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Djokovic vince l'ottava semifinale su otto all'Australian Open, la dodicesima nelle ultime 13 in uno Slam. Batte Federer per la 27ma volta e centra la finale numero 26 in uno Slam. Se dovesse conquistare il titolo, tornerebbe numero 1 del mondo il 3 febbraio.
di Alessandro Mastroluca | 30 gennaio 2020
Dura di fatto cinque game, o al massimo nove, la prima semifinale dell'Australian Open. Il cinquantesimo confronto tra Novak Djokovic e Roger Federer conserva l'incertezza sull'esito finale fino all'illusorio 4-1 per lo svizzero nel primo set. Il break subito dal 5-4, e il medical time-out alla fine del parziale, palesano il piano inclinato in discesa su cui Djokovic accelera verso l'ottava semifinale all'Australian Open: un record. Finisce 7-6(1) 6-4 6-2, sull'ultimo rovescio a rete dello svizzero. Djokovic, col pugno sul cuore, firma la 27ma vittoria su Federer e la raggiunge la 26ma finale Slam.
"Federer era chiaramente infortunato" ha detto Djokovic a caldo nell'intervista dopo il match, "non era nemmeno vicino al suo miglior livello nello spostamento. Gli va dato merito per essere sceso in campo e aver comunque giocato bene".
I problemi all'inguine sofferti contro Tennys Sandgren rendono Federer più prudente nel dritto in allungo e per reazione più frettoloso nelle difese di rovescio. E' un anticipo che serve a proteggere per quanto possibile un punto di debolezza: tira a tutta per non dover inseguire e rincorrere verso il dritto. Djokovic, dopo un inizio ad handicap, controlla, amministra, poi festeggia.
Federer, che al Masters ha insistito al servizio con le prime verso la T, ricava molto nei primi dalle soluzioni in slice a uscire da destra. Djokovic, condizionato e un po' distratto dalle scelte dello svizzero che si pensava potesse non scendere nemmeno in campo, subisce due break nei primi due game di servizio. Ma il Federer dei primi game si rivelerà un'illusione, un azzardo presto scoperto.
"All'inizio, guardavo più a quel che faceva lui e non pensavo a quel che avrei dovuto fare io" ha detto Djokovic nell'intervista post-partita. "Poi ho iniziato a entrare nel match ed è stato molto importante. Sapevo che avrebbe tentato di variare, di scendere a rete, ma ho cercato di essere io a farlo muovere e di allungare gli scambi".
Federer, e questa non è una sorpresa per nessuno, fa il possibile con quel che ha. E quel che ha non gli consente di appoggiarsi bene la gamba destra per caricare il rovescio, e contro un Djokovic che serve e risponde profondo la partita assume un'aura di crescente, netta inevitabilità. Il serbo festeggia la trentesima vittoria su un top 10 in uno Slam, l'undicesima in un major sullo svizzero che non l'ha più battuto in un match al meglio dei cinque set dalla semifinale di Wimbledon del 2012.
Djokovic lo attacca, senza dover rischiare in angolazioni o profondità, sul rovescio e poi lo chiama alla rincorsa verso destra. Federer prova anche ad anticiparne le intenzioni da sinistra, ma con meno spinta e meno velocità la resa si abbassa. Come si abbassa l'ultima traiettoria, un rovescio a mezza rete che conclude la semifinale dell'orgoglio contro il tempo che passa. E prima o poi ci riprende.