Ahilei, la ragazza, nata in Ontario il 16 giugno del 2000, che ha cominciato a giocare a tennis in Romania a 7 anni, dove i genitori ingegneri erano rientrati dopo una prima esperienza nell’Eldorado con la foglia d’acero, e dagli 11 è sotto la Federtennis canadese, è soggetta a frequenti infortuni.
Ha cominciato nel 2016, quando spopolava a livello juniores dominando l’Orange Bowl, ma si fermò per sei mesi per una serie di problemi ad anca e piede sinistro.
Ha continuato all’indomani del primo urrà fra i pro, sul cemento del deserto della California, dopo aver sforzato troppo la spalla. E, curiosamente, è tornata protagonista battendo proprio contro quella Sofia Kenin alla quale aveva dato via libera al Roland Garros di maggio per il riacutizzarsi dei dolori al braccio, l’ultima avversaria che l’abbia battuta, sul campo, a febbraio, ad Acapulco.
Anche se era chiaro, dopo i successi su Bouchard, Kasatkina, Bertens e Karolina Pliskova, che la piccola trottolina a stelle e strisce non possedesse il peso specifico per stoppare la scatenata “Brandescu”, né la personalità per opporsi all’eroina di casa. Che, a 19 anni appena, punta a riscrivere il nome di una canadese nell’albo d’oro dal 1969, dopo la finale derby fra Faye Urban e Vicky Berner.
Dodici mesi fa era fuori dalle prime 200 del mondo, a gennaio era fuori dalle prime 100 e, dopo quattro mesi senza tennis, dopo aver battuto sei delle “top 10”, dopo aver trascorso quasi 11 ore in campo ai Canadian Open, festeggia la terza finale della stagione contro la ritrovata Serena Williams, e da lunedì il primo ingresso fra le “top 20”.