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Quell’8 aprile choc: Arthur Ashe contagiato!

Era il 1992 e il grande campione afroamericano, ex n.1, si trovò costretto a rendere pubblico il fatto di essere malato di AIDS, dopo aver contratto il virus da una trasfusione, durante un intervento al cuore. La sua rivelazione e il suo impegno pubblico cambiarono la percezione della malattia

di | 08 aprile 2020

 Arthur Ashe gioca un rovescio in back a Wimbledon nel 1975

Arthur Ashe gioca un rovescio in back a Wimbledon nel 1975

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L'8 aprile 1992, Arthur Ashe si sveglia presto. Ma non ha praticamente dormito. Si veste mentre a Manhattan è buio, esce di casa, compra una copia di USA Today e non legge il titolo che teme di trovare: “Arthur Ashe ha l'AIDS”. Il suo piano di mantenere la notizia privata, anche per proteggere Camera, la bambina che ha adottato con sua moglie Jeanne nel 1986, si è sgretolato il giorno prima.

Doug Smith, un amico che lavora per USA Today, è andato a trovarlo e gli ha chiesto di confermare o smentire la voce della sua sieropositività. Ashe non può smentire, la notizia è vera. Ma non dà una conferma esplicita, nemmeno al capo dello sport a cui chiede un giorno per organizzare una conferenza stampa. Il quotidiano si accontenta di uno scoop minore e annuncia la malattia di Ashe sulle edizioni per l'estero.

La conferenza è fissata per le 15.30 negli studi della HBO, già stracolmi. “Dovrei poter avere il diritto di mantenere private informazioni di questo tipo. Nessuno dovrebbe essere costretto a scelte del genere” dice.

Come ricorda Alessandro Mastroluca nel libro “Il successo è un viaggio” dedicato al campione Usa, n.1 del mondo nel 1968 e vincitore di tre Slam (UsOpen 1968, Australian Open 1970, Wimbledon 1975), Ashe ha ringraziato chi ha partecipato alla “cospirazione del silenzio” come Roy Johnson, giornalista di Sports Illustrated che proprio con Ashe ha commentato la positività di Magic Johnson, il primo atleta di fama mondiale a confessare di essere affetto da HIV.

Arthur Ashe vincitore a Wimbledon nel 1975

Lui e Ashe hanno cambiato la percezione di una malattia che per anni, negli Usa, si è associata ai neri e a categorie di “emarginati: emofiliaci, omosessuali, haitiani, eroinomani. Era nota, per questo come 4H disease (la malattia delle 4 H, le iniziali delle quattro categorie in inglese) quando Ashe ha avuto bisogno di una trasfusione di sangue per un'operazione al cuore, l'applicazione di un bypass. Era il 1983, i controlli preventivi sulle sacche di sangue sarebbero stati introdotti solo nel 1985. Il sangue è infetto, Ashe è contagiato ma lo scopre solo molti anni dopo.

Ashe non ce la fa a finire di leggere la dichiarazione, in conferenza stampa. Lo fa Jeanne, in fondo l'hanno scritta insieme. “Arthur e io dobbiamo insegnare alla nostra bambina come reagire a nuovi, diversi e talvolta crudeli, commenti che hanno poco a che fare con la realtà”.

Arthur Ashe morirà per AIDS il 6 febbraio del 1993. Due mesi prima di morire fondò l’Arthur Ashe Institute for Urban Health, per dare supporto alle persone dotate di un’assicurazione medica insufficiente a tutelare la propria salute. Sport Illustrated lo nominò “Sportivo dell’anno”. Il campo centrale di Flushing Meadows, teatro degli Us Open, porta il suo nome.

I COMPLEANNI

Kim Warwick (68), nato a Sydney nel 1952, è stato un classico interprete del tennis d’attacco, proiettato a rete, della scuola australiana. In singolare vanta un best ranking di n.15 del mondo, 3 titoli del circuito (Bangalore 1976, Adelaide 1979, Johannesburg 1980)) e la finale Slam raggiunta a Melbourne nel 1980, quando fu battuto dallo statunitense Brian Teacher.

E’ stato anche un formidabile doppista. Vanta infatti quattro titoli Slam: 3 agli Australian Open (nel 1978 con il polacco Fibak, nel 1980 e ‘81 con il connazionale Edmonson) e 1 al Roland Garros (nel 1985, sempre con Edmonson). A Parigi si è aggiudicato anche un titolo nel ‘misto’, nel 1972, insieme a Evonne Goolagong.

Warwick in carriera vanta successi su molti dei grandi protagonisti del tennis del suo tempo: Guillermo Vilas, Vitas Gerulaitis, Jan Kodes, Arthur Ashe, per citarne alcuni. Il suo nome è legato però anche al record di match point non sfruttati, ben 11, al primo turno degli Internazionali d’Italia del 1976 contro l’azzurro Adriano Panatta, che avrebbe poi vinto il torneo. Warwick, era allora n. 66 del mondo.

Da sinistra, Kim Warwick, Pat Cash, John McEnroe, Mark Woodforde oggi

David Marrero (40), spagnolo, nato a Las Palmas nel 1980, è stato uno dei migliori doppisti della sua generazione. N. 5 della classifica Atp nel luglio 2012, ha conquistato ben 14 titoli nel circuito tra cui gli Internazionali BNL d’Italia nel 2015 (insieme all’uruguaiano Pablo Cuevas) e le Atp Finals di Londra nel 2013 (lui e il connazionale Fernando Verdasco si imposero sui fratelli Bob e Mike Bryan). Ha raggiunto anche 5 volte i quarti di finale nei tornei dello Slam (2 in Australia, 1 a Parigi e due agli UsOpen). Proprio a New York, nel 2011 il suo compagno era l’azzurro Andreas Seppi.

David Marrero a destra con Fernando Verdasco a Rio nel 2018

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