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Il serbo cede il primo set con il giapponese Nishikori, che lo costringe a lottare e ad alzare il livello e dunque a trovare man mano la condizione che gli serve per provare a completare quel Grande Slam che insegue con tutte le forze
di Enzo Anderloni | 04 settembre 2021
Era partita male la serata di Novak Djokovic: un primo set perso al tie-break e la sensazione che Kei Nishikori lo stesse mettendo in grande difficoltà. L’immagine mistica di quel Grande Slam che sta cercando di mettere in bacheca vibrava e scoloriva nell’aere.
Invece si trattava del solito “drama” a lieto fine che nella lunga storia di faccia a faccia tra i due si è ripetuto più di una volta: partita tirata, Djokovic apparentemente con le spalle al muro e poi… E poi il bilancio degli scontri diretti tra questi due grandi protagonisti dell’ultimo quindicennio tennistico è di 17 vittore del serbo contro solo 2 del giapponese, l’ultima delle quali risalente alla semifinale degli Us Open 2014, quella strana edizione che vide Nishikori cedere in finale a Marin Cilic, che aveva superato Roger Federer in ‘semi’.
Da allora, e sono passati 7 anni, solo vittore di Nole, per 16 volte. Un dato che serve a spiegare il motivo per cui anche la serata di passione a questi Us Open 2021 alla fine va in archivio come un grande allenamento agonistico che, proprio grazie alla sofferenza che Djokovic ha dovuto infliggersi per aggiungere una diciassettesima vittoria consecutiva al suo “carnet Nishikori”, gli sarà utilissima sulla strada verso il suo sogno del mistico poker, sorta di Sacro Graal del tennis.
Il giapponese infatti è sempre mancato un po’ di killer instinct, anche negli anni in cui era uno dei pochi in grado di giocare alla pari con Fab Four. Né si può immaginare che se lo inventasse oggi, a 31 anni (e con un sacco di guai fisici lungo il percorso). E’ sempre però in grado di giocare un tennis di alto livello grazie alla dedizione e al supporto della strana coppia tecnica formata da Michael Chang e Max Mirnyi, un contrattaccante cinoamericano e un bomber bielorusso.
Così ogni set, ogni game, ogni punto è stato combattuto ma alla fine il n.1 del mondo ha chiuso 6-7 6-3 6-3 6-2, in 3 ore e mezza esatte. Dunque non ha rischiato davvero ma ha dovuto tirare fuori il meglio, far uscire il lupo che c’è dentro di lui (perlomeno così suggerisce la grafica sulla t-shirt indossata da sua moglie Jelena, che recita I run with my wolf, con il volto di Nole nella sagoma nera di un lupo) quello che serve per arrivare alle fasi calde del torneo al massimo del rendimento.
Un problema col quale dovrà confrontarsi il vincente del confronto tra il 20enne talento emergente americano Jenson Brooksby e la grande rivelazione del 2021, il russo Aslan Karatsev, semifinalista agli Open d’Australia partedo dalle qualificazioni e oggi n.25 del mondo.
“Ho sempre saputo che Kei era un giocatore di grande qualità ma il livello che ha saputo esprime stasera mi ha davvero sorpreso e preso alla sprovvista. - ha dichiarato a caldo il n.1 del mondo - Nel secondo e nel terzo set mi sono sentito veramente a un passo da andare sotto e si è deciso tutto in pochi punti. Penso di non essere partito molto bene, ero troppo passivo. Lui comandava il gioco. Ho cercato di trovare il tempo sulla palla, di prendere il ritmo giusto. Kei era più veloce e più aggressivo degli avversari dei miei primi turni e ho dovuto trovare velocemente degli aggiustamenti. Già all’inizio del secondo set le cose sono andate meglio e sono contento di come sono riuscito a trovare tutta la concentrazione necessaria a crescere di livello. Non ho giocato al massimo ma sono sulla buona strada".
"E in quanto a mia moglie Jelena e alla sua t-shirt - ha spiegato al micrifono di Darren Cahill - so che non è facile correre con il lupo, sempre al limite. E che non sempre le piace. Io la amo. Mi aiuta tantissimo”.
Djokovic sfiderà Jenson Brooksby, uno dei candidati a un ruolo da protagonosta alle Intesa Sanpaolo Next Gen ATP Finals di Milano, al suo primo match in carriera contro un Top 10. Il ventenne USA, in tabellone grazie a una wild card, ha sconfitto 6-2 3-6 2-6 6-3 6-3 Aslan Karatsev riscattando la sconfitta di Parigi al Roland Garros. "E' stata una battaglia incredibile, anche se avrei potuto far meglio un paio di cose - ha detto dopo la partita -, soprattutto ho perso troppe energie mentali nel secondo e nel terzo set. Rientrare poi non è stato affatto facile".
A New York, evidentemente si esalta. Due anni fa, infatti, dopo essersi qualificato aveva iniziato il suo US Open con un successo sull'ex Top 10 Tomas Berdych in quello che sarebbe rimasto l'ultimo match in carriera del ceco. Quest'anno, si gode un piccolo record: è il più giovane statunitense negli ottavi dello Slam di casa dai tempi di Andy Roddick nel 2002.
Negli ottavi si unisce a Frances Tiafoe, che pare aver trovato con il coach Wayne Ferreira il modo di camminare sul filo tra giocare con il massimo della serietà e non prendersi sul serio, e Reilly Opelka. Non si vedevano tre giocatori USA nella seconda settimana a Flushing Meadows nel 2011.
Opelka ha costruito il successo 7-6(5) 6-3 6-4 sul georgiano Nikoloz Basilashvili non solo sugli ace, ma anche su cinque break: ulteriore dimostrazione che non si può ritrarre e ridurre solo a giocatore di servizio.
Per un posto nei quarti incontrerà Lloyd Harris che ha esteso l'estate dello scontento di Denis Shapovalov. Il sudafricano si è imposto con un triplo 6-4 raggiungendo così la seconda settimana di uno Slam per la prima volta in carriera.