto di avventura, anche perché oltre ai migliori talenti emergenti l’idea era di mettere in mostra quelle che potevano essere le nuove regole del gioco. Una nuova dimensione: shot-clock per controllare i secondi che passano prima della battuta, arbitraggio automatico senza giudici di linea, partite al meglio dei 5 set ma ai 4 game, dj nelle pause e cuffie ai giocatori per comunicare con i coach al cambio di campo. Cose folli.

Forse non è casuale che per quella prima edizione del 2017, nella quale Medvedev superò il girone di qualificazione ma poi fu sconfitto in semifinale dal coreano Hyeon Chung, ebbe come teatro uno stadio che non esisteva. Un impianto costruito in 11 giorni lavorativi dentro l’enorme padiglione 1 della fiera di Rho-Pero, alle porte di Milano. Una scenografia mai vista ad evocare il Teatro alla Scala. Un investimento fortissimo, una scommessa di dimensioni mondiali. Qualcosa di davvero mai visto.

Milano 2019 - Da sinistra: Rublev, Shapovalov, Chung, Quinzi, Medvedev, Donaldson, Coric e Khachanov

Adesso però bisogna leggere i nomi di chi si è esibito in quelle due settimane milanesi del novembre 2017, comprendendo anche le qualificazioni previste allo Sporting Milano 3 di Basiglio per designare la wild card italiana, visto che tra i primissimi della prima Race to Milan non c’erano azzurri e gli organizzatori avevano diritto a invitare un atleta di casa. E tenendo conto anche del match di esibizione che fece da prologo alla prima giornata per offrire al pubblico milanese anche lo spettacolo del primo Next Gen della classe, il tedesco Alexander Zverev che non avrebbe partecipato alla competizione in quanto già qualificato per le Nitto ATP Finals di Londra (che sarebbero andate in scena la settimana successiva).

Dunque c’erano: Matteo Berrettini (battuto nelle qualificazioni da Filippo Baldi. A qualificarsi fu allora Gianluigi Quinzi), Alexander Zverev e Stefanos Tsitsipas (primo dei non ammessi e designato come avversario di Zverev per l’esibizione), Daniil Medvedev, Andrey Rublev, Denis Shapovalov, Karen Khachanov. E Hyeon Chung, Borna Coric e Jared Donaldson.

Stiamo evidentemente parlando dell’attuale elite del tennis mondiale, praticamente la Top 10 in blocco con l’aggiunta di Djokovic, Nadal, Thiem e Federer.

Milano, 2019. Da sinistra, il presidente FIT Angelo Binaghi, Alex De MInaur, Jannik Sinner e l'allora presidente ATP Chris Kermode

Una competizione profetica? No, semplicemente un’idea giusta, realizzata e portata avanti alla perfezione. Non è un caso se poi Stefanos Tsitsipas è tornato a giocarla nel 2018 da protagonista assoluto (e vincente) in un gruppo che avrebbe messo in luce le doti dell’australiano Alex De Minaur e del polacco Hubert Hurkacz.

Non è un caso se a brillare nel 2019 è stata un’altra giovane star, poi subito concretamente protagonista a livelli assoluti: il più giovane vincitore Next Gen, il nostro Jannik Sinner. E che nel gruppo, oltre al ritorno di De Minaur, ci fosse anche il norvegese Casper Ruud, oggi n.10 del mondo.

Non c’è un top player di oggi che non sia passato dalle Intesa Sanpaolo Next Gen ATP Finals di Milano. E quelli che ci sono arrivati ma oggi non brillano è perché, pur avendo le qualità, sono stati condizionati dagli infortuni (Jared Donaldson, Hyeon Chung…).

Aver contribuito a costruire la “culla” Next Gen è un fatto di cui l’Italia può andare orgogliosa: in fondo non sta solo strappando applausi con i suoi talenti tennistici in giro per il mondo ma ha dato un importante contributo a lanciare i migliori “stranieri”.

E se Medvedev ha trionfato a New York in un torneo in cui l’orologio a bordo campo scandiva i secondi tra un punto e l’altro e l’arbitraggio era automatico, senza giudici di linea, sicuramente ricorderà per sempre la prima volta in cui aveva disputato una partita con queste caratteristiche regolamentari.

Milano, Italia: è qui la casa del tennis del futuro, costruita da ATP e FIT, e inaugurata nel 2017, le Intesa Sanpaolo Next Gen ATP Finals. Con l’impresa di Daniil Medvedev New York, il futuro visto allora si è fatto presente. Ora ci attende quello prossimo venturo: sempre a Milano, dal 9 al 13 novembre.

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