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Cincinnati nella bolla di NY: le prove generali

Il Masters 1000 americano, al via sabato, è stato spostato per l'occasione sui campi di New York, gli stessi che tra marzo e aprile ospitavano un ospedale da campo per i malati di Covid-19. Si tratta del ritorno del circuito Atp dopo oltre cinque mesi di stop, e si tratta soprattutto di una prova generale in vista degli Us Open al via il 31 agosto. Anche se, in questo caso, i campi principali riservati allo Slam non saranno utilizzati

di | 21 agosto 2020

Una panoramica dei campi di New York

Una panoramica dei campi di New York

Si narra che Lucio Quinzio Cincinnato - console romano nel 460 a.c. - accogliesse a malincuore gli onori e gli oneri del dittatore, preferendo invece tornare a coltivare il proprio campo una volta terminato il suo compito in battaglia. Per questo, oggi, nella lingua italiana il 'cincinnato' è 'colui che dopo aver prestato la sua opera non si insuperbisce, ma si ritira a vita semplice e modesta' (definizione Treccani).

Dallo stesso console romano deriva il nome della città di Cincinnati, Ohio, Stati Uniti. La città che dal 1899 ospita un torneo capace con il passare degli anni di costruirsi una solida tradizione, al punto da entrare in pianta stabile tra gli eventi più importanti al mondo dopo gli Slam. Durante la sua storia, il torneo americano si è arenato poche volte, a causa della Prima Guerra Mondiale e della Grande depressione. Per il resto, ha sempre resistito e resisterà anche quest'anno, malgrado la pandemia che ancora flagella buona parte degli Stati Uniti.

La Usta, che dal 2008 è proprietaria dell'evento, ha deciso di spostarlo a New York ufficialmente per creare quella ormai famosa bolla che dovrebbe proteggere i tennisti in queste tre settimane surreali. In fondo, pure per fare una sorta di test in vista del Major a stelle e strisce. Riportando dunque quel nome, Cincinnati, alle sue origini: quelle di qualcuno che serve la patria e poi si mette in disparte, dietro le quinte.

Roger Federer rientrerà solo nel 2021

La striscia di Roger

Cincinnati dunque si fa. Si sta facendo. Ma è come se si facesse per davvero in una bolla, non solo quella anti-Covid, ma pure un po' spazio-temporale. Tanto più che si gioca anche senza colui che ha messo il suo timbro per sette volte su otto finali. L'ultima – unica a finire dalla parte sbagliata – quella del 2018.

Roger Federer la perse contro Novak Djokovic, vedendo dunque spezzato quell'incantesimo che in precedenza lo aveva portato a non sbagliare un colpo sul cemento dell'Ohio: dal 2005 al 2015, soltanto Roddick, Murray (due volte) e Nadal, hanno saputo prendere il suo posto nell'albo d'oro, ma quando è approdato all'ultimo atto, il Re per sette volte consecutive non ha mai fallito.

GUARDA LE IMMAGINI DI ROGER FEDERER A CINCINNATI

Oggi il 39enne di Basilea se ne sta a casa a curare il ginocchio ancora non al meglio dopo due operazioni. Lo rivedremo nel 2021, non prima.

Dunque lo scettro di questo anomalo Cincinnati newyorchese, come peraltro era già accaduto nelle ultime stagioni, sarà un affare degli altri. Non di Rafael Nadal, pure lui assente, bensì di Novak Djokovic, Daniil Medvedev (detentore del titolo), Dominic Thiem, Stefanos Tsitsipas, Alexander Zverev o – perché no – di Matteo Berrettini.

Novak Djokovic, numero 1 del mondo

Le sfide dei big

Difficile fare previsioni, perché questo torneo sarà un test per chiunque. Non solo per gli organizzatori, che dovranno capire come funziona il tennis post-covid, ma pure per i giocatori. Qualcuno di loro ha preso parte a esibizioni più o meno serie, più o meno 'challenging', come piace dire agli americani. Ma nessuno può dire di conoscere con certezza la propria reale condizione, messa a confronto con quella dei colleghi più forti del mondo.

C'è di più: oltre alla condizione di ognuno, bisognerà valutare il loro stato mentale, perché quasi sei mesi di lockdown del Tour avranno avuto ripercussioni parecchio diverse a seconda del carattere, dello stile di vita e dell'approccio al problema in senso generale. Infine, giocare in stadi vuoti, senza pubblico e con l'eco della pallina che rimbomba nella testa, sarà una sensazione nuova (allenamenti a parte, ma quello è un altro discorso) per chiunque: capire quanto ognuno dei top players dipende dall'energia della gente sugli spalti per mettere a punto il proprio gioco sarà un altro esercizio interessante in questi tempi così particolari.

La logica vedrebbe Novak Djokovic, per esempio, come potenziale indiziato per uno destinato a soffrire l'assenza di pubblico, ma la voglia di rivincita del serbo – in particolare dopo le tante polemiche nate dal 'suo' Adria Tour potrebbe comunque fare la differenza.

Kei Nishikori

Le misure anti-Covid

La cosa certa è che i campi principali riservati agli Us Open non saranno utilizzati. Dunque niente Arthur Ashe Stadium, niente Louis Armstrong. Il nuovo Centrale – stando a quanto riferisce il New York Post – sarebbe dunque il Grandstand, con il campo 17 come arena secondaria.

La fase di test per rilevare i contagiati – subito superata quota 1.500 effettuati in poche ore – è un aspetto fondamentale. Ovviamente nessuno è e sarà esente dalla fitta maglia dei controlli: staff, organizzazione (una persona positiva, asintomatica, è stata subito sottoposta a quarantena), giocatori (positivo al virus, ma prima della partenza, Kei Nishikori, che si augura comunque di poter rientrare in gioco per gli Us Open) e accompagnatori al seguito (positivo il fisioterapista sudamericano Juan Galvan). Nessuno escluso.

L'Ospedale da campo allestito all'interno del Billie Jean King National Tennis Center

Nel frattempo la Usta ha comunicato l'utilizzo di 40 “social distance ambassadors” in vista del Major della Grande Mela, in sostanza persone destinate a vigilare sul corretto distanziamento sociale tra atleti e tra tutti i componenti dell'organizzazione e dei vari staff presenti. Saranno inoltre distribuite oltre 500 mila mascherine, 'per non lasciare nulla al caso', si legge in una nota diramata alla stampa.

Il Masters 1000 di Cincinnati mai come quest'anno terrà fede al suo nome e alla sua natura: fare in pieno il suo dovere, al servizio di un progetto più grande. Che non è soltanto provare a salvare gli Us Open, ma provare a dare un senso all'intero mondo del tennis durante la pandemia, su quegli stessi campi che tra marzo e aprile ospitavano i letti di un ospedale da campo.

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