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Nel 1947 a Parigi gli italiani negli ottavi di finale furono addirittura quattro: Cucelli, Belardinelli, Sada e Quintavalle. Il primo raggiunse i quarti, l’ultimo ci era arrivato per coincidenze fortunate ma divenne un capitano d’industria
di Enzo Anderloni | 06 giugno 2021
Tre italiani negli ottavi di finale, cioè tra gli ultimi 16 giocatori rimasti in gara, al Roland Garros mancavano all’Italia dal 1962. Fu l’anno in cui Nicola Pietrangeli raggiunse i quarti (dopo essere stato campione nel 1959 e 60, e finalista nel 1961) ed ebbe come compagni negli ottavi Beppe Merlo (semifinalista nel 1955 e 1956) e Sergio Jacobini (meno titolato degli altri due azzurri ma capace di strappare un set a Rod laver, che poi avrebbe vinto il torneo e completato il suo primo Grande Slam).
Dunque la bella impresa di Matteo Berrettini, Jannik Sinner e Lorenzo Musetti, entusiasmante anche per le prospettive che apre e per aver colmato un vuoto di quasi 50 anni, non è da considerare un primato. E non si può che essere d’accordo con lo stesso Pietrangeli, che compirà 88 anni il prossimo 11 settembre, quando continua a insistere che parlare di record limitati all’Era Open non ha senso.
Anche perché non potremmo parlare del doppio Grand Slam di Rod Laver (il primo fu appunto del 1962) e ci dimenticheremmo di oltre metà della storia del nostro sport, come se tutto ciò che è documentato in bianco e nero non fosse mai esistito.
Invece il fascino dei brillanti colori digitali di oggi poggia su quelle imprese, come la magia di Roger Federer poggia sulle spalle dello stesso Laver (al quale non a caso lo svizzero ha intitolato la sua competizione Europa contro Resto del Mondo) sul modello della Ryder Cup golfistica).
Tutto questo per dire, che se andiamo a scartabellare con attenzione, scopriamo che il record appartiene ad altri. Scopriamo che gli italiani negli ottavi di finale al Roland Garros sono stati anche quattro: è successo nel 1947 (dunque Lorenzo Sonego, per fare il nome di un altro giovane in grande crescita, veda di farsi trovare pronto nel 2022, per tentare di eguagliare o migliorare il primato di questi signori del Dopoguerra…).
Era un altro tennis, certo, ed altri tempi. Andare a risfogliare le cronache di allora aiuta a percepire l’enorme distanza tra le due epoche, qualcosa che valorizza ancor di più l’impresa odierna, perché fa capire quanto possa essere difficile creare le condizioni per avere un gruppo di giocatori competitivi a questi livelli.
Allora la molla fu probabilmente la fame di tennis, di partite, la voglia di tornare a misurarsi con gli altri dopo gli anni di digiuno, dovuti alla guerra e alla successiva difficoltà a ricucire i rapporti con le altre nazioni dopo le atrocità compiute dal Nazismo e dal Fascismo.
Il 1947 fu per l’Italia l’anno della riapertura. A Roland Garros e a Wimbledon si era giocato già nel 1946 (e si erano imposti due francesi, Marcel Bernard a Parigi e il “gigante” Yvon Petra a Londra) ma gli Italiani non erano ammessi, come non era ancora stata riaccettata la nostra squadra in Coppa Davis.
Quando il Roland Garros ci aprì i cancelli, gli azzurri erano pronti: nel tabellone principale entrarono in 7 e per la qualità riconosciuta del loro livello di gioco (anche se mancavano confronti recenti) in tre ebbero assegnata una testa di serie.
Gianni Cucelli era addirittura la n.6, Marcello Del Bello la n.9 e Mario Belardinelli la n.13. Gli altri rispondevano ai nomi di Rolando Del Bello (fratello di Marcello), Carlo Sada, Renato Bossi e Ferruccio Quintavalle.
Cucelli (di origini istriane, alla nascita Giovanni Kucel), nonostante uno stile molto personale, era ritenuto uno dei più forti giocatori del mondo, ottimo singolarista ma anche validissimo in doppio grazie alle notevoli doti sotto rete. Onorò la sua testa di serie raggiungendo i quarti ( si sarebbe ripetuto nel ’48 e ’49), dove a fermarlo fu in campione in carica, Marcel Bernard, ma solo dopo una lotta al quinto set (6-4 6-2 0-6 3-6 6-4 il punteggio).
Fino agli ottavi di finale avanzò con lui un ottimo Mario Belardinelli (che poi come tecnico sarebbe stato il padre della generazione dei Moschettieri d’Italia, conquistatori della Coppa Nel 1976). Per fermarlo ci volle l’ungherese Jozsef Asboth, futuro vincitore del torneo.
E ancora Carlo Sada, capace di battere al primo turno il promettente francese Remy e stoppato negli ottavi dal favoritissimo Yvon Petra.
Quarto azzurro negli ottavi fu il milanese Ferruccio Illo Quintavalle, quattro volte campione italiano di doppio negli anni 30 (insieme a Valentino Taroni) e protagonista in Coppa Davis, da giocatore e poi da capitano. Nell’occasione “Illo” fu fortunato: ebbe accesso ai primi 16 senza giocare, per una serie irripetibile di rinunce e infortuni degli avversari. Poi fu battuto dal forte sudafricano Sturgess. Di lui va ricordato che, continuando a giocare a tennis come hobby, divenne direttore generale della Bianchi, la mitica azienda italiana di biciclette e poi l’ideatore del marchio automobilistico Autobianchi, azienda che fece nascere e sviluppò insieme a Pirelli e Fiat negli Anni Cinquanta. Ma questa è un’altra storia…